VITE SPEZZATE

Claudio Varalli e i giorni dell’odio

Claudio Varalli, Bollate 1958 – Milano 1975

“Sta crescendo come il vento questa vita mia. Sta crescendo questa rabbia che mi porta via. Sta crescendo, oh, come me. La giovane Italia cantava, ‘eia, eia alalà’, davanti alla scuola pensavo viva la libertà…”

I versi di questo brano di Antonello Venditti testimoniano il clima di contrapposizione giovanile dell’epoca. In quegli anni settanta, le tensioni ideologiche, l’odio profondo tra opposte fazioni, la facevano da protagonisti: si cadeva e moriva per strada per le idee politiche. In questo contesto sociale, il 16 aprile del 1975, ha perso la vita Claudio Varalli, il ragazzo bollatese (nato a Baranzate il 1° luglio del 1957), alla cui memoria è dedicata la via che porta agli ITCS Primo Levi ed Erasmo da Rotterdam.

Claudio era un ragazzo figlio del suo tempo, coinvolto fin da adolescente nel clima di partecipazione attiva che allora imperava, impegnato nella vita del quartiere, nelle attività dell’oratorio. Studente-lavoratore, a 15 anni, frequentando le scuole superiori a Milano, si appassiona alla politica, aderisce al Movimento Lavoratori per il Socialismo, frequenta i corsi di formazione delle ACLI, si butta nel sociale sostenendo le mobilitazioni contro i licenziamenti nelle tante fabbriche del baranzatese occupate, a favore dei diritti al lavoro, allo studio e per rivendicare migliori condizioni salariali. Proprio al termine di una manifestazione per il diritto alla casa, indetta dai comitati milanesi del Ticinese, Claudio e i suoi compagni si imbattono, nei pressi di piazza Cavour a Milano, in un gruppo di attivisti di estrema destra aderenti al Fronte Universitario di Azione Nazionale; ne nasce un violento tafferuglio, uno dei giovani missini, il 21enne Antonio Braggion, si barrica nella sua Mini Minor e, all’assalto a colpi di spranga, risponde a colpi di revolver, uccidendo Varalli. Dolorosa conferma della tesi storica che “i fascisti andavano in giro armati di pistole, gli extraparlamentari di sinistra con spranghe e chiavi inglesi, regolando i conti con scontri e agguati mortali”. Dopo una latitanza all’estero, nel 1978, Braggion sarà condannato a 5 anni di carcere “per eccesso di legittima difesa”, e ad altri 5 per “detenzione abusiva d’arma da fuoco”, pena che sarà ridotta in secondo grado. Scarcerato nel 1982, è scomparso nel settembre 2018.

Rassegna stampa dei tragici fatti

A sinistra,  il comunicato di cordoglio del Consiglio Comunale (da il Notiziario Comunale-aprile 1975-archivio Giordano Minora). A destra, la prima pagina del Notiziario Comunale sul tragico evento-aprile 75 (archivio Giordano Minora )

La scia di violenza, innescata da quel tragico episodio, si allunga il giorno dopo durante la manifestazione di protesta dei movimenti giovanili di sinistra, davanti alla sede del M.S.I. in via Mancini. Nel corso degli incidenti con le forze dell‘ordine, viene investito mortalmente da un camion dei carabinieri Giannino Zibecchi, 28 anni. Un’altra giovane vittima innocente di quel drammatico periodo che, pochi giorni più tardi, registrerà il decesso, per le gravi ferite riportate a seguito di un’aggressione da parte di militanti dell’area antagonista, dell’esponente di estrema destra Sergio Ramelli. Aveva 17 anni, la stessa età di Claudio Varalli, due giovani vite spezzate, accomunate, pur appartenendo a visioni politiche diverse, da un atroce destino, figlio di una perversa stagione di sangue, determinata da una follia ideologica che aveva preso il sopravvento su ogni senso dell’umano. Per dirla con un celebre verso di Francesco Guccini,

“ma le strade sono piene di una rabbia che ogni giorno urla più forte, son caduti i fiori e hanno lasciato solo simboli di morte”.

Paolo Nizzola

QUANDO LA STORIA CI PASSÒ VICINO… E CI FERÌ

Ricordo che in quegli anni, studiando a Milano, condividevamo tra giovani pendolari la doppia percezione: da un lato l’avventura della grande città e dall’altra l’accogliente cittadina in cui abitavamo, quella della famiglia, degli amici e anche delle istituzioni, per noi importante.

