“Su su..”, lo incoraggiò l’investitore,”non è niente; adesso ti dò una mano e ti rimetto in piedi”:
“ La gamba… pirla.. te m’é sceppà la gamba!.. Ciàma l’ambulansa… portum a l’uspedàl”, gemeva l’altro.
“Ma no che te gh’è nagòtt, l’è dumà una botta… Un cugnaghin e te passa tuscöss..”
E preso di peso sotto le ascelle l’investito, sordo alle sue urla di dolore, si sforzò di rimetterlo in piedi.
“La gamba !.. te m’é rott la gamba ostia!.. portum all’uspedàl!.. ciàma l’ambulansa!..”, continuava a gridare il povero “Bracciodiferro”, lo sguardo fisso nel buio del nebbione per vedere se per caso non passasse un qualcuno che potesse aiutarlo.
“Va drée no fa scénn per una botta de nient”, lo rimproverò spazientito il Torresani: “adéss te caréghi in macchina e ‘ndémm al “Gatto Verde”, te bévet un bel cugnaghin e te védet che te passa el stremisi”.
E così fece. Arrivò al “Gatto Verde” di via Madonnina a Novate, un trani come il “Moro”, di cui era habitué, consolando ed insultando insieme il ferito, che a suo parere stava facendo un’immotivata sceneggiata; fermò la giardinetta proprio davanti all’ingresso e provato inutilmente a far scendere il Toso, che urlava sempre più forte per il dolore, fattosi dare un bicchierino, “anzi damm un biccér”, di cognac glielo versò quasi a forza in bocca.