RITORNO A WIETZENDORF

Lo spavento di Natale

Era la metà di dicembre del ’45 e, finalmente, poteva passare il primo Natale con i suoi nella “sua” Bollate; i due precedenti li aveva fatti da prigioniero dei “crucchi “, come gli piaceva chiamare i tedeschi. Era stato mandato in guerra come sottotenente medico del battaglione alpino Val Fella della Julia.  L’8 settembre del ’43 ad Antibes, sulla costa francese, veniva disarmato dai tedeschi e su un carro bestiame piombato spedito in Polonia al campo Oflag 83 di Wietzendorf. Qui assegnato, con numero 31313, allo stalag (baracca) 328. Il campo verrà liberato dagli inglesi il 16 aprile del ’45.
 Con il rientro in Patria aveva subito iniziato a fare il dottore nel paese: girava tra le strade disastrate con il suo Guzzino rosso nelle cascine bollatesi e, con suor Carolina nell’ospedaletto attaccato a via Magenta e con l’ostetrica signora Piera nelle case. aiutava a far nascere la nuova Italia.

Aveva capito che Bollate aveva bisogno di lui ma soprattutto che lui aveva bisogno di Bollate.

Tessera di riconoscimento rilasciata dal Comitato Provinciale Milanese Reduci dalla Prigionia

Del lungo periodo con i “crucchi” ne parlava poco: tutto quanto inerente alla prigionia era stato riposto in una cassetta di legno con la scritta Sottotenente medico Antonio Argenteri.  Aveva conservato le lettere ricevute dai genitori e dalla Mina: su tutte spiccava il timbro dell’aquila con la svastica e le righe censurate con pesante inchiostro nero. La cassetta conteneva anche due quaderni di diari scritti fittamente con la matita copiativa ed una sorta di diario clinico dei compagni di sventura ammalati. Con la Mina si sarebbe sposato dopo qualche anno nella chiesetta del Ghisallo a Magreglio; un piccolo santuario del XVI secolo a fronte lago con affrescata una Madonna che allatta. La Mina, giovane farmacista ad Asso, era stata protagonista di un evento comico che aveva sdrammatizzato il ritorno del sottotenente dalla prigionia: il giovane medico con l’intenzione di fare una piacevole sorpresa alla fidanzata si era recato da Bollate ad Asso senza avvertirla e la Mina, presa dall’emozione e dalla confusione nel rivederlo, aveva lasciato che una torta di mele continuasse la cottura nel forno. La conseguenza fu l’incendio di un armadio della cucina.
I tristi momenti a Wietzendorf gli avevano lasciato molti ricordi ma cercava affiorassero solo quelli divertenti; in tal modo voleva esorcizzare le molte paure che avevano segnato pesantemente lui come molti altri.

Antonio Argenteri e la sorella Teresina finalmente insieme dopo le traversie della guerra e della prigionia

La foto segnaletica indicante il numero di matricola 31313, scattata dopo l’internamento nel campo di   Oflag 83 di Wietzendorf (Polonia)

Il suo spirito ironico lo portava allora  a raccontare di quando in occasione dello sbarco alleato in Normandia, (di cui erano riusciti ad esserne informati in tempo reale grazie alla “ Caterina”, una rudimentale radio clandestina nascosta di baracca in baracca a seconda delle ispezioni) lui e Gianrico Tedeschi, il futuro grande attore, si erano burlati dei tedeschi riempendo le pozzanghere del campo con tante barchette di carta. Ricordava anche i momenti di vera solidarietà con lo scrittore Giovannino Guareschi, il pittore Giuseppe Novello, Alessandro Natta, diventerà segretario nazionale del PCI, i bollatesi padre Giordano Derghi, un  frate francescano con i parenti all’isola san Domenico, e lo Scotti di Castellazzo.
 A guerra finita senza rancori, come tanti, aveva tirato le somme di un periodo buio; nel suo ambulatorio aveva subito messo la fotografia, listata da un nastrino tricolore, di due amici e compagni al liceo milanese San Carlo, scomparsi su due fronti opposti: Carlo Bianchi, attivista della Federazione universitari cattolici italiani, fucilato a Fossoli per reati antifascisti e Giovanni Cuzzoni, volontario della 136ma divisione corazzata Giovani Fascisti, morto nel suo carro armato ad El Alamein.
Saltuariamente provava una strana sensazione che accomunava tutti i reduci dai campi: era il terrore di dover sperimentare nuovamente la prigionia. Anche se infondata e razionalmente improbabile era una paura ancora viva e che si concretizzava ad ogni seppur minima occasione della vita quotidiana diventando scomoda protagonista dei sogni di molti.

