PERCHÉ BOLLATE

Alla scoperta del nome della nostra città

Piantina del Settecento dello Stato di Milano nella quale Bollate è indicato con la denominazione Bola 

“Felice colui che può conoscere l’origine delle cose” (Virgilio)

Alla fine degli anni 60, mentre preparavo la tesi di storia economica relativa alla Pieve di Bollate, trovai una spiegazione del suffisso “ate” come derivato di una parola celtica che, aggiunta al nome bula (risorgiva, fontanile) di origine latina, dava il nome Bollate. La spiegazione non mi convinse, ma non feci altre ricerche non essendo un punto rilevante per la mia tesi. Anche perché, ricordo, c’era chi riconduceva il nome a Buon + Latte, o chi si rifaceva al celtico beola, ossia betulla, albero molto presente sul territorio delle Groane. La lettura di alcuni testi sulle origini dell’Europa e dei popoli indoeuropei e, più recentemente, quella dell’informatissimo libro del giovane archivista Mauro Locatelli su storia e ambiente di Bollate, mi hanno invogliato ad approfondire l’etimologia delle origini del nome della nostra città. 

Carta della Pieve di Bollate del 1722  – Archivio di Stato di Milano – (Riproduzione fotografica di Giordano Bordegoni) 

È ormai assodato che tutti i nomi di paesi con desinenza tronca presero il suffisso “ate” dai notai a partire dall’alto medioevo quando, dovendo trascrive questi nomi in latino per la stesura di atti, contratti, testamenti, aggiunsero la desinenza della terza declinazione. A questo punto sorge il problema: il celtico, il latino e anche il greco non hanno parole tronche nel loro lessico e allora  perché “bula” venne sentita come “bulà ”?

Devo premettere che gli etimologi, studiosi dei nomi geografici lombardi, trovano che molti prefissi e suffissi siano in realtà parole della lingua sanscrita, ancor oggi parlata in India. Precisi indizi sono, per esempio, i nomi che cominciano con “var”- acqua in sanscrito (var-war)- e così abbiamo Varese, Varenna, Varedo, il torrente Varrone e molti altri. Anche il prefisso “crem”-andare, passare,-in sanscrito (kram), si ritrova in Cremona, Crema, Cremnago ecc. Da tutto ciò nasce il convincimento che la Lombardia fu abitata, due millenni a.C., da un popolo proveniente dall’Europa centrale prima dell’arrivo, nel millennio successivo, dei celti e dei latini dagli stessi luoghi.

Piantina del Settecento con la denominazione Bola per indicare Bollate

Particolare di una pianta del primo Settecento del Ducato di Milano nella quale Bollate è indicata come Bolate 

In Lombardia ci sono circa cento comuni con nomi terminanti in “ate”, senza contare anche alcune frazioni, vedi da noi Ospiate e, fino a prima del distacco, Baranzate. Per la stragrande maggioranza, sono racchiusi tra le provincie di Varese, Como, Lecco, Bergamo, Monza-Brianza, Milano, meno nel bresciano e mantovano cremonese. Questi comuni sono principalmente presenti tra i fiumi Ticino ed Adda, meno ai confini con l’Oglio, e hanno la provincia milanese come limite a sud.

Lo studioso Soresina ( M.A. Soresina ”Etimologie di antichi toponimi lombardi , Milano- editore Mursia 2010, su licenza Regione Lombardia) ha una sua teoria, da lui stesso definita avveniristica, che sostiene, a proposito del suffisso ate, che la popolazione arrivata prima dei celti parlava una lingua simile a quella sanscrita, definita Lingua Satem ,da come chiamato il numero cento, senza però arrivare a dire che fossero i sanscriti stessi poiché la loro lingua è ricca di parole tronche. Questi due popoli migrarono nel secondo millennio a.C., uno verso l’Asia, i sanscriti, l’altro, molto più piccolo, verso l’Europa. Mentre della lingua sanscrita abbiamo una documentazione abbondante dal 1° millennio a. C., della lingua dell’altro popolo, conosciuta come Lingua Satem, non abbiamo che poche testimonianze se non sui nomi geografici.

