QUELLI CHE LO SPLENDOR

50 anni di cinema

Cinema teatro Splendor chiuso per la pandemia.

Gli passi davanti e ti avvolge un senso di tristezza, luci spente e vetrine degli annunci vuote: lo Splendor è chiuso da un anno causa pandemia.

Certo non il modo migliore per immaginare un percorso che dura da più di 50 anni, traguardo tagliato nella primavera del 2019, perché la sala parrocchiale rappresenta da sempre un punto di riferimento, non solo per l’attività cinematografica, ma come polo artistico tra concerti, teatro, conferenze; un autentico luogo di incontro per la vita bollatese; non per niente, ha fatto da cornice, il 13 aprile del 1985, alla cerimonia di consegna del titolo di città, da parte dell’ allora presidente del consiglio Bettino Craxi, entrando di diritto nella storia locale.

A sinistra, l’area su cui sarebbe sorto lo Splendor, vista dal campanile nei primi anni Cinquanta – Archivio Giordano Minora. A destra, lo Splendor visto dalla stessa prospettiva – 2018, Foto Giordano Minora

Tuttavia, al di là della sua funzione culturale, lo Splendor è anche il racconto di una bella e significativa pagina di coinvolgimento corale, un positivo esempio di gratuità: centinaia di persone che, nel corso di questo mezzo secolo, hanno dedicato con passione, entusiasmo, abnegazione, parte del loro tempo al suo servizio, ognuna ricoprendo ruoli e mansioni diverse, tutte però animate da un senso comunitario di appartenenza ad una causa ideale.

Espressione di un volontariato sociale a favore di una buona pratica. Ed è proprio grazie a queste testimonianze di impegno, diventate esperienze di vita vissuta, che ha potuto alimentare e sostenere il suo mezzo secolo di cammino.

Una vita in technicolor

“Deve essere uno splendore? Allora chiamiamolo Splendor”. Ho risposto così alla domanda di mons. Giuseppe Sala, nel lontano 1967, quando si è avviato il cantiere del nuovo cineteatro parrocchiale da lui fortemente voluto. Da quella risposta è scaturito il nome di un’avventura che mi vede protagonista, con decine di altre persone, da più di mezzo secolo. Unendo le licenze di due storiche sale cinematografiche del passato, il cinema Oratorio e il Garibaldi, riuscimmo ad ottenere l’autorizzazione per realizzare un ambiente da 796 posti. In quest’ambiziosa impresa “cinematografara” mi accompagnavano, insieme alla benedizione di monsignore, Aldo Basilico, per la parte finanziaria, e Carlo Citterio, grande esperto di contratti con le case di distribuzione, che provenivano dalla vecchia gestione oratoriana.

Progetto dell’architetto Pietro Ferrari, impresa Scotti di Cassina Nuova, la costruzione avvenne sul terreno che si incuneava tra le case dei sacerdoti di allora, don Angelo Allievi e don Virginio Poma.

Il disegno del nuovo teatro, progettato dall’architetto Pietro Ferrari  – Archivio Parrocchia San Martino

La demolizione degli edifici esistenti sull’area per far posto al nuovo Teatro – 1967 Archivio Parrocchia San Martino

Posa della prima pietra per la costruzione dello Splendor – 1967 – Archivio Parrocchia San Martino

Mons. Giuseppe Sala in visita al cantiere dello Splendor – marzo 1969

La sala a lavori ultimati prima – Aprile 1969 Foto C.Sassi. – Archivio Parrocchia San Martino

Il 19 aprile 1969, l’inaugurazione ufficiosa, causa questioni burocratiche, con “Uomini d’amianto contro l’inferno”, attore principale John Wayne. La settimana successiva quella ufficiale, “Romeo e Giulietta” di Zeffirelli. Pochi giorni dopo, il Piccolo Teatro metteva in scena “Arlecchino servitore di due padroni”, per la regia di Giorgio Strehler, interpretato da un giovane Ferruccio Soleri.

