Pensieri e Parole in versi

Per rinfrancar lo spirito e nutrire la mente

Un augurio in rima per la Pasqua di quest’anno, dove il tradizionale ramoscello d’ulivo ,simbolo di pace, diventa più che mai attuale. In questo tempo particolare, carico di ansia e di incertezza, proprio per rinfrancare lo spirito e nutrire la mente, proponiamo alcune composizioni vergate da autori che vivono la nostra comunità o che vi hanno operato. Versi che, nella loro diversità e libera ispirazione, vogliono rappresentare un segno di appartenenza espressiva e un momento di riflessione su situazioni, metafore, sentimenti e immagini che compongono la commedia umana del cammino della vita.

NATURE UMANE

la mosca testarda tira colpi alla finestra.

Prende la rincorsa e per schiantarsi

 contro il vetro

ci mette tutta la sua forza. Non lo vede l’ostacolo?

non lo realizza l’urto?

oppure è quel fazzoletto di cielo

che le fa felicità solo a guardarlo e allora

vale la pena non capire, continuare

a farsi male e sempre sbattere, sbattere

la testa

 MARCO BALZANO (da Collezione di Poesia)

CUORI AVVELENATI

Il cattivo

usa tutto l’odio che può

e mai cede al ristoro.

Con parole affilate

l’accanimento

è per lui sublime routine

e crede sempre di potere fare di più

per risultare efficace.

Solo la scomparsa della vittima

vedrebbe il ghigno soddisfatto

sulla sua faccia sinistra.

Il cattivo

è convinto di non esserlo

mai abbastanza

TERESA STRINGA (da Pensieri)

Maria Tenconi

I VECCHI

Ricordiamoli i nostri vecchi

e amiamoli per come sono stati,

per il loro poco dire

per il loro tanto fare.

Per le loro mani

bianche di farina,

nere di terra.

Per il loro desinare

e per la poca cena,

per il loro “fare la voglia”,

per la rara festa

per il salame nuovo,

o la fresca sfoglia.

Per il loro vestirsi

da lavoro e da festa,

per il loro rammendare

e rivoltare giacche e paltò,

e il bollire le lenzuola nella cenere,