Ad esempio: quando gli scontri e gli inseguimenti, con i temuti “sanbabilini” o i cosiddetti “celerini”, ci costringevano a trovare rifugio, avevamo due precisi istinti di orientamento: uno puntava verso l’Università Statale e l’altro era la Stazione Cadorna delle FNM; una sorta di propaggine familiare che ci faceva sentire in salvo e, salendo sul treno, abbandonare tutte le tensioni, raccontare tra noi quello che avevamo visto e subito, scaricare le paure, sfogare le rabbie e avviare i primi ragionamenti, tornando nella braccia della rassicurante comunità.

Claudio Varalli era uno di questi. Appassionato militante del Movimento Studentesco, non gli bastava la vita “milanese” d’impegno e attività politica.

Abitava a Baranzate e viveva da vicino la questione della casa, poiché il suo quartiere era, a quell’epoca, fagocitato dai problemi abitativi che un’urbanistica selvaggia e una difficoltà economica esasperata, avevano generato condizioni di vita; di cui solo le forze politiche storiche, PCI e DC in primo luogo e le Acli, di cui ero militante, affrontavano le contraddizioni.

Claudio fu attratto dalla nostra militanza giovanile che ci portava a estendere le iniziative nel territorio (allora, oltre Bollate e Baranzate ci si muoveva anche verso Senago, Novate, Arese) e a cercare anche un senso laico, nel servizio ai cittadini, una mediazione con la propria visione ideologica. La casa e le sue problematiche, in quegli anni, con le prime occupazioni, era in testa alla classifica delle urgenze sociali; seguivano poi le autoriduzioni delle bollette telefoniche, le discussioni sui primi piani urbanistici e la grande novità dell’avvento dell’Unità Socio Sanitaria Locale e le tematiche della selezione sociale scolastica.

Queste radici concrete del fare politica, portarono Claudio a frequentare anche le Acli e Gioventù Aclista, partecipando alle nostre iniziative e anche ai corsi di formazione che si tenevano di solito a San Michele in Val Formazza., dividendo  con noi impegno e risate .

Per questo fummo storditi, quando ci giunse la notizia della sua morte a Milano, in condizioni così selvagge da distruggere immediatamente la nostra immagine romantica di città, di valore ideale della politica e di futuro. Troppi giovani, al di là degli opposti schieramenti, pagavano con la vita una testimonianza non obbligata, non necessaria rispetto agli argomenti in campo, che spesso finivano per sembrare pretesti per trasformarli in martiri.

Richiamare alla mente (e al cuore) l’esperienza partigiana fu un attimo e nacque così l’accezione di “nuovi partigiani”, che raccoglieva in un triste elenco tante, troppe vittime della violenza sedicente politica.

Solo il tempo e la storia poi consentirono di ritrovare e difendere l’equilibrio fragile di un sistema democratico attraversato da troppe ingiustizie, tradimenti istituzionali e conseguenti rancori.

Ma quella notte il sangue era alle tempie e il sale nelle lacrime. Ci credevamo invincibili, ci sentivamo eroi.

Ci radunammo nella sezione Acli di Baranzate, con la mazzetta di tutti i giornali e le riviste acquistate in quei giorni e occupammo la notte a ritagliare, incollare su grandi tabelloni una enorme rassegna stampa, strumento che allora consideravamo indispensabile per dare un’informazione potente, che tanti articoli affiancati fornivano insieme ai nostri “tazebao”.

Ancora più sconvolgente, travolgente ed emozionante fu il funerale. Nel tragitto tra la parrocchia di Sant’Arialdo a Baranzate e il cimitero di Bollate, la statale Varesina fu letteralmente invasa, bloccando per ore la circolazione degli automezzi.

16 aprile 1978 - Manifestazione per il terzo anniversario della morte di Varalli

Radiocronaca di radio ABC dall’interno del corteo. La manifestazione , partita dal piazzale della stazione snodandosi lungo le vie cittadine, si concluderà al cimitero.

