Quando arrivò il giorno stabilito per la premiazione, davanti al Circolo della Stampa di Milano, in corso Venezia, c’erano diversi pullman gremiti di scolaresche vocianti che, insieme ai rispettivi maestri, accompagnavano gli altri vincitori del premio. Io invece ero sola con mio padre.
Entrammo negli sfarzosi saloni, un po’ intimiditi da tutti quei marmi, stucchi dorati, grandi specchiere e preziosi arazzi. I premiati, chiamati ed elogiati uno per uno dal presidente della giuria, ritirarono le rispettive medaglie, acclamati dalle tifoserie dei compagni. Quando venne il mio turno temetti che sarebbe stato mio padre il solo ad applaudire, invece, forse mossi a compassione, applaudirono anche tutti quelli seduti nella nostra fila e nella fila retrostante.
Mio padre era commosso e fiero di me, ma certo era anche infuriato nei confronti della mia scuola. Come mai gli altri premiati avevano compagni e insegnanti al seguito, mentre noi eravamo soli?
Il giorno successivo andò a protestare con il dirigente scolastico, che allora era detto “il direttore”. Questo, alle parole di mio padre rispose con scostante altezzosità che la scuola non era stata avvisata e non mostrò il minimo segno di rincrescimento, Mio padre non ci credette e, dopo aver insistito invano per ottenere precisazioni sullo strano disguido, constatata l’impossibilità di venirne a capo, ritenne che fosse più conveniente chiudere lì la questione per evitare a me strascichi fastidiosi.
A me poi, dovendo giustificare l’assenza del giorno precedente, toccò anche raccontare alla maestra che ero andata alla premiazione e nel farlo provai un disagio estremo, come se fossi in colpa per aver ricevuto quella medaglia senza aver mai ottenuto da Lei una sua parola di lode. Stava scrivendo su un registro, non alzò neanche per un attimo lo sguardo su di me, e quando io finii di parlare pronunciò un indifferente: “Ah sì?”, continuando a scrivere.
Di quella mia premiazione non si fece mai parola nella classe, come se fosse una cosa disonorevole da nascondere. Ma io raccontai segretamente la cosa e mostrai la medaglia alle mie vicine di banco, che, naturalmente, si meravigliarono della cosa e mi fecero mille complimenti.
In seguito l’atteggiamento della maestra nei miei confronti rimase sempre immutato, procurandomi un crescendo di amarezza e ingigantendo sempre più il dubbio che già era in me. E ancora oggi, che ho superato i 70 anni, quel dubbio rimane irrisolto.
ROSARIA STAMERRA