Foto scattata da Antonio Argenteri all’interno del campo di prigionia poco prima della liberazione da parte degli Alleati e sviluppata solo dopo il ritorno a Bollate.

Corrispondenza inviata il 10 maggio 1944 dal parroco don Carlo Elli e  scritta sulla apposita cartolina predisposta per i prigionieri di guerra

Il giovane medico ne fu vittima in maniera reale.
La sera di quel giorno di metà dicembre del ’45 il dottor Argenteri, nell’abitazione di via Garibaldi 8 in Bollate, stava mettendosi a tavola con i genitori e la sorella Teresina ma squillò il telefono.  Erano in pochi a possederlo e lui per necessità professionale era riuscito ad averlo; rispondeva al numero 202 e le chiamate fuori distretto avvenivano tramite un centralino.
 Dall’altra parte della cornetta c’era suor Carolina, dell’Ordine di Maria Bambina, che dal piccolo ospedale Caduti Bollatesi chiamava allarmata il dottore. In maniera poco chiara perché concitata dava una notizia: si erano appena  presentati due ufficiali delle SS, con altri tre soldati  sempre della stessa organizzazione nazista ,su una camionetta tedesca chiedendo con modi spicci del dottore e facendone anche il nome. Sottolineava come l’italiano dell’ufficiale  fosse perfetto. Completamente impaurita, aveva indicato dove trovare il medico alla sua abitazione e voleva quindi metterlo in guardia. Aveva immediatamente anche fatto avvertire di cosa stesse succedendo il parroco, don Carlo Elli.
 Più l’Argenteri chiedeva alla suorina spiegazione per comprendere i dettagli di una situazione incomprensibile e più questa andava in confusione fino arrivare al pianto; l’unica frase chiara fu” dottore stanno arrivando i tedeschi “.
 Il giovane medico non riusciva a capire cosa stesse succedendo: quella paura provata per quasi due anni e quei fantasmi con le SS argentee ebbero allora il sopravvento sulla ragione. Subentrò il panico e pensò che doveva fare in fretta qualcosa; stavano arrivando. Il padre il dottor Felice, il veterinario del paese, prese allora in mano la situazione: il ricercato fu mandato a nascondersi con la sorella Teresina in cantina, dove era anche presente una latrina per i periodi dei bombardamenti, mentre la mamma Anna, maestra, fu inviata sul grande terrazzo della camera da letto sul fronte casa. In tal modo si dominava dall’alto il giardino e le due entrate con i relativi due  cancelli su via Garibaldi. Il dottor Felice poi, con la sua pistola d’ordinanza ( una Bodeo a tamburo ) da ufficiale veterinario del Savoia cavalleria nella grande guerra , si appostò tra i grossi pini vicino al cancello principale.
 Il dottor Antonio, insieme alla giovane sorella, si sistemò in cantina nella carbonaia, il locale più buio.
 Da un lato comprendeva chiaramente che tutta la situazione era irreale ma dall’altro la paura alterava in maniera determinante la ragione. Arrivò perfino a sospettare un improvviso ritorno dei “crucchi”; non aveva sentito la radio e comunque i pazienti del pomeriggio in ambulatorio non gli avevano riferito nulla.  In tal caso si domandava quali fossero le motivazioni recondite da giustificare l’evento diretto dei tedeschi alla sua persona. Si diede una risposta: forse perché come medico aveva collaborato con il colonello Pietro Testa, comandante dei prigionieri italiani, alla stesura di un documento indirizzato, dopo la liberazione del campo, alle autorità britanniche in cui si denunziavano quali criminali di guerra il cap. Rorich, il cap. Lainbergher, il cap.von Mallerius, il cap.Giutler, i sonderfurer Ales e Huss, il caporale Strassmager. Nel documento venivano ampiamente riportate le violazioni alle norme internazionali per i prigionieri e i delitti commessi. Il documento invitava anche ad un’indagine su un cimitero adiacente al campo con fosse comuni per un totale di circa 30000 corpi per una struttura di accoglienza che non poteva ricoverare più di 20000 prigionieri.
 Si ricordò anche che era stato tra i 44 ufficiali che, il 18 febbraio del ’45, si erano rifiutati di lavorare nella vicina  Dedelsdorf al ripristino di una pista di lancio; il fatto gli aveva procurato dieci giorni di “ straflager”, un regime di punizione pesante.