Ricordo anche lo scontro politico per la gestione delle esequie, con l’assalto al feretro dei giovani del Movimento Studentesco, difeso dal servizio d’ordine del PCI che, istituzionalmente rivendicava il ruolo dell’amministrazione locale nel congedare un proprio cittadino dal suo quartiere. Del resto, con la morte il giorno dopo a Milano di Giannino Zibecchi, i fatti avevano definitivamente preso la scia dell’avvenimento politico nazionale, con Claudio che ebbe un secondo funerale anche a Milano. Un modo quasi logico per chi aveva esercitato la doppia militanza.

A noi, bollatesi, suoi conoscenti e compagni di attività politica “a casa”, rimaneva una lapide con una indimenticabile epigrafe di Yu Kung  che, figlio dopo figlio, a colpi di zappa, rimosse la collina, dandoci un senso della storia e del futuro di cui, soprattutto allora, si sentiva gran bisogno, e una cerchia di amici e militanti fedeli che seppero tenere in vita il suo ricordo e il significato politico di quelle vite, la cui interruzione violenta rappresenta ancora oggi una cicatrice aperta.

 Diverso dal ricordo, anche scanzonato e giocoso, di un giovane impegnato ma vivace che, come noi condivideva questa doppia appartenenza: la città, coi suoi grandi ideali e il paese, con i suoi rapporti umani e sociali e le piccole, rassicuranti quotidianità. Forse a spingerci lontano , nell’allontanarne  con il tempo la memoria ,più verosimilmente, fu il dolore della ferita che il passaggio della grande Storia, così vicina alle nostre vite, ci inflisse. A Claudio e a tutti i “nuovi partigiani”.

Dario Zigiotto

QUEL MURALES SBIADITO

Fare il testimone dei tempi non sempre è un leggero “do you remember sixty-eight?”; i fatti della storia possono essere squilli di tromba per il privato personale, lo risvegliano inevitabilmente.

Riaffiorano emozioni, entusiasmi, dolori, disillusioni che si pensava in qualche modo sopiti, archiviati, ma se il sollecito a ricordare arriva da un volto, quello di Paolo, per anni frequentatore dell’ufficio stampa della Camera del Lavoro di Milano, allora sottrarsi è difficile anche per chi, come il sottoscritto, privilegia vivere il presente.

Anno millenovecentosettantacinque e dintorni, mesi che valgono anni, giorni che valgono mesi: sul piano sociale e su quello politico.

Anni di giri di boa, millenovecentosettantaquattro, ricordate Fanfani, Presidente del Consiglio dell’epoca, che sostenne a spada tratta la campagna per abrogare la legge sul divorzio votata solo pochi anni prima (1970). Perse, accelerando così il declino della cultura democristiana sulla società civile.

E l’accordo Lama–Agnelli (1975), unifica il valore del punto di contingenza (scala mobile) fra operai ed impiegati, recuperando larga parte dell’inflazione che all’epoca viaggiava a due cifre, un accordo fortemente egualitario che coronò politicamente e ne segnò il punto più alto, il ciclo del sessantanove operaio, fatto di rivendicazioni salariali, egualitarismo e giustizia sociale.

Tempi complicati per giovani marxisti, stretti fra ideali pacifisti e anti-autoritari, le prime bombe dei neofascisti sui treni e poi a Brescia in piazza della Loggia, i depistaggi di settori deviati dello Stato, le BR che mettevano a segno primi clamorosi rapimenti (giudice Sossi) e le prime uccisioni (giudice Coco) e uno slogan impegnativo come “né con lo Stato né con le BR”.

Nel frattempo, ho il mio primo impiego serio, il matrimonio e la complicazione di dover occupare la casa dove andare a vivere.

Eh già! Anche a Bollate si apriva l’era, da parte delle cooperative (edificatrice San Martino), che la casa dovevi comperartela, basta con l’affitto e la proprietà indivisa; così insieme ad una cinquantina di famiglie assegnatarie, abbiamo occupato le case del primo nucleo dell’attuale quartiere di Madonna in Campagna.

Il clima politico dell’epoca era quello del compromesso storico, del primo abbraccio fra democristiani e comunisti così, per prendere possesso degli appartamenti di cui eravamo assegnatari, fu necessario sfondare un picchetto dalla curiosa composizione, giovani democristiani e comunisti che difendevano le storiche risorse del movimento operaio!

