“Visitare i carcerati”

I volontari dietro le sbarre

“Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una nazione” (Voltaire)

La curiosità: è conosciuto come carcere di Bollate, ma è ubicato nel territorio di Baranzate. Il paradosso: a discapito di nome e funzione, è rinomato come una delle eccellenze del nostro territorio. In più di vent’anni di attività (è stato aperto nel dicembre del 2000), ha fatto cambiare idea ai tanti preoccupati detrattori di questo scomodo “vicino di casa”, grazie alle buone pratiche messe in atto, a cominciare dalla sua organizzazione: casa di reclusione a custodia attenuata, ossia detenuti (in media 1200 ospiti) che scontano la pena a porte aperte, le celle si chiudono solo la sera.

Fin da subito si è caratterizzato come modello nazionale di istituto penitenziario che punta alla graduale inclusione sociale, guadagnandosi una fama positiva per le sue svariate iniziative, effettuate in simbiosi con il mondo esterno, realizzando gli auspici dello storico parroco di Baranzate, don Livio Milani, quando nel lontano 1987, mentre divampavano violente polemiche sul progetto, ammoniva, “bisogna evitare di concepire il carcere come un complesso a sé stante, un qualcosa dal quale prendere le distanze. In realtà potrebbe rappresentare l’occasione per far sorgere attività caritative e di solidarietà che facciano del penitenziario un punto di riferimento e possano poi interfacciarsi ed estendersi al territorio cittadino”.

Rassegna stampa nel periodo della costruzione del carcere

Parole profetiche che, a distanza di decenni, hanno trovato conferma dalla voce della ex direttrice Cosima Buccoliero, “il carcere di Bollate è sempre stato un’officina di idee e un laboratorio di sperimentazioni, esempio di integrazione e di interazione con la comunità circostante”. A riprova, le molteplici attività sociali, culturali ed economiche che ruotano attorno all’istituto, dal celebratissimo ristorante “In Galera”, citato nientemeno che dal New York Times, alle cooperative che operano all’interno con l’intento di offrire ai detenuti competenze e nozioni di accesso al lavoro.

Cerimonia di inaugurazione del ristorante InGalera. Tra gli ospiti l’attrice Lella Costa – Foto Giordano Minora

Oltre alla ABC, catering e ristorazione; Cascina Bollate, si occupa di vivai, piante e coltivazioni; la celeberrima sartoria Alice; la Bee 4 – Altrementi, specializzata nell’assemblaggio di servizi di telefonia e gestione di macchinette per la distribuzione di snack alimentari; e ancora, Nuove Strade, produzione e vendita di oggetti di legatoria; la cartoleria personalizzata Zerografica; l’Atelier Impronte, tramite l’associazione Arte in Tasca offre oggetti di artigianato artistico; per non parlare della collaborazione con la Vetreria Fratelli Paci per le lavorazioni del vetro. Senza dimenticare che, durante l’emergenza pandemica, la falegnameria è stata trasformata a tempo di record in un laboratorio per la produzione di mascherine. Non mancano attività sportive, ricreative, culturali; su tutte, il teatro, la biblioteca, i due giornali interni (Cartebollate e Salute IngraTa).

Iniziative favorite e sviluppate grazie alla presenza encomiabile dei volontari, un esercito di quasi 400 persone di provenienze, culture e fedi differenti. Decine di associazioni, animate da un forte senso di partecipazione e umanità, che si mettono a disposizione in nome della reclusione riabilitativa.

Applicare la Misericordia

Sesta Opera San Fedele (denominazione che si richiama alla sesta delle opere di misericordia indicate dalla chiesa cattolica come forma caritativa), è una delle più antiche associazioni di volontariato carcerario operanti in Italia. Fa riferimento alla comunità milanese dei padri gesuiti e ha come missione quella di prestare assistenza morale e materiale ai carcerati e alle loro famiglie.

I primi volontari approdano all’istituto di Bollate attorno al 2002, grazie alla adesione di un gruppo di cittadini della zona. Tra i precursori, Santina Sereno e Rosanna Catalano, provenienti dalla parrocchia Sant’Arialdo di Baranzate. Il gruppo originario è formato da poco meno di dieci persone che arriveranno, negli anni, fino alle attuali quaranta. I servizi svolti inizialmente riguardano le forniture di occhiali e vestiario, in collaborazione con la Caritas di Bollate, sodalizio che diventerà risorsa preziosa per l’affiancamento degli assistiti ai domiciliari, insieme al segretariato sociale per il disbrigo delle pratiche burocratiche.