E poi via, con un susseguirsi di proiezioni, inframmezzate da spettacoli teatrali, concerti, conferenze, serate benefiche. Naturalmente a far la parte del leone, il cinema, inizialmente aperti tutta settimana, tranne il venerdì.  Martedì, mercoledì e giovedì un film, da sabato a lunedì un altro. Nei feriali si cominciava alle 20,30, ripetendo il primo tempo per i ritardatari. La domenica 16,30 e 20,30, con replica del primo tempo.

I primi tre film proiettati

Il parroco Don Giuseppe Sala fa il suo ingresso per la cerimonia di inaugurazione dello Splendor – giugno 1969 – Foto C.Sassi. – Archivio Parrocchia San Martino

La lettera a firma dell’allora sottosegretario Giulio Andreotti con la quale venne concessa, all’allora parroco don Carlo Elli, l’agibilità per l’avvio del Cinema teatro all’interno dell’Oratorio – 22 maggio 1950 – Archivio Giordano Minora.

Con la crescita dell’affluenza, cambio di orari: la domenica ben 5 proiezioni, 14,30-16,30, 18,30-20,30, 22,30; apertura al venerdì per il week end e conseguente chiusura il lunedì.

Il cinema “tirava” e necessitava di un grande supporto di personale, attorno alla sua attività gravitavano circa 120 volontari, tra loro molti ragazzi che l’assistente dell’oratorio, don Angelo Gervasoni, incoraggiava a partecipare come forma di impegno verso gli altri. Oltre alle maschere in sala – di solito persone adulte – servivano 4 “stracciabiglietti” all’ingresso, un cassiere, due operatori in cabina, due attacchini per le affissioni settimanali, mentre il bar era in gestione alla famiglia di Raffaele Poltronieri, che fungeva anche da custode abitando nell’edificio.

Elio Schieppati e Aldo Basilico con il secchio della colla e la scala, pronti per le operazioni di attacchinaggio. Foto gentilmente concessa da Carlo Carli 

Il primo proiettore installato – 1969

Il primo staff di volontari guidati da Martino Tuzzi – 1969 – Foto C.Sassi – Archivio Parrocchia San Martino

Sala pressoché piena nei fine settimana, spesso si registrava il tutto esaurito con gente seduta sugli scalini o in piedi lungo gli scorrimenti, in occasione di titoli come “Via col Vento”, “Indianapolis pista infernale”, “lo chiamavano Trinità”. Se ci penso, mi vengono ancora i brividi per i rischi di sovraffollamento che abbiamo sottovalutato. Durante la settimana si proiettavano le cosiddette pellicole coda, legate alla acquisizione di prime visioni, oppure si puntava su rassegne quali, film musicali, western o la saga di don Camillo.

L’irrompere delle tv commerciali, delle videocassette e poi delle visioni in streaming, ha fatto mutare i gusti di fruire lo spettacolo; l’andare al cinema è passato di moda. Di conseguenza, apertura solo nel fine settimana, venerdì e sabato, a partire dalle 21, la domenica 16,30 e 21,15, il martedì spazio al ciclo di cineforum e, periodicamente, il lunedì concerti musicali o rappresentazioni teatrali con gli appuntamenti stagionali di Bollate Jazz Meeting e la compagnia teatrale Gost.

Concerto della Monday Orchestra  con Fabrizio Bosso 
Concerto dei Ribelli-dicembre 2016
Platea esaurita per il concerto de I Solitari 
Batteristi in azione per il gran finale della lunga notte della batteria-2017

Il Teatro Splendor esaurito in occasione del concerto del pianista americano Kenny Barron – 9 marzo 2009 – Foto Giordano Minora

Meno presenze, minor capienza: per adeguarci alle normative abbiamo ridotto i posti, 616 con nuove poltroncine ignifughe.

Poi è arrivata la rivoluzione del digitale, addio alle pellicole a favore di computer ed elettronica. Nell’ottobre 2014 siamo stati costretti a chiudere per far fronte alla dispendiosa operazione di adeguamento tecnologico. È stato lanciato l’appello “Sos Splendor” per recepire i finanziamenti necessari, con un’ampia mobilitazione tra la cittadinanza a diversi livelli, anche attraverso eventi finalizzati alla causa.