La domenica successiva all’occupazione, tutti a volantinare alla messa delle 11 alla parrocchia di san Martino, spiegando che l’atteggiamento e la manovra della cooperativa san Martino non era proprio un atteggiamento cristiano…

Si lavorava, si lottava, si manifestava e quando non c’era da confliggere via, verso il mare, il lago, la montagna. I tempi non erano “canaglia”, l’impiego prevalente era a tempo indeterminato, la crisi degli anni successivi ancora lontana; le 40 ore settimanali di lavoro su 5 giorni erano appena arrivate a regime e l’atmosfera che oggi molti definiscono esser stata cupa, colma di spranghe di ferro e assassini politici io la ricordo e rivivo come impegnata, piena di futuro e di progetti insomma: “abbasso l’imperialismo amerikano (i vietcong entrati a Saigon) e evviva “the american way of life” tradotto: fine settimana libero!

Incoerenza? No, come usava dire: contraddizione …e delusione: avevamo le piazze piene e le urne elettorali vuote! L’assassinio di Claudio è lì, in quel territorio, anche giovanilistico perché no, fatto di speranze, entusiasmi, voglia di mutamento, romantico antifascismo, che la destra ed il capitalismo nostrano non potevano ammettere e in quel conflitto fra mutamento e conservazione sguazzavano i neofascisti, anche armati, al punto tale che a Milano era pericoloso attraversare il centro cittadino e, in particolare, San Babila, se portavi l’eskimo, un certo tipo di barba o un giornale di sinistra in mano, semplicemente anche l’Unità o L’Avanti.

Aprile 1976 – Nel primo anniversario della morte di Varalli, un corteo di militanti di Democrazia Proletaria diretto verso il cimitero di Bollate (Per gentile concessione di Antonio Lareno)

Manifestazione antifascista in piazza Martiri della Libertà di Bollate, con l’esposizione dello striscione con l’immagine di Varalli – 1977 (Archivio Giordano Minora)

Millenovecentosettantacinque, aprile funesto. In rapida successione, insieme a Claudio Varalli a Milano, viene assassinato, schiacciato da una carro pesante dei carabinieri, Giannino Zibecchi; a Torino, Tonino Miccichè; a Firenze, Rodolfo Boschi; ricordi tristi e qualche sospiro ripensando alla sede in fiamme del M.S.I. (partito neofascista ora scomparso e bisnonno della Meloni), insieme a qualche “covo” di sanbabilini … Che ho scritto? Ma non è politicamente corretto, oggi si dice bar, locali, dove di consueto usavano incontrarsi giovani militanti di destra .

L’imponente folla nel cimitero di Bollate per l’addio a Varalli.

Da Notiziario Comunale – aprile 1975 (archivio Giordano Minora)

Millenovecentosettantacinque. La cosiddetta maggiore età si abbassava a 18 anni così come il diritto di voto; le Camere varavano il nuovo diritto di famiglia che equiparava i coniugi e apriva la strada alla successiva legge di parità uomo-donna sul lavoro e nelle professioni; il primo effetto tangibile di questa legge, sul mio posto di lavoro, fu che sparì la distinzione dei cartellini in due differenti orologi marcatempo: quello maschile e quello femminile.

Oggi Claudio è ricordato insieme a Zibecchi, a Milano anche con una bella lapide in piazza Santo Stefano; sempre a Milano, un istituto tecnico porta il suo nome, così come a Bollate la via che porta agli istituti tecnici. Però… però serve anche ricordare che il percorso di riconoscimento politico di quell’assassinio non fu semplice: qui a Bollate per alcuni anni, amici e compagni misero targhe sul Comune (vecchio) e in piazzetta davanti all’asilo, che puntualmente la giunta di sinistra rimuoveva.

A sinistra, monumento e lapide dedicati a Claudio Varalli e Giannino Zibecchi, collocato in piazza Santo Stefano a Milano. A destra, Monumento e lapide commemorativa posta all’ingresso dell’ITC Erasmo da Rotterdam di Bollate nella via intitolata a Claudio Varalli (Foto Giordano Minora)

I tempi erano quelli, e anche a Bollate ad un carabiniere “scappava un colpo di moschetto,” mentre un presidio pacifico manifestava in opposizione, alla presenza in consiglio comunale, di un esponente neofascista .

I ricordi fanno la nostra storia individuale e collettiva, non sono polvere da cacciare sotto il tappeto, come purtroppo sta accadendo al murales dedicato a Claudio che si dipinse nel corso di una festa di Democrazia Proletaria sul muro di cinta della ex Leon Beaux al parchetto di Via Fabio Filzi a Baranzate, e che oggi si deteriora vieppiù dietro gli alberi dello stesso. È troppo romantico pensare di ristrutturalo?