Contemporaneamente vengono promossi incontri di sensibilizzazione sulla questione carceraria con le parrocchie e gli oratori bollatesi, attraverso anche delle visite ai reclusi. Tra i progetti innovativi promossi da Sesta Opera, l’housing sociale per le misure alternative, serie di appartamenti nell’hinterland milanese per dare dimora a chi finisce la pena e, dal 2014, il corso di mediazione dei conflitti tra pari per le detenute, progetto pilota a livello nazionale ed europeo.

L’Associazione è attiva anche in “Oltre i confini”, un percorso sui temi della giustizia riparativa. Recentemente, ideato proprio da un recluso nostro assistito, è stato avviato il progetto RISELDA per l’educazione ambientale e la riduzione degli sprechi dentro la casa circondariale.

Titti Arena- portavoce Sesta Opera San Fedele

QUELL’UMANITA’ CHE SORPRENDE

Dieci anni fa, primavera 2011, entravo per la prima volta in un carcere, era la II Casa di Reclusione di Milano-Bollate. E anche se accompagnato da volontari di lunga data, che avrei affiancato per un po’ di tempo, un pizzico di tensione c’era. Cosa avrei fatto, chi avrei incontrato, erano le domande che mi ronzavano nella mente.

La nostra Associazione, Sesta Opera San Fedele, ci prepara con un corso, che ogni volontario frequenta durante l’anno in cui inizia l’attività in carcere, però quando sei coinvolto in prima persona qualche timore ti assale. Ti chiedi se farai le cose giuste in un luogo così particolare e complesso, tra regole e umanità varia, come può essere un carcere. Una volta dentro, ti rendi conto che le cose non sono giuste o sbagliate, ma ci sono solo i bisogni, anche materiali, delle persone che si trovano lì, persone che sicuramente hanno sbagliato, magari anche pesantemente, ma che sono e restano persone. Papa Francesco, in una lettera indirizzata ai detenuti del carcere di Padova, scrisse che in carcere ci sono “persone detenute”, ma che bisogna far sì che il sostantivo prevalga sempre sull’aggettivo.

Molte volte mi viene chiesto “ma cosa fai in carcere?” E allora racconti cosa fai, distribuisci i vestiti, partecipi ai laboratori, collabori per il cineforum, parli con gli educatori, ma la cosa che più ti viene chiesta, e per la quale non occorre nessun know how, è quella di ascoltare la persona che incontri.

In carcere ci sono tante persone che “ascoltano”: l’educatore, lo psicologo, gli agenti, fino ad arrivare al direttore, ma tutte queste persone rappresentano l’istituzione che si rapporta con la persona nel suo tempo di detenzione. Poi c’è il volontario, il volontario ascolta “gratuitamente”, non ha alcun fine cosiddetto “trattamentale”, ascolta la persona proprio perché chi ha di fronte è un uomo e a quel punto tra il volontario e la persona reclusa si instaura quell’empatia che porta il recluso a raccontarti il suo momento difficile che sta vivendo, i suoi problemi, le sue paure e alla fine ti dice grazie. E quando tu gli rispondi perché, lui ti dice: “perché mi hai ascoltato”.

Nel carcere tutti quei problemi che per noi “liberi” sono piccole cose, diventano ostacoli enormi. Dalla semplice possibilità di avere un paio di occhiali perché fai fatica a leggere, piuttosto che avere notizie dai familiari e tante altre spicciole necessità. Proprio la soluzione a queste minime richieste aiuta ad alleviare la pesantezza della reclusione.

L’istituto di Bollate è una struttura che, pur con tutti i suoi limiti, offre opportunità a chi vuole ricostruirsi una vita e ripartire, però molte volte questa volontà non riesce a concretizzarsi perché chi rientra nel mondo esterno, non ha più una casa disponibile, non ha più il lavoro. Proprio in queste situazioni, che appaiono spesso insormontabili, l’intervento del volontario è un sostegno essenziale, diventa il tramite per la ricerca della casa, magari anche temporanea, per trovare una occupazione, anche momentanea, per ricominciare una vita normale, senza la quale rischi di tornare sulla strada degli errori passati e commettere di nuovo un qualche reato.

E poi ci sarebbero tante altre cose da dire sulle diverse situazioni da affrontare dietro le sbarre. Ma  penso che la sintesi sia: dentro il carcere ho trovato un’umanità incredibile, inaspettata, sorprendente e che, in dieci anni di volontariato, da questa umanità sono più le cose ricevute di quelle che ho potuto dare.

Franco Motta -Volontario

Una presenza preziosa

E’ stato uno dei detenuti illustri della casa circondariale di Bollate, Roberto Formigoni, ex parlamentare e per 18 anni presidente di Regione Lombardia, nei 5 mesi di reclusione ha sperimentato e visto da vicino l’operato dei volontari.