Carta dei dintorni di Milano – 1878

All’inizio del 1° millennio a.C., la Lombardia fu occupata dai celti provenienti dal nord-ovest dell’Europa e successivamente occupata dai romani. Le lingue di questi due popoli sono definite Lingue Kentum , sempre dal numero cento. Come già riportato sopra, in queste due lingue non sono presenti parole tronche. Il Soresina ritiene perciò, secondo la sua interpretazione, che la popolazione originaria assimilò queste due nuove culture mantenendo però la propria parlata . Esempi di questo genere si trovano nelle popolazioni cinesi o svizzere: una cultura unica, ma lingue differenti.

Nell’Alto Medioevo questa lingua era ancora viva, anche se “contaminata” dal latino e dal celtico, mantenendo però ancora una propria struttura e pronuncia.

Il nome Bollate avrà pure una origine latina, ma la sua pronuncia dialettale Bulà non è una deformazione, ma l’eredità di una lingua ben più antica del latino.

Il tutto molto intrigante, non trovate?

Nazzareno Marcon 

UN PO’ DI STORIA

Stemma del Comune di Bollate risalente a fine Ottocento 

Il cronista Bombagini attesta che il territorio bollatese, già assegnato al contado della Martesana, era un tempo popolatissimo in quanto alla comunità locale facevano capo ben tre paesi, Romanino, Salvano e Solarolo. Da una pergamena del 1168 si è venuto poi a sapere che Bollate era cinta da mura e munita di due castelli, l’uno situato sul torrente che attraversava l’abitato e detto “De flumine”, l’altro chiamato “De medio” o Mararè.

 La battaglia tra Guelfi e Ghibellini ebbe come conseguenza, tra l’altro, di svuotare quasi completamente la popolazione di Bollate, tanto che il 5 aprile del 1415, il governo ducale dei Visconti ordinava di sospendere ogni atto di giurisdizione sulla Pieve di Bollate. 

Caduta Milano sotto la denominazione spagnola, Bollate venne data in feudo al marchese Giovanni Manriquez, per lo sconforto degli abitanti: “ a gettar la desolazione sulle nostre terre, si aggiungeva il tirannico governo dei feudatari”.

Nel 1700 il territorio bollatese venne occupato dai francesi e, come riportano le cronache dell’epoca, “ i soldati francesi entrarono come lupi affamati in Lombardia e donne e bambini costretti a rifugiarsi, pieni di fame e spavento nei conventi”. Qui, in quel di Cassano d’Adda, emerge la figura caritatevole di frà Cristoforo da Bollate (cui è dedicata una via), “pieno di carità, accoglieva quei miseri, li confortava, li medicava e procurava un tozzo di pane per sfamarli”.

Nel 1786 vennero aboliti i feudi e Bollate, con tutta la Pieve , tornava allo stato. L’imperatrice Maria Teresa d’Austria decretava un nuovo piano stradale per la Lombardia, con “ le maestose strade provinciali per Varese e Como che toccavano il nostro comune”. Le attuali Varesina e Comasina.

Verbale del Consiglio Comunale di Bollate del 14 marzo 1896 per la nomina del Sindaco (Archivio Cooperativa San Martino) 

Mappa catasto Teresiano di Bollate (meta Settecento)

Particolare mappa del Catasto Teresiano del Centro di Bollate con riferimenti viari

Nel 1859, dopo la liberazione dal “giogo straniero”, Bollate veniva nominata capoluogo del X mandamento di Milano, comprendente dodici comuni e con una Pretura, traslocata poi in città nel 1891. All’epoca, la popolazione cittadina raggiungeva poco meno di settemila abitanti. Il comune era formato, oltre che dal capoluogo, dalle frazioni di Ospiate, Castellazzo e Cascina del Sole, mentre Cassina Nuova (728 abitanti) e Baranzate (130) facevano comune a sé. Il capoluogo era composto da due gruppi di case: uno dislocato tra le vie Magenta, Cavour, Madonna Speranza e Leone XIII , chiamato “Coo del Soot”, l’altro ubicato nel “Cantun Sciatin”, tra via Roma e piazza Solferino. Le altre case, per lo più cascine, erano sparse tra campi e boschi.