Antonio Lareno

COCCI DA RICOMPORRE

Nei giorni in cui Claudio e Giannino vennero uccisi, avevo già fatto la mia scelta di aderire alla lotta armata contro il sistema con il sogno, come loro, di costruire un mondo più giusto e umano. La violenza eletta a metodo di lotta, perché la “violenza è la levatrice della storia”; almeno così si credeva.

Colpi di spranga e di pistola contro coloro che si ritenevano nemici erano vissuti come “il mezzo necessario giustificato dal fine nobile”; per gli uni combattere il sistema capitalistico, per gli altri difenderlo. Ma la rivoluzione salvifica non si compì. Nella società intera, come tanti vasi preziosi che via via erano andati in frantumi, lasciarono per terra un’infinità di cocci: fatti di vite umane, sogni, aspirazioni…Cocci dolorosi. Che ancora gridano.

Il murales dedicato a Varalli, dipinto in occasione della festa di Democrazia Proletaria nel parco di via Filzi a Baranzate ( per gentile concessione di Antonio Lareno)

La narrazione e la ricerca delle radici di chi non è più con noi, è il mezzo più utile per vivificare un’identità collettiva che guardi al futuro. Un primo passo per aprire la possibilità di ricomporre quei cocci e, nella bellezza dell’impermanenza, restituire a quel vaso prezioso la sua funzione. Come ci insegna il “Kintsugi”, quell’arte giapponese di ricomporre i pezzi del vaso rotto e passare sulle sue crepe la polvere d’oro: i segni delle fratture non vengono negati, ma l’oro le può rendere uniche e preziose.

Si può fare. Ma ognuno deve avere il coraggio e l’onestà di mettere in evidenza i propri cocci, tirandoli fuori da sotto il tappeto della memoria rimossa, delle paure, dell’indifferenza, dell’orgoglio di un’appartenenza passata e ormai vetusta, e cos’altro ancora…

Cocci impolverati, sbriciolati, ma ancora vivi: capaci di produrre ancora oggi dolore, insicurezza, sensi di colpa mal celati, rimozioni che nascondono ma non risolvono. Ferite ancora aperte perché mai curate nel giusto modo. Ma si può fare. Le esperienze di Giustizia Riparativa in corso nel nostro Paese danno un segno forte di speranza; perché ci aiutano a ricostruire un’identità collettiva più forte e preziosa, proprio affrontando, e cercando di curare, le ferite del nostro recente passato, su cui passare la polvere d’oro. E questo per me è oggi il viatico per onorare fino in fondo la memoria di chi, come Claudio, non c’è più e dare senso al proprio sacrificio.

Franco Bonisoli

Una vita a maneggiare notizie tra giornali, radio e tv,  tanto da farne un libro autobiografico, Ho fatto solo il giornalistaMilanista da sempre, (ritiene che la sua più bella intervista l’abbia realizzata con Gianni Rivera), appassionato di ciclismo, (è coautore del libro Una storia su due ruote), amante della musica jazz (è presidente dell’Associazione Bollate Jazz Meeting). Gaudente a tavola, soprattutto in buona compagnia.  Insomma, gran curioso di storie, di umani e di situazioni.
Paolo Nizzola

Ha sempre coltivato diverse passioni. La musica nei suoi aspetti più vari, la fotografia, la storia locale e lo  sport sono sempre stati al centro dei suoi interessi. Una costante curiosità per tutto ciò che lo circonda lo ha portato a conoscere molti jazzisti italiani e americani o a scoprire aspetti dimenticati di quanto avvenuto in passato nella sua città. Ha collaborato alla realizzazione delle pubblicazioni Bollate 100 anni di immagini (1978), Una storia su due ruote (1989), Il Santuario della Fametta (2010), La Fabbrica dimenticata (2010), Il soggiorno a Bollate di Ada Negri (2014). Ha curato anche diverse mostre fotografiche, fra le quali La prima guerra mondiale nella memoria dei Bollatese (2015), La Fabbrica dimenticata (2010), I 40 anni di Radio ABC (1977). È tra i fondatori dell’Associazione Bollate Jazz Meeting (1994) di cui è segretario.
Giordano Minora