“A mio avviso, è un‘opera preziosa la loro. Molto positiva perché, come detenuto, entri in contatto con gente seria che svolge con convinzione il suo compito e si dedica veramente con spirito di umanità e discrezione agli altri, in un ambiente non facile come quello del carcere, con una complessità di problematiche umane e materiali, una diversa dall’altra.”

Dove si riscontra maggiormente la loro funzione?

“Soprattutto è gente molto preparata e motivata. Consapevoli di aver a che fare con situazioni personali e caratteriali diverse da detenuto a detenuto, quindi occorre una grande capacità per saperle avvicinare , queste situazioni, non solo perché gravate dalla mancanza di libertà, ed emotivamente è un fattore determinante, ma anche da problemi connessi tra la fase di detenzione e la situazione esterna. Perciò, i volontari devono essere capaci di toccare le corde giuste per evitare di creare conflitti, interiori e non”.

Necessario quindi un approccio attento e nella massima discrezione ?

“Proprio perché ogni detenuto vive la sua situazione in modo diverso – c’è chi è assillato da problemi familiari, chi ha recriminazioni, chi rimpianti, chi rancori repressi – il volontario entra in contatto con l’aspetto psicologico e di interiorità, ma poi anche con quello più materiale, per questo più che un singolo volontario sono i gruppi di volontari ad entrare in azione contemporaneamente, sia attraverso le molteplici attività promosse, sia come punto di riferimento individuale”

Dunque il volontario offre supporto e speranza ?

“Esatto, la sua capacità è quella di sapere aiutare il carcerato, in un approfondimento della sua vicenda umana, cercando di aiutarlo a vivere la reclusione in maniera meno sofferta e angosciante, ma dando anche un contributo positivo per sapere guardare al dopo, proponendo soluzioni, in particolare collegamenti esterni. La questione lavoro e casa è una delle esigenze prioritarie e fondamentali per chi esce e, una volta fuori, necessita di essere accompagnato da un supporto adeguato per non interrompere il percorso di redenzione-inclusione avviato. Tuttavia, non va neppure trascurata l’importanza di poter lavorare in carcere, partecipando alle opere proposte dalle diverse cooperative o aderendo alle iniziative di socialità e culturali presenti; per me è stato molto importante e di sostegno il ruolo della biblioteca”.

Visto in questo senso, il carcere ha davvero una funzione di recupero?

“Indubbiamente, per come è strutturato, il carcere di Bollate sta svolgendo una missione rieducativa che va nella direzione inclusiva che si è proposto fin dalle origini e nel quale l’aspetto umano è prevalente; consente di instaurare reciproche relazioni solidali tra gli ospiti, non conflittuali e neppure episodiche, tant’è che io stesso, una volta uscito, sono rimasto in contatto con quelli conosciuti in cella”.

Paolo Nizzola

DIBATTITO DELLE FORZE POLITICHE

Le posizioni delle diverse forze politiche locali nel periodo della costruzione

Cronistoria della costruzione del carcere

Una vita a maneggiare notizie tra giornali, radio e tv,  tanto da farne un libro autobiografico, Ho fatto solo il giornalistaMilanista da sempre, (ritiene che la sua più bella intervista l’abbia realizzata con Gianni Rivera), appassionato di ciclismo, (è coautore del libro Una storia su due ruote), amante della musica jazz (è presidente dell’Associazione Bollate Jazz Meeting). Gaudente a tavola, soprattutto in buona compagnia.  Insomma, gran curioso di storie, di umani e di situazioni.
Paolo Nizzola

Ha sempre coltivato diverse passioni. La musica nei suoi aspetti più vari, la fotografia, la storia locale e lo  sport sono sempre stati al centro dei suoi interessi. Una costante curiosità per tutto ciò che lo circonda lo ha portato a conoscere molti jazzisti italiani e americani o a scoprire aspetti dimenticati di quanto avvenuto in passato nella sua città. Ha collaborato alla realizzazione delle pubblicazioni Bollate 100 anni di immagini (1978), Una storia su due ruote (1989), Il Santuario della Fametta (2010), La Fabbrica dimenticata (2010), Il soggiorno a Bollate di Ada Negri (2014). Ha curato anche diverse mostre fotografiche, fra le quali La prima guerra mondiale nella memoria dei Bollatese (2015), La Fabbrica dimenticata (2010), I 40 anni di Radio ABC (1977). È tra i fondatori dell’Associazione Bollate Jazz Meeting (1994) di cui è segretario.
Giordano Minora