Ricordo che in quegli anni, studiando a Milano, condividevamo tra giovani pendolari la doppia percezione: da un lato l’avventura della grande città e dall’altra l’accogliente cittadina in cui abitavamo, quella della famiglia, degli amici e anche delle istituzioni, per noi importante.
Ad esempio: quando gli scontri e gli inseguimenti, con i temuti “sanbabilini” o i cosiddetti “celerini”, ci costringevano a trovare rifugio, avevamo due precisi istinti di orientamento: uno puntava verso l’Università Statale e l’altro era la Stazione Cadorna delle FNM; una sorta di propaggine familiare che ci faceva sentire in salvo e, salendo sul treno, abbandonare tutte le tensioni, raccontare tra noi quello che avevamo visto e subito, scaricare le paure, sfogare le rabbie e avviare i primi ragionamenti, tornando nella braccia della rassicurante comunità.
Claudio Varalli era uno di questi. Appassionato militante del Movimento Studentesco, non gli bastava la vita “milanese” d’impegno e attività politica.
Abitava a Baranzate e viveva da vicino la questione della casa, poiché il suo quartiere era, a quell’epoca, fagocitato dai problemi abitativi che un’urbanistica selvaggia e una difficoltà economica esasperata, avevano generato condizioni di vita; di cui solo le forze politiche storiche, PCI e DC in primo luogo e le Acli, di cui ero militante, affrontavano le contraddizioni.
Claudio fu attratto dalla nostra militanza giovanile che ci portava a estendere le iniziative nel territorio (allora, oltre Bollate e Baranzate ci si muoveva anche verso Senago, Novate, Arese) e a cercare anche un senso laico, nel servizio ai cittadini, una mediazione con la propria visione ideologica. La casa e le sue problematiche, in quegli anni, con le prime occupazioni, era in testa alla classifica delle urgenze sociali; seguivano poi le autoriduzioni delle bollette telefoniche, le discussioni sui primi piani urbanistici e la grande novità dell’avvento dell’Unità Socio Sanitaria Locale e le tematiche della selezione sociale scolastica.
Queste radici concrete del fare politica, portarono Claudio a frequentare anche le Acli e Gioventù Aclista, partecipando alle nostre iniziative e anche ai corsi di formazione che si tenevano di solito a San Michele in Val Formazza., dividendo con noi impegno e risate .
Per questo fummo storditi, quando ci giunse la notizia della sua morte a Milano, in condizioni così selvagge da distruggere immediatamente la nostra immagine romantica di città, di valore ideale della politica e di futuro. Troppi giovani, al di là degli opposti schieramenti, pagavano con la vita una testimonianza non obbligata, non necessaria rispetto agli argomenti in campo, che spesso finivano per sembrare pretesti per trasformarli in martiri.
Richiamare alla mente (e al cuore) l’esperienza partigiana fu un attimo e nacque così l’accezione di “nuovi partigiani”, che raccoglieva in un triste elenco tante, troppe vittime della violenza sedicente politica.
Solo il tempo e la storia poi consentirono di ritrovare e difendere l’equilibrio fragile di un sistema democratico attraversato da troppe ingiustizie, tradimenti istituzionali e conseguenti rancori.
Ma quella notte il sangue era alle tempie e il sale nelle lacrime. Ci credevamo invincibili, ci sentivamo eroi.
Ci radunammo nella sezione Acli di Baranzate, con la mazzetta di tutti i giornali e le riviste acquistate in quei giorni e occupammo la notte a ritagliare, incollare su grandi tabelloni una enorme rassegna stampa, strumento che allora consideravamo indispensabile per dare un’informazione potente, che tanti articoli affiancati fornivano insieme ai nostri “tazebao”.
Ancora più sconvolgente, travolgente ed emozionante fu il funerale. Nel tragitto tra la parrocchia di Sant’Arialdo a Baranzate e il cimitero di Bollate, la statale Varesina fu letteralmente invasa, bloccando per ore la circolazione degli automezzi.