Una carriera a più livelli
“Posso fare servizio allo Splendor?” Primo rigurgito di emancipazione, a conclusione di una domenica pomeriggio in oratorio dopo i giochi, la dottrinetta e la benedizione in chiesetta.
La risposta non era affatto scontata. Martino, il boss, vigilava sulla selezione in base alla disponibilità, alla promessa di impegno costante e a una prova che durava qualche settimana, prima di essere messo in turno.
L’entry level era “stracciabiglietti”: quattro giovani a presidio delle rispettive entrate, fregiati con una targhetta blu con ricamato in oro “Splendor” che, con l’anzianità, si sarebbe abbandonata; segno di una riconoscibilità acquisita sul campo. Il compito non era privo di difficoltà, una su tutte saper far fronte alle richieste degli amici per un ingresso gratuito fingendo una distrazione, così come la sorveglianza durante il caotico assalto al bar durante l’intervallo, vero anello debole nell’azione di controllo.
In questo servizio volontaristico spiccavano alcuni vantaggi: l’accesso gratuito alla sala in qualsiasi momento e per qualunque spettacolo e, talvolta, la disponibilità di biglietti omaggio per due persone, esibiti con grande fierezza per far presa sugli invitati.
Col tempo lo sviluppo di carriera prevedeva tre diverse specializzazioni: la maschera, il cassiere e l’operatore di cabina, ciascuna con le proprie capacità.
La maschera ostentava autorevolezza e determinazione nell’accompagnare al posto, far rispettare il silenzio e l’educazione ma, soprattutto, limitare le effusioni che – galeotto il buio – le coppie preferivano al film.
Il cassiere, o meglio, la cassiera, ruolo prevalentemente in quota rosa, godeva di assoluta fiducia ed affidabilità; ne dipendevano sia gli incassi ma ancor più la fedeltà delle dichiarazioni Siae, vero e proprio giogo burocratico a cui ottemperare. Per noi “stracciabiglietti” le cassiere erano una gradita compagnia, a volte molto gradita, con cui chiacchierare, facendo molta attenzione a non appoggiarsi alla biglietteria per salvaguardare il decoro e, meglio, il sedere dai calci improvvisi di Martino.
L’operatore di cabina era il tecnologo, l’esperto della magia della proiezione, il volto ignoto agli spettatori, ma ammirato dalle maestranze. Il mestiere veniva trasferito in affiancamento all’operatore esperto, l’accesso alla cabina di regia era riservato e la comunicazione avveniva attraverso un citofono collegato alla biglietteria, da cui venivano impartiti gli ordini di avvio, sospensione e regolazione della “finestrella”: messaggio idiomatico che ti rendeva adepto ma il cui significato per noi “stracciabiglietti” è ancora oscuro.
Mario Pagani