Il manifesto-appello del concerto Sos Splendor e,a fianco,  il sostegno dei due musicisti Uri Caine e Han Bennink 

Nel 2016, la riapertura con la completa computerizzazione, messa a punto con la consulenza di quel genio di Stefano Doniselli. Nuove generazioni di collaboratori e volontari si sono avvicendati; attualmente sono una quarantina, coordinati da Giancarlo Galluzzi e Gian Mario Pirola.

La mia è stata una vita interamente assorbita da questa esperienza; ho conosciuto tutti gli aspetti del mondo in technicolor: dalla programmazione al montaggio delle pellicole (magari apportando, in talune circostanze, qualche taglio per scene non troppo edificanti tra sesso e violenza, eravamo pur sempre una sala parrocchiale), alla gestione della struttura, ai rapporti con la Siae e i contratti con le case cinematografiche. Un compito che ho potuto assolvere grazie ai collaboratori passati e presenti, ai vari parroci susseguitisi che mia hanno sempre rinnovato la fiducia, alla pazienza di mia moglie Giovanna: mi ha supportato e sopportato nell’operato di quella che definisce la mia vera casa.

Adesso l’auspicio è quello di poter rialzare il sipario: abbiamo ancora tanti chilometri di immagini da proiettare, seppure in hard-disc.

Martino Tuzzi

Il sorriso di Martino Tuzzi per la platea gremita dello Splendor – 2018 – Foto Giordano Minora

Carlo Citterio e Aldo Basilico, con l’ispettore SIAE, Vincenzo Cherubini ( al centro) nella platea che veniva allestita nella stagione estiva nel cortile dell’Oratorio per le proiezioni all’aperto – Primi anni Sessanta. Archivio Parrocchia San Martino

Il battesimo in cabina

Ho iniziato molto presto a prestare servizio al cinema, il mio primo compito? Salire su una sedia per mettere la bobina nel proiettore in supporto al proiezionista. L’esordio da operatore: “La battaglia di Algeri”, pomeriggio di una afosa domenica primaverile, da solo in cabina; all’afa asfissiante si aggiunge il calore del carboncini del proiettore. Decido di prendere una boccata d’aria sul balconcino. D‘improvviso sento fischi, urla, come quando qualcosa andava storto, rientro di corsa e vedo sul monitor l’immagine sfocata e la rottura della pellicola. Attimi di angoscia, gambe che mi tremano, mi riprendo e faccio una veloce verifica, di colpo il panico svanisce e tiro un sospiro di sollievo, quella visione distorta e quel rumoreggiare degli spettatori era solamente una scena del film che stavo proiettando. Con qualche brivido, il mio battesimo in cabina è stato celebrato.

Luigi Dell’Acqua

Maschera & Attacchino

Ho cominciato come maschera e rammento ancora l’orgoglio che si provava nel cercare i posti a sedere in una sala quasi sempre gremita. Talvolta gli spettatori erano addirittura stipati sui gradini perché non c’erano più sedili a disposizione; quante volte abbiamo dovuto chiudere le porte e rimandare alla visione successiva, causa tutto esaurito. Poi sono stato promosso attacchino, in compagnia del compianto Amerigo Merlino; di sera, due o tre volte alla settimana, dopo aver preparato la colla, si prendevano secchio, pennelli e scaletta: caldo, freddo, pioggia o neve, si inforcava la bici e via ad attacchinare nei vari tabelloni predisposti in paese. Quando c’erano film di cassetta, facevamo attacchinaggi extra, appendevamo mega poster in luoghi di maggior visibilità, uno dei più lunghi da installare è stato quello della “Tenda Rossa”, occupava l’intero muro di cinta prima del cimitero. Un altro compito era quello di distribuire le locandine nei negozi e spingersi poi fino a Castellazzo per l’affissione sul pannello in corte Grande. Ma quest’operazione era più semplice: si faceva con la Seicento di Carlo Citterio.