Sulla cartolina il testo doveva essere scritto in maniera leggibile e seguendo le linee stampate in maniera da facilitare l’azione della censura

Tesserino di Riconoscimento rilasciato dalle Forze Alleate ai prigionieri dei Campi di concentramento liberati.

Dopo la terribile esperienza comune della prigionia, i superstiti della baracca 328 si tennero in contratto con la promessa di incontrarsi periodicamente. Ecco un invito con tanto di simbolo. Fra di loro vi erano l’attore Gianrico Tedeschi, lo scrittore Giovannino Guareschi, il pittore Giuseppe Novello, Alessandro Natta, futuro segretario del Partito Comunista Italiano, il francescano bollatese padre Giordano Derghi

La scheda  sanitaria completa di esame Wasserman (antisifilide) e schermografia  (antitubercolosi)

Alla paura si era aggiunto anche il pianto di Teresina.
Finalmente la camionetta tedesca arrivò davanti il cancelletto di via Garibaldi: un ufficiale SS, con divisa impeccabile, scese molto deciso e suonò al campanello chiedendo in italiano del dottore. La risposta della mamma arrivò dal terrazzo. Era distante e doveva urlare, chiese il motivo della richiesta e cercò di vedere meglio nel buio: si intravedeva il luccichio dei bottoni metallici del pastrano dell’ufficiale e del teschio argenteo sul cappello. Uno dei tre soldati seduti dietro con elmetto sembrava accasciato. Finalmente l’ufficiale urlando spiegò: erano della troupe di un film in lavorazione a Castellazzo ed una delle comparse era scivolata sul ghiaccio andando a sbattere con un polpaccio sui denti di un erpice. Le ferite non erano profonde ma il sanguinamento copioso; necessitava un’emostasi e un’antitetanica. Alcuni abitanti di Castellazzo avevano fatto il nome del medico. L’equivoco era chiarito. L’Argenteri potè uscire rassicurato dal nascondiglio e dedicarsi al ferito. Nel mentre arrivò trafelato sulla sua bicicletta don Carlo , quasi in contemporanea con  il maresciallo Baldo, anche lui allertato da suor Carolina. Equivoco chiarito, tra il sollievo di tutti ,con una risata liberatoria e adesso il dottore  poteva dunque prepararsi a festeggiare il Natale in famiglia, lasciandosi alle spalle lo spavento di un brusco e inatteso ritorno al passato.

Il controllo della censura sulla corrispondenza aveva come conseguenza la cancellazione di frasi come in questa lettera del 12.12.1944 scritta da Mina Milesi, fidanzata e futura sposa di Antonio Argenteri.

Scheda di registrazione con cui gli alleati censivamo i prigionieri liberati

Altri due esempi di lettere censurate, una delle quali contiene anche la minaccia di essere stracciata se non verranno osservate le rigide norme  imposte per l’invio della corrispondenza.

Il sottotenente medico Argenteri sposerà nel marzo del ‘46 la Mina Milesi da cui avrà otto figli. Negli anni seguenti continuerà a frequentare i commilitoni della baracca ( stalag ) n.328 di Wietzendorf, presso il loro club molto esclusivo  “tresentvintott stalag club”. Morirà improvvisamente a 53 anni.
Nel 2011 sarà decorato alla memoria con la medaglia per deportati ed internati nei lager nazisti.                     

ANGELO ARGENTERI  

Lista dei compagni prigionieri assistiti dal Dr. Argenteri con l’annotazione delle varie patologie

Tutti i documenti e le fotografie  sono state gentilmente concessi dal Dr. Angelo Argenteri

Originario di Bollate, è nato nel 1948. Unico figlio maschio degli otto del dottor Antonio, medico condotto per antonomasia dell’allora paese, ha seguito le orme paterne in ambito professionale. Specializzatosi a Parigi in chirurgia vascolare, è stato per anni direttore responsabile dell’unità operativa complessa  di questa specialità presso il polo universitario di  Pavia e, successivamente, presso quello di Lodi. Tra gli incarichi ricoperti, è stato titolare della cattedra di chirurgia vascolare all’università di Pavia. Attualmente è componente del nucleo di valutazione dell’azienda ospedaliera di Lodi. E’ autore di diverse pubblicazioni scientifiche in materia di patologia vascolare
ANGELO ARGENTERI

Medico chirurgo