Quella in programma una domenica pomeriggio, alla metà degli anni Sessanta, sul campetto in terra battuta dell’oratorio era davvero una supersfida, in palio c’era non solo la vittoria nel torneo a sette ma soprattutto la supremazia nei confronti dei cugini poco amati. La gara tra chierichetti e luigini aveva infatti tutti gli ingredienti della partitissima, una derby in chiave liturgica che animava le tifoserie. I luigini, con le loro cotte bianco azzurre, erano quelli che aprivano le processioni fungendo da avanguardia subito prima del transito del baldacchino con il santissimo sacramento e dunque vantavano una sorta di primogenitura rispetto ai chierichetti, che è vero erano sull’altare a “servir messa” ma erano meno considerati nelle gerarchie coreografiche dei grandi riti religiosi. Da qui lo spirito di competizione che dall’ambito ecclesiale sconfinava pure in quello più ludico del tirar calci a un pallone, figurarsi poi per quella finalissima. Fischio di inizio dell’arbitro Gaetano Quatela alle 16, tifo delle grandi occasioni, spalti, ossia il muretto che delimitava l’oratorio con i terreni dell’agricola Tosi, gremiti in ogni ordine di posti. Luigini in maglia biancoceleste, chierichetti con la divisa verde bordata di rosso. Incontro molto sentito, con i primi, capitanati da Sandro Borroni, che si fanno più volte minacciosi verso la porta difesa da Elvio Gessaghi che riesce a neutralizzare un paio di insidie. L’allenatore dei chierichetti, Espero Marangoni, ha impostato una tattica sulla difensiva basata sul gioco di rimessa, lasciando spazio alle conclusioni da fuori degli avversari che però non sortiscono alcun effetto. Primo tempo che si conclude a reti inviolate. Nella ripresa cresce la tensione sia in campo sia sugli spalti, dove i supporters di entrambe le formazioni, guidati rispettivamente da Roberto Campagnoli, luigini, e Natalino Bruni, chierichetti, si fanno sentire con un tifo che aumenta di intensità e rumore ad ogni azione, il risultato però non si sblocca, A pochi minuti dalla fine c’è un calcio d’angolo per i chierichetti, battuto da Peppino Ottoboni dal lato prospicente la scaletta che porta alla cabina di proiezione del cinema. Il pallone, calciato ad effetto, arriva in area, sorvola le teste di un nugolo di giocatori e, mentre sta compiendo la parabola discendente e sta per finire la sua corsa fuori dalla portata di tutti, quasi fosse una visione celestiale lo vedo atterrare verso di me, rimasto solo nei pressi della porta avversaria, il tempo di inginocchiarmi e di colpirlo di testa infilandolo dritto a fil di palo. Gol, 1 a 0, inutili le proteste dei luigini che reclamano un fallo sul portiere nella mischia che si era creata. Indescrivibile la mia gioia e quella dei miei compagni per una rete inaspettata quanto casuale ma dal valore importantissimo. Il rabbioso forcing finale dei biancocelesti non da esito, la difesa chiude ogni varco possibile, e poco dopo Quatela da il triplice fischio e manda tutti negli spogliatoi. Trionfo dei chierichetti che conquistano una coppa che troneggerà per diversi mesi sull’armadio dei paramenti in sacristia a simboleggiare il primato sui cugini. Grande esaltazione per tutti noi: un’euforia talmente esagitata manco avessimo vinto la coppa dei campioni. Al contrario, tanti sfottò per gli sconfitti.
Quel celestiale colpo di testa, in ginocchio e a fil di palo, me lo porto dentro come uno dei momenti più entusiasmanti dell’infanzia.
PAOLO NIZZOLA