“BASTA SAPER VEDERE LE COSE”
Innocente Ghioni è stato definito da Giorgio Falossi “l’ultimo dei grandi paesaggisti lombardi”.Ma per quanto continuatore di una tradizione,e col sostegno di una rara e controllata dignità formale, Innocente Ghioni si colloca a parte per il prepotente distacco della materia. Quest’uomo che non voleva mercato, che rifuggiva dagli onori, che rifiutò di far parte di “famiglie” e “associazioni” accademiche, che non frequentava cenacoli, che spesso saltava i pasti (e non in senso metaforico), una volta davanti al cavalletto era come colto da una forza demiurgica, liberatoria. Provvisto di un’emotività tutta interiore, quasi introverso, scaricava tutta la sua tensione davanti a un muro, a un albero, a un villaggio. Qualche volta Ghioni sceglie gli interni. E anche qui mira non tanto a dilatare gli spazi, al grandioso, ma all’intimo, al separato, con senso di crepuscolare melanconia.
Nemico anche lui dei grandi agglomerati urbani, dell’industrialismo, della robotizzazione, era solito dire che un angolo raccolto era assai più suggestivo di un ricchissimo appartamento in un grattacielo, “basta saper vedere le cose”.
Da qui la scelta preziosa dei suoi toni, tutti sostenuti da una subliminale forza evocatrice: certi grigi, per esempio, i grigi delle piazze di paese, o i melanconici rossi dei tramonti, sempre però all’insegna della sobrietà.
Certo, una pittura siffatta va presa senza forzature per quella che è, pittura fatta di introspezione, d’immedesimazione con gli stimoli esterni che finiscono per riflettere gli stati d’animo dell’operatore.
In questo senso, la pittura di Innocente Ghioni ha già un suo posto di rilievo nella storia del nostro incomparabile paesaggismo.
MARIO CATTAFESTA – Articolo apparso su la Gazzetta di Mantova – 2 agosto 1975