Progetto di ampliamento della chiesa di Bollate dell’ Architetto Antonio Roncoroni, presentato al Comune Fine Ottocento (Archivio Comunale) 

Disegno della Stazione di Bollate Ferrovie Nord Milano, costruita dopo un accordo, stipulato il 20 aprile 1873, tra il Sindaco di Bollate Faustino Citterio e la direzione delle FNM

Lo spazio edificato sul territorio di Bollate tra il 1880 e il 1980

Con la crescita della popolazione, la Pieve di Bollate, che già aveva un suo collegio di canonici, stabilì che anche le cappelle, “pur rimanendo sempre dipendenti dalla Chiesa Battesimale, divenissero chiese parrocchiali”. Sul finire del XVIII secolo, la collegiata venne soppressa dal direttorio della Repubblica Cisalpina.

Informazioni tratte dalla pubblicazione “Dopo Venticinque Anni” – giubileo prepositurale del prevosto don Antonio Donadeo- Novembre 1913

IL SARCOFAGO RITROVATO

Nell’ottobre 1988, ritornando  dalla stazione dopo il lavoro, vedo venirmi incontro l’amico Gianfranco Lamon che mi prega di seguirlo, passando da casa a prendere la macchina fotografica: nel pomeriggio, presenziando ai lavori di demolizione delle corti di via Magenta, dove aveva il suo studio di scultore, aveva potuto assistere alla rimozione del  grande vascone di pietra  che da sempre si trovava nel mezzo del cortile di fronte al bar Scuinett. Il rovesciamento di quello che era semplicemente ritenuto un abbeveratoio, aveva permesso di scoprire la presenza di due bassorilievi a forma di scudo su ognuno  dei lati.  Da qui  la consapevolezza di trovarsi  in presenza di un  antico reperto storico e che per questo motivo andava fotografato. 

Il sarcofago rinvenuto in via Magenta (Foto Giordano Minora)

Giunti sul luogo dovemmo però constatare che lo stesso era stato rimosso,  come testimoniavano le tracce ancora fresche lasciate sul terreno dall’escavatore usato per l’operazione. Gianfranco, descrivendomi quanto visto,  fu sorpreso della sparizione del reperto di cui nessuno sapeva nulla. Incuriosito dalla vicenda coinvolsi l’amico giornalista Piero Uboldi, che allora scriveva sul settimanale Luce, riportandogli l’episodio, Ne segui la pubblicazione di un articolo in cui si denunciava il giallo del sarcofago ritrovato e subito scomparso.

L’articolo apparso sul settimanale Luce, dedicato alla scomparsa del sarcofago

Lo scritto  raggiunse lo scopo prefissato, scoprire che il reperto era custodito da Luigi Malerba che, con la sua impresa, si stava occupando dei lavori di rimozione delle macerie della ristrutturazione in corso in quell’area. Nell’articolo successivo alla scoperta, Malerba dichiarò che il reperto era a disposizione del Comune per un futuro posizionamento in una sede idonea.

Prima di trovare una giusta collocazione sono però trascorsi ben 26 anni in cui si sono succeduti molti assessori alla Cultura  ma è solo grazie alla ferma e decisa volontà dell’assessore Ubaldo Bartolozzi che si è  potuta trovare una adeguata soluzione nel 2014.

Il reperto è collocato ora nel giardino di Palazzo  Seccoborella, sede della Biblioteca Comunale. 

Giordano Minora 

Rassegna stampa, tratta dai settimanali Luce e Notiziario (archivio Giordano Minora), relativa al ritrovamento e alla ubicazione del sarcofago.

Ha sempre coltivato diverse passioni. La musica nei suoi aspetti più vari, la fotografia, la storia locale e lo  sport sono sempre stati al centro dei suoi interessi. Una costante curiosità per tutto ciò che lo circonda lo ha portato a conoscere molti jazzisti italiani e americani o a scoprire aspetti dimenticati di quanto avvenuto in passato nella sua città. Ha collaborato alla realizzazione delle pubblicazioni Bollate 100 anni di immagini (1978), Una storia su due ruote (1989), Il Santuario della Fametta (2010), La Fabbrica dimenticata (2010), Il soggiorno a Bollate di Ada Negri (2014). Ha curato anche diverse mostre fotografiche, fra le quali La prima guerra mondiale nella memoria dei Bollatese (2015), La Fabbrica dimenticata (2010), I 40 anni di Radio ABC (1977). È tra i fondatori dell’Associazione Bollate Jazz Meeting (1994) di cui è segretario.
Giordano Minora