Con l’inizio del 1927, a seguito della normativa di scioglimento degli organismi rappresentativi e la conseguente soppressione delle libertà di riunione, associazione e stampa, l’autorità comunale passa nelle mani del podestà che concentra su di sé le funzioni di sindaco, giunta e consiglio comunale. Giovanni Radice Fossati viene automaticamente investito,“ per meriti fascisti”,nella nuova carica. Inizia una dura stagione di repressione del dissenso: per bloccare l’attività clandestina di cospirazione anti regime, vengono emanati strumenti legislativi quali il tribunale speciale per la difesa dello Stato e il confino di polizia. Il primo bollatese a farne le spese è l’operaio socialista Angelo Rainoldi, occupato presso la Carlo Erba di Milano, nel giugno del 1927 è arrestato, assieme a due compagni di lavoro, dietro la delazione di un collega di reparto che aveva notato del materiale di propaganda nei loro armadietti. Rainoldi sarà condannato a due anni di prigionia. Il 26 ottobre finiscono in manette dieci giovani operai, tra i 16 e i 24 anni, tutti aderenti alla Federazione Giovanile Comunista locale. Si tratta di Emilio ed Oreste Alzati, Vittorio Ghezzi, Ambrogio e Adolfo Radaelli, Dante e Cesare Figini, Luigi Nava , Alfredo Rossetti e del novatese Marco Brasca. Nella sentenza al processo del 12 settembre 1928 ,il giudice infligge 4 anni di detenzione per Brasca, 3 anni e 2 mesi per Ambrogio Radaelli, 2 anni ai fratelli Alzati e 1 anno per Ghezzi, gli altri cinque imputati saranno invece assolti. Alcuni di questi verranno nuovamente arrestati in una retata, effettuata tra la fine del 1931 e la primavera del 1932, e saranno poi liberati in ottobre a seguito dell’amnistia generale concessa dal regime per il decennale della presa del potere. Tuttavia, per Dante Figini ed Emilio Alzati arriveranno altre condanne, soprattutto quest’ultimo, sanzionato prima a 13 anni e successivamente a 20 anni per ricostituzione del partito comunista. Stessa motivazione per la ulteriore condanna, rispettivamente a 12 e 7 anni di carcere, per Vittorio Ghezzi e Cesare Figini, mentre Luigi Grassi sconterà un anno di invio al confino. Sul fronte cattolico, si amplificano le divergenze tra il parroco don Carlo Elli, chiamato all’incarico pastorale nel 1920 e con un passato nelle “leghe sindacali” bianche, e il sindaco Radice Fossati, spalleggiato dagli squadristi. A testimoniarle questo caso emblematico: per celebrare il Natale di Roma, i fascisti avevano deciso di issare il tricolore sul campanile, il parroco si oppone in maniera piuttosto energica, esprimendo altresì formale protesta alle autorità competenti. Queste ultime però, in una missiva indirizzata al prefetto, non solo stigmatizzano il comportamento del sacerdote, sottolineando come i fascisti “solo per spirito di disciplina si sono contenuti dal dare a don Elli una severa lezione” , ma ne chiedendo l’allontanamento da Bollate, provvedimento che non avverrà. Un ulteriore motivo di frizione, tra parrocchia e autorità comunali, si registra nel luglio del 1932: ad una manifestazione organizzata dall’oratorio viene ostentatamente rifiutato l’invito al segretario locale del fascio Antonio Toma, per reazione scattano una serie di minacce culminate con l’imbrattamento di scritte e manifesti sui luoghi di culto. A confermare il clima non certo idilliaco tra le due istituzioni, basti pensare che la Società Oratoriana di ginnastica, sorta nel 1928, sarà ribattezzata con il nome di Ginnastica Romana, ”denominazione data in onore di Roma Caput Mundi, proprio perché la capitale era emblema di supremazia storica, ma soprattutto – scrive uno dei soci fondatori, Ettore Redaelli – per evitare incomprensioni con l’aria che tirava all’epoca”.