Il Quadrilatero d’oro, ovvero il paradigma dell’aquila

Bollate, le occasioni perdute e le opportunità future

L’aquila e ancora  per aria ad osservare. È tempo che ritorni al nido a Bollate.

Si dirige verso casa, non ci sono cime nevose, immagino la sua casa su una grossa quercia nel Parco delle Groane in territorio di Bollate.

I binari del treno sono buona traccia, specie al crepuscolo, come noto l’aquila è animale miope.

Arrivata sopra la strada ferrata intravede una grande area, un quadrilatero di circa centomila metri quadrati, completamente abbandonata.

Inserita nel Centro di Bollate, tra la via Matteotti, la ex Fabbrica Borroni, la via Diaz con le case operaie anni 30, la via Gramsci con le villette anni 20, la piazza Karl Marx con l’ex casa del Fascio, la Stazione di Bollate Centro, e a poche centinaia di metri, verso nord, la stazione di Traversagna Bollate Nord. Dall’altra parte il plesso scolastico di via Montessori, la chiesa di Madonna in Campagna, e poi l’urban sprwal degli anni 60/70

L’area dall’alto deve apparire come un sito uscito dalla guerra. Eppure lì sino a una cinquantina di anni fa si costruivano tra alle più belle macchine utensili del mondo. Le alesatrici.

Macchine poco note, non conosciute come torni e le fresatrici, utilizzate per la finitura dei fori. Di uso generale nelle fabbriche e officine meccaniche, ma particolarmente versate del settore dei motori diesel e a benzina, e nell’industria delle armi.

Le macchine venivamo progettate e costruite alla Ceruti, per poi partire verso il mercato mondiale.

Forse per la mia bollatesità scelsi come tesi di laurea in ingegneria meccanica il ‘progetto della testa e del cambio di un’alesatrice’. Il mio relatore fu il prof Garbarini dell’Innocenti, che anni dopo ritrovai, ironia della sorte, liquidatore della società Ceruti.

La Ceruti era in osmosi con Bollate e i bollatesi.

Ho trascorso quindi un periodo di circa un anno di stage in Ceruti, mi insegnarono tutto, specie il giovane ing. Riontino (mi pare ricordare così il nome) che mi prese in carico.

Incontrai, in quel periodo molti miei compagni delle elementari che lavoravano in Ceruti. Modo quasi sicuro per servire la Patria in Marina: la Marina Militare Italiana era tra i clienti di Ceruti.

E scrivendo mi è venuto in mente l’incontro con un giovane Teddy Silva, già campioncino del baseball, che lavorava nel seminterrato prospiciente la via Madonna In campagna, quello ancora visibile in mattoni a vista.

Ciao gli dissi, che razza di macchina è quella, sorridendo mi rispose ‘ingegner l’è una center less’: mai sentita. Andai a casa e presi il Colombo, il mitico manuale degli ingegneri; da allora sono tra i più grandi esperti viventi delle ‘rettifiche senza centri’, che forse non esistono più.

Poi l’azienda divenne proprietà della Montedison, e Cefis uomo di Mattei e dominus, decise che non fosse in linea con la chimica e quindi la mise in vendita. Allora contava circa 600 dipendenti di elevata specializzazione.

I tentativi d’acquisizione furono molti, il più credibile quello della bresciana Berardi fabbrica di foratrici.

Fui in quel periodo invitato in Ucraina a Sumy, in occasione della inaugurazione di un mega polo industriale dell’acciaio, guidato dalla azienda Friulana Danielli; era con noi anche Sergio Romano, ambasciatore italiano in URSS, presenti inoltre la compianta sig.ra Danielli e sig.ra Berardi in rappresentanza delle loro aziende, con una nutrita schiera di rappresentanti dell’industria italiana.

Dissi a me stesso questa volta è fatta. Non fu così, rivendicazioni sindacali antistoriche e uno scriteriato uso degli strumenti urbanistici locali (PRG) non lo permise, e forse altre vicende a me non note.

Un ulteriore tentativo poi con l’amico compianto Martino Cimbro, ai tempi del recupero di Boston da parte di una compagine Unione Artigiani – CNA (Confederazione Nazionale Artigianato e piccole Medie Imprese) non riuscì, non ostante il favore del sindaco Giovanni Nizzola e dell’amministrazione Comunale.

Fini così la storia di un marchio unico in Italia, e il lavoro per 600 famiglie.

Ora è lì in sonno, nella parte opposta la ex Fabbrica Borroni in attesa di un utilizzo meno estemporaneo.

Quando mi occupavo di regolamentazione del Mercato immobiliare in CCIAA Milano, mi insegnarono un motto:

‘l’immobiliare è come il porco, non si butta nulla’

Scrivo queste brevi note, per i miei dieci lettori, chiuso in casa, per le note prescrizioni sul contagio Covid19.

Sono certo finirà, ma sono pure convinto che il mondo cambierà.

Non è peregrino associare il quadrilatero ad un residuato bellico, e la pandemia è una guerra.

Rammento il sottotitolo di questo scritto: le occasioni perdute e le opportunità future. Lasciamo il passato, è tempo di futuro.

Sarà uno dei compiti della prossima amministrazione comunale, che tra l’altro si è dotata di uno strumento urbanistico adeguato, affrontare il tema.

Certo è che lo sviluppo di un’area – in centro città – di quasi centomila metri quadrati: e a tanto ammontano ex Ceruti, Fabbrica Borroni e insediamenti ex industriali connessi possa essere considerato prioritario.

Facile ribadire che queste aree siano private, ma il riordino del territorio passa pure attraverso opportunità di ricollocazione PIP (Piano Insediamenti Produttivi 1990) e Piano Particolareggiato vigente PP1 (1990 area di interscambio Bollate Centro) associate a cogenti azioni di Marketing Territoriale possa, unite a intelligenza della volontà e fortuna portare a buoni risultati.

immagini tratte dal fascicolo – PER LA CONTINUITA E LO SVILUPPO DELLA CERUTI (1975) – Archivio © Giordano Minora

Tavola di inquadramento urbanistico geometra Giammario Pasi

Ingegnere per caso, giornalista mancato, scrittore che non ha ancora deciso cosa scrivere. Una vita di scorribande, a far sempre cose nuove, una diversa dall’altra. Insegnante, assaltatore/postino, ricercatore CNR, ingegnere in società multinazionali, imprenditore, politico di terza classe, socialista da sempre e per sempre. Amore per il teatro, negli ultimi anni enfatizzato dalla fortunata frequentazione con Luca Ronconi ai tempi del Piccolo Teatro di Milano. Appassionato di musica classica sostiene che: ‘dopo Mozart è stato inutile scrivere musica’. Calcisticamente agnostico, ferrarista da sempre. Vanesio, si ritiene un eccellente chef. Amante di vini rossi e bollicine per accompagnare cibi. Sempre alla ricerca di persone nuove con le quali parlare, confrontarsi, discutere, litigare, bere e gustare cose golose.

Antonio Carlo Giuseppe Pastore

Ingegnere