Paolo Fabbro, il sogno libero della bellezza
La mia passione per la pittura risale a quando ero bambina. Questo per dire che l’ho sempre vissuto, questo sentimento, come qualcosa di materiale, di tangibile, un piacere estetico legato inscindibilmente a un’abilità manuale e a un’insopprimibile volontà di imparare. Paolo Fabbro per me, da quando ne ho visto e conosciuto l’opera, è sempre stato un punto di riferimento, un’idea artistica a cui ispirarsi, uno stimolo al miglioramento delle proprie aspirazioni. Chi dipinge sa, pur nella vaghezza delle prime intenzioni, che sulla tela vuole mettere qualcosa che ama o che amerebbe possedere e conservare nella memoria. Un paesaggio, un luogo, una veduta particolare. I quadri di Paolo Fabbro mi hanno sempre trasmesso la sensazione di luoghi e orizzonti che avrei potuto amare in modo struggente. Per questo, quando mi sono recata nel suo studio-laboratorio per un ciclo di lezioni sulla pittura a olio, mi sono immersa in un mondo incantato, nella scia di un’ispirazione che riusciva ad arricchire il pensiero e l’azione. Un moto artistico, o almeno la tensione, il tentativo di riprodurre il senso di una bellezza che amiamo contemplare a lungo. Ecco allora, la luce del maestro. Il silenzio e lo sguardo attento di Paolo Fabbro verso la tela dell’allievo, nell’attimo dell’insegnamento diventa precisione di giudizio e di forma. Il colore, la luce da cui prende vita ogni cosa, non è una tavola plastica univoca. Piuttosto, è un caleidoscopio di possibilità, uno spazio di libertà dove la ricerca della nostra verità può anche non coincidere con il reale. La paglia resa impura dall’opacità della polvere, può risorgere nel sole, con un giallo oro che digrada nel verde della prima foglia di granturco. Una bambina scalza può danzare nella sua vestina rosa, al centro di un’aia che brilla dopo la pioggia come un proscenio di preziose iridescenze. La realtà, per Paolo Fabbro e per il suo allievo, diventa la rappresentazione di un desiderio. Anche il colore diventa l’anelito alla trasfigurazione, al cambiamento, al sogno. Una tavolozza infinita a cui attingere, un mélange che non sopporta confini e limitazioni. Una ricerca infaticabile, gioiosa, dove la serenità dei campi e delle marcite, la quiete delle acque e dell’erba sono mossi dal vento di una liberazione estetica. La guida di Paolo Fabbro è quella di un maestro che gioca ancora con l’inquieta voglia di fare del bambino. Il suo è un insegnamento di libertà dionisiaca, l’invito a perdersi nell’universo infinito del colore. Per ritrovarsi e ritrovare nella pittura il desiderio accarezzato, sognato, e finalmente realizzato, della bellezza.
Mariangela Feliciello – allieva