Quando Giuseppina, avvolta nel suo cappottino e tutta infreddolita, arrivò lungo la via Pier della Francesca davanti alla stazione della Bullona a Milano, non si meravigliò di vedere tutta quella gente. L’orologio sopra l’ingresso che, grazie al fatto che fosse illuminato, si riusciva ad intravedere nella nebbia, segnava le ventidue. Le ventidue di lunedì 30 gennaio 1945.
Perfino nella vecchia sartoria di via Paolo Sarpi, dove lei lavorava come pantalonaia,
era arrivata notizia di un qualche cosa che era successo lungo la ferrovia nord,
proprio vicino a Bollate.
C’era chi parlava del deragliamento di un treno, chi invece sosteneva che fosse stata bombardata una casa.
In ogni caso, la censura tendeva a tenere nascoste certe notizie, per cui si sapeva ben poco.
Anche radio e giornali serali, erano usciti con solo un minimo accenno, praticamente senza spiegare nulla di preciso.
La gente si accalcava sulla pensilina e tutti facevano gruppo intorno al Capostazione.
Giuseppina si avvicinò facendosi largo fra la folla.
Malgrado i suoi 23 anni, pur essendo bassa di statura, era molto risoluta.
Fra spintoni e sorrisi, arrivò vicino al ferroviere.
Ve l’ho già detto – urlava il Capostazione – sembra che ci sia stato un incidente stamattina vicino a Bollate.
Ancora?? Signorina, è tutto quello che so…di più non posso dire.
Comunque, fra un po duaria rivà un trenu da Milan…sì, un binario è stato liberato…
…sì, tranquilli, farà tutte le fermate fino a Saronno…lo so, che è tardi, ma l’è minga culpa mia.
Si udì un fischio provenire dall’interno della galleria.
La locomotiva, entrò in stazione preceduta dal vapore emesso per frenare il convoglio.
Non appena si fermò, ci fu un vero e proprio assalto.
Giuseppina venne spintonata e rischiò anche di cadere.
Il convoglio era strapieno, ma nemmeno più di tanto.
Tanta gente, sapendo che i treni erano bloccati, quel lunedì 30 gennaio del 1945,
aveva deciso di passare la notte da amici o parenti.
Addirittura, molti decisero di restare a dormire in fabbrica.
Anche a lei, la signora, aveva detto che se voleva poteva stare a dormire da loro.
Sarebbe rimasta lì volentieri, ma siccome la signora non era riuscita a comunicare che non sarebbe rincasata perché al solito numero telefonico da chiamare in parrocchia non rispondeva nessuno, era impaziente di arrivare a casa nella speranza che i suoi stessero tutti bene.
Finalmente, quasi a mezzanotte, il convoglio arrivò a Bollate.
Le poche persone che scesero, svanirono subito nella nebbia, che man mano che si allontanavano da Milano, si faceva sempre più fitta, tanto da dover dire veramente
che “se pudeva tajala cunt el cultèll” .
Giuseppina, una volta che il treno fu ripartito allontanandosi in direzione di Castellazzo, si incamminò sul sentiero che costeggiava i binari, verso Madonna in Campagna.
Quando arrivò al casello, vide che le sbarre erano alzate e notò che la luce all’interno della casetta del casellante era spenta. Evidentemente quello passato era l’ultimo treno.
Orientandosi nella nebbia, grazie al fatto che conosceva il tragitto a memoria, arrivò nei pressi della chiesetta di Madonna in Campagna.
Una luce flebile, sotto il portico, cercava di farsi largo nella nebbia, ma senza riuscirci.
Alla ragazza, parve di intravvedere, sotto il portico, un gruppo di persone.
La nebbia e la scarsa illuminazione, le impedivano di poter riconoscere qualcuno.
Decise allora di avvicinarsi per chiedere notizie sull’accaduto.
Le persone rimanevano immobili, ma ad un certo punto, quando fu abbastanza vicino da riuscire quasi a distinguere le figure, le si fecero incontro tre ragazzini vocianti.
Buonasera signorina Radice, Disse il più grandicello dei tre.
Sono Luciano, Luciano Novati, si ricorda? L’anno scorso, mi ha fatto i miei primi calzoni lunghi. Sono questi, mi vanno bene ancora.
Il più piccolo dei tre, piagnucolava confortato dall’altro ragazzino.
Dai Virginio, disse Luciano, te l’ho gemò dì, la tua mama l’è ‘ndada a cà un mument,
ma fra un po’, la torna indree.Te ghe de vèg un po’ de pasiensa. Dai, va dree nò a frignà.
Ma cosa ci fate in giro a mezzanotte voi tre? Chiese Giuseppina.
Stiamo aspettando che tornino i nostri genitori. Anzi, nel frattempo, se permette, la accompagniamo noi a casa, non lascerò certo che una signorina, vada in giro di notte senza un’adeguata scorta. Vero Dino?
Certamente Luciano – rispose Dino – te ghet propi resun, la scurtarèm nunc fina a cà. Andèm Virginio, andèm a cumpagnà a cà la signorina.
Il gruppetto si incamminò in direzione della cascina delle Monache, mentre Giuseppina si voltava a guardare incuriosita le persone immobili davanti alla chiesa che man mano sparivano nella nebbia.
Ma non avete freddo a stare in giro a quest’ora? Solo con un maglioncino e il piccolino con il pigiama? Chiese.
No Signorina Radice, non abbiamo freddo, per niente. Stiamo benone. Vera bagai ?
Si si. Risposero gli altri due.
Anzi,- proseguì il ragazzo atteggiandosi ad adulto – se permette, ci presentiamo. Allora, io sono il Novati Luciano…
Si, a te ti conosco.
Lui, è il Pallavicini Dino, e il frignino, è il Carimati Virginio.
Molto piacere, io sono Giuseppina Radice. Ma dopo, mi promettete che andrete a casa?
Si si, Signorina, certo che ci andremo…e non ci muoveremo più.
Ecco bravi, rispose la ragazza.
Nel frattempo erano arrivati davanti al cancello della casetta dove abitava Giuseppina.
Bene, io sono arrivata. Disse la ragazza. Vi ringrazio per avermi accompagnata.
Quando entrò in casa fu accolta dai saluti della mamma e di Germana, la sorella maggiore, mentre Mariuccia, la più piccola, le si era letteralmente catapultata addosso in un caloroso abbraccio.
Pensavum pu che te sariet riesida a vegnì a cà stanott. Disse la mamma.
Sun riesida a ciapà l’unic trenu. E l’è parti che eren gemò i vundes ur. Ma a la fin, se po savè se gh’è sucess?
Cumè, tel se nò? Chiese la sorella maggiore.
No, so nagott. La gent la parlava d’un trenu deragliaa…
L’è nò deraglià. Rispose la mamma. Stamatina, in vers i vott e mezza, i ingles o i american, han bumbardà un trenu visin a la vignetta e han tra giò anca di cà visin a la feruvia. Un disaster.
Oh madona santa. Rispose Giuseppina con apprensione. El trenu dopu quèl che ho ciapà mi per andà a laurà. Ma gh’è sta di mort?
Gh’è mort un sac de gent. E i han mis tucc in de la gesèta…
E pensa che sètt, eren de Bulaa.
E purtroppo, intervenne la sorella minore, tre di questi, avevano circa la mia età.
Vittime Bollatesi
Luciano Novati anni 16
Bernardino Pallavicini anni 12
Virginio Carimati anni 11
Tullio Bertolani
Giuseppa Banfi
Marta Maria Luini
Angelo Rossini
Angelo Albani –regista della compagnia teatrale dialettale “i amis del giuedi “