Marcello Tonetto

Il borderò

Arrivavo verso la fine dell’ultimo spettacolo serale per compilare il borderò, registro composto da 150 fogli. Per ogni proiezione bisognava compilarne tre, uno per la SIAE, quello di colore diverso per la casa distributrice, il terzo come archivio; si registrava il numero dei biglietti staccati e il relativo incasso. Dopo questa operazione, la suddivisione delle aliquote: tasse erariali, spettanze per il produttore, per le associazioni di categoria, per la stessa SIAE. Il lunedì si consegnava tutta la documentazione alla sede di Rho della società degli autori, al pianterreno di un palazzone dietro il Santuario. Qui veniva il bello, l’esattore, un tipo pignolo con tanto di mezze maniche nere sulla camicia, trovava sempre qualcosa che non quadrava nei conti che scrivevamo a mano. Prendeva la calcolatrice e li ripassava cifra per cifra. Il cazziatone finale era un classico. Spesso ce lo trovavamo anche, insalutato ospite, a controllare le casse durante la proiezione. Addirittura, una volta, non trovando niente da contestare, si recò nel vicino bar dell’oratorio riscontrando, con tanto di multa, una irregolarità fiscale nel calciobalilla. Poi sono arrivati i computer con le procedure effettuate in automatico e in tempo reale. La mia mansione è andata in archivio. Chissà se sono cambiati pure gli addetti della SIAE o sono ancora dei cerberi?

Luigi Ghezzi 

Il manifesto del film “Il Turno”, uscito nel 1981, con Laura Antonelli, dopo il trattamento del “comitato censorio” – Foto Giordano Minora (1981)

Strehler e la martellata alla scala

Primavera 69: si inaugura lo Splendor. Per noi ragazzi del Reggimento Oratorio era una sorta di passaggio come fossero le scuole superiori. Venivamo dal glorioso cinema Oratorio e, diventando grandi, si entrava nello Splendor. Debutto con una commedia che arriva dal Piccolo Teatro di Milano: ”Arlecchino servitore di due padroni” di Carlo Goldoni, regia di Giorgio Strehler. È mattina, siamo curiosi e ci affacciamo ai vetri dell’atrio della sala sperando di intravedere attori, costumi, scenografie e quant’altro avevamo, fino a quel giorno, solo immaginano. Ad un certo punto Martino seleziona alcuni di noi a fare da garzoni/assistenti ai navigati tecnici di scena che montano il palcoscenico. Vediamo spostare quinte, scenari, costumi, luci, sentiamo parlare un lessico a noi sconosciuto, carico di termini tecnici. Tutto ci sembra completamente diverso, abituati, come eravamo, ad una dimensione ridotta da cinema di paese. Vengo assegnato a passare gli attrezzi a un navigato tecnico, per evitargli di scendere e salire dalla scala. Si chiama Gino, alto, magro, viso scavato, ha l’aria di aver girato il mondo al servizio di una delle compagnie teatrali più famose e prestigiose. Indossa una vestaglia nera con una etichetta sul cuore “PICCOLO TEATRO“, a significare più che un brand, un simbolo di appartenenza portato con orgoglio.

Ad un certo punto chiedo, ma Strehler dov’è….? Lui mi guarda, sorride e con l’aria di chi la sa lunga mi dice: “E chi lo vede…? Forse verrà stasera essendo la prima in questo paese, ma non è detto….”.

Pochi minuti dopo, una voce non troppo bassa annuncia: “arriva il Regista”, i tecnici continuano il loro lavoro con disinvolta nonchalance.

Lui entra alto, dal passo possente, aspetto austero che trasmetteva autorevolezza. Look total black come suo solito, pantaloni e maglione nero che facevano risaltare ancor più la capigliatura bianco candido. Guarda, scruta, controlla o fa finta di controllare, tanto sa che quei tecnici le avranno montate centinaia di volte quelle scene.

Il regista Giorgio Strehler che ha messo in scena con Il Piccolo Teatro “Arlecchino servitore di due padroni” – evento inaugurale  nella primavera 1969 
Gli attrezzi del mestiere del “comitato censorio ” Foto Giordano Minora

Seduto in prima fila, con l’aria del supervisore, d’improvviso con voce perentoria ammonisce: “raddrizzare quella quinta, non vedete che è storta…?” Gino mi guarda dall’alto della scala, “è la nostra quinta”. Strehler non ci vede, vede solo il palcoscenico nella sua maestosità. Gino mi chiede il martello e anziché battere sul tirante batte sul legno della scala. La quinta resta immobile ma ondeggia leggermente. Il Maestro risponde, sempre con tono perentorio, “ottimo, cosi va bene”. Gino mi strizza l’occhio come un suggello di complicità. Poi Strehler se ne va, concludiamo il lavoro e ci salutiamo con il nostro piccolo/grande segreto. Ma quella martellata alla scala, la ricordo ancora e la porto con me.

Giovanni Nizzola

Quando Ursula Andress indossò (suo malgrado) il costume intero

E’ una delle scene più famose della storia del cinema, l’apparizione dalle acque di Ursula Andress con un bikinl piuttosto accattivante nello 007 “Licenza di uccidere”. Quella immagine in bella mostra sul manifesto, dai responsabili dello Splendor venne considerata un po’ troppo osé e fu impartito l’ordine di mascherare l’impatto visivo con una adeguata ristrutturazione.

Un’apposita task force, armata di pennarelli neri, lavorò diverse ore quella domenica sera per trasformare il due pezzi di Ursula in un castigato costume. Il risultato di copertura, a prima vista, pareva ottimo. Senonché, una volta posto il manifesto nella vetrinetta luccicante, il controluce metteva in risalto le correzioni di colore, suscitando perplessità e commenti non proprio edificanti ai passanti che ironizzavano sulla operazione restyling. Ma accadde di peggio: appena Amerigo, l’indimenticato attacchino, ultimò il giro di affissioni, cominciò a piovere a dirotto e il nero della coloritura si mise a colare sui manifesti, spargendosi sui marciapiedi, svelando l’inganno e creando uno spettacolo a dir poco grottesco. Insomma, la toppa peggio del buco.

Lo stesso film ma con durata diversa

Se lo spettacolo del venerdì sera era piaciuto, poteva capitare di tornare la domenica con la famiglia per rivederlo. Ma allo Splendor si trovava la sorpresa: la proiezione aveva una durata inferiore e, a tratti, diventava incomprensibile. Ci volle un pò di tempo a capire il mistero.

La visione del venerdì era frequentata da un pubblico adulto e quindi era ammessa la versione integrale, mentre la domenica gli spettatori in maggioranza erano ragazzi e adolescenti, perciò  bisognava renderla immacolata.

Un apposito “comitato censorio” prendeva nota di scene e dialoghi non proprio in linea e la pellicola veniva tagliata nei punti incriminati in modo che, la proiezione festiva fosse epurata da certe scene, con il risultato che il film non solo risultava più breve ma che alcune scene diventassero incomprensibili, del tipo: come mai il protagonista che stava entrando in camera da letto con una donna, si ritrovava subito dopo ,senza alcuna logica, nel bel mezzo di una sparatoria???

Ebbene, il celebrato- con tanto di premio Oscar- modello censura di ”Nuovo Cinema Paradiso”, allo Splendor è stato messo in atto qualche tempo prima, senza malizia ma con un intento educativo. Oggi un’operazione di taglio e cucito di questo tipo (la pellicola andava poi rimontata con i pezzi mancanti) non è più possibile perché la proiezione è in hard-disc. Resta il simpatico ricordo di queste innocenti evasioni.

Emanuele Castelnovo

Una carriera a più livelli

“Posso fare servizio allo Splendor?” Primo rigurgito di emancipazione, a conclusione di una domenica pomeriggio in oratorio dopo i giochi, la dottrinetta e la benedizione in chiesetta.

La risposta non era affatto scontata. Martino, il boss, vigilava sulla selezione in base alla disponibilità, alla promessa di impegno costante e a una prova che durava qualche settimana, prima di essere messo in turno.

L’entry level era “stracciabiglietti”: quattro giovani a presidio delle rispettive entrate, fregiati con una targhetta blu con ricamato in oro “Splendor” che, con l’anzianità, si sarebbe abbandonata; segno di una riconoscibilità acquisita sul campo. Il compito non era privo di difficoltà, una su tutte saper far fronte alle richieste degli amici per un ingresso gratuito fingendo una distrazione, così come la sorveglianza durante il caotico assalto al bar durante l’intervallo, vero anello debole nell’azione di controllo.

