Da bambina venivo attratta da molte cose, ma per la banda musicale nutrivo una curiosità quasi morbosa. Con il passare degli anni, poi, l’ostacolo principale, in quanto femmina, era quello di non poterne fare parte. Tuttavia, anziché smorzare la passione, questo impedimento è servito ad aumentarla, pari passo con la crescente curiosità.
Così ho scoperto che papà Paolo, nato nel 1888, era entrato giovanissimo in quel nucleo di musicisti locali, allora diretti dallo zio Celeste Albani.
Con lo scoppio della grande guerra e la chiamata alle armi, questa esperienza si interruppe bruscamente. In trincea, il papà ebbe la fortuna di incontrare il maestro Guadagnini che gli diede insegnamenti e consigli che permisero di approfondire e perfezionare la sua tecnica. Tornato dal fronte e con lo zio Celeste ormai anziano, e con pochi musicanti superstiti rimasti, Paolo decise di ricominciare da capo. L’inizio fu difficile e faticoso, ma papà sosteneva che “lo spirito di corpo” aveva una funzione di stimolo e, forte di questa convinzione, riuscì a far rinascere la passione per la banda. Alla presidenza venne nominato Andrea Tizzoni che, animato da grande entusiasmo e premura, riuscì a spronare i titubanti e ad ampliare l’organico, tanto che fu necessaria una selezione, attraverso l’esecuzione di alcuni solfeggi, per poter accedere alla formazione. Esercizi che, in mancanza di una sede, venivano eseguiti a casa mia, con tutto uno strepitio di suoni a volte davvero assordante, ma vigeva il divieto di proferir parola, il “resgiò” teneva in mano la bacchetta da direttore d’orchestra, passatagli dallo zio Celeste, con tono severo e altero ed il silenzio era d’obbligo. Ci vollero doti energiche ed ostinazione che rasentava la testardaggine per far si che il corpo musicale raggiungesse la preparazione e il rigore interpretativo desiderato. E le affermazioni non si fecero attendere. In alcune giornate festive, la banda, con la sottoscritta sempre presente come mascotte, teneva nelle piazze o nei giardini delle trattorie con pergolato, familiarmente conosciuto come bersò, ricordo il Trentani in via Garibaldi, il Cech in via Roma, il sant’Ambroeus in via Cavour, concerti sempre affollati. Furono anni di grandi soddisfazioni. Con la presidenza del conte Giannino Radice Fossati venne accresciuto il suo prestigio, tanto che donna Beatrice Crivelli la fece esibire a villa Arconati a Castellazzo per intrattenere i suoi ospiti.
Non mancarono problemi di carattere politico da affrontare durante il fascismo, i dinieghi a partecipare a manifestazioni prettamente propagandistiche del regime venivano respinti con pesanti imposizioni di forza, creando conflitti personali all’interno del corpo, superati ,poi, dalla comune passione per la musica. Negli anni della ricostruzione del dopoguerra, il cammino della banda proseguì in modo più sereno , grazie all’apporto dell’amministrazione comunale, guidata dal sindaco Enrico Colombo, che finanziò l’acquisto degli strumenti musicali ,e di alcuni commercianti locali, in particolare Martino Cesati, detto il “bireè”, per la fornitura di carta da musica, pennini e inchiostro , materiale che serviva per trascrivere le partiture. Nel contempo si avviò anche una sorta di gemellaggio con la banda di Senago, in quanto il papà era diventato direttore anche di questo sodalizio.
Con la morte del prevosto don Carlo Elli, avveduto conoscitore dell’indole dei bollatesi, si manifestarono le divergenze tra chi voleva che la banda fosse di competenza municipale e chi di ispirazione parrocchiale. Di fronte a questa frattura, papà decise di abbandonare il corpo bandistico.
ROSA SANVITO CIMBRO – Maggio 1987.