In questo servizio volontaristico spiccavano alcuni vantaggi: l’accesso gratuito alla sala in qualsiasi momento e per qualunque spettacolo e, talvolta, la disponibilità di biglietti omaggio per due persone, esibiti con grande fierezza per far presa sugli invitati.

Col tempo lo sviluppo di carriera prevedeva tre diverse specializzazioni: la maschera, il cassiere e l’operatore di cabina, ciascuna con le proprie capacità.

La maschera ostentava autorevolezza e determinazione nell’accompagnare al posto, far rispettare il silenzio e l’educazione ma, soprattutto, limitare le effusioni che – galeotto il buio – le coppie preferivano al film.

Il cassiere, o meglio, la cassiera, ruolo prevalentemente in quota rosa, godeva di assoluta fiducia ed affidabilità; ne dipendevano sia gli incassi ma ancor più la fedeltà delle dichiarazioni Siae, vero e proprio giogo burocratico a cui ottemperare. Per noi “stracciabiglietti” le cassiere erano una gradita compagnia, a volte molto gradita, con cui chiacchierare, facendo molta attenzione a non appoggiarsi alla biglietteria per salvaguardare il decoro e, meglio, il sedere dai calci improvvisi di Martino.

L’operatore di cabina era il tecnologo, l’esperto della magia della proiezione, il volto ignoto agli spettatori, ma ammirato dalle maestranze. Il mestiere veniva trasferito in affiancamento all’operatore esperto, l’accesso alla cabina di regia era riservato e la comunicazione avveniva attraverso un citofono collegato alla biglietteria, da cui venivano impartiti gli ordini di avvio, sospensione e regolazione della “finestrella”: messaggio idiomatico che ti rendeva adepto ma il cui significato per noi “stracciabiglietti” è ancora oscuro.

Mario Pagani

Per continuare a sognare

Dietro alle vetrine sulla piazza hanno prestato e prestano servizio decine e decine di bollatesi, volontari appassionati che, con il loro impegno, contribuiscono, da più di 50 anni, ad arricchire il patrimonio culturale della città. Si, perché lo Splendor riveste da sempre un ruolo significativo dal punto di vista artistico e sociale in Bollate.

I suoi volontari sono la colonna portante dell’attività perché li dentro impari a fare ogni tipo di mansione: dalla cassa al bar, passando per la gestione dei rapporti con le persone, la preparazione dei manifesti, fare manutenzione e, se capita, anche pulizie e, perché no,  scappare poi in sala a vedere spezzoni di film. Rispetto a quelli di ieri che erano più romantici, i volontari di oggi sono multifunzionali e tecnologicamente avanzati, come le nuove sfide dei tempi richiedono: hanno traghettato il vecchio sistema di proiezione in quello digitale, una costosa operazione sostenuta dalla generosità di tanti illuminati cittadini. Mai come in questo momento di pandemia, si avverte la mancanza di un contenitore di sogni come il cinema che stimoli la mente, il cuore, il gusto dell’apprendere e del bello . E noi non vogliamo smettere di sognare.

Annalisa De Maddalena

Ha sempre coltivato diverse passioni. La musica nei suoi aspetti più vari ,la fotografia, la storia locale e lo  sport   sono sempre stati al centro dei suoi interessi. .Una costante curiosità per tutto ciò che lo circonda lo ha portato a conoscere molti jazzisti italiani e americani o a scoprire aspetti dimenticati di quanto avvenuto in passato nella sua città. Ha collaborato alla realizzazione delle pubblicazioni  Bollate 100 anni di immagini (1978) , Una storia su due ruote (1989) Il Santuario della Fametta (2010) La Fabbrica dimenticata (2010) Il soggiorno a Bollate di Ada Negri (2014) . Ha curato anche diverse mostre fotografiche fra le quali La prima guerra mondiale nella memoria dei Bollatese (2015) La Fabbrica dimenticata (2010) I 40 anni di Radio ABC (1977). E’ tra i fondatori dell’Associazione Bollate Jazz Meeting (1994) di cui è segretario.

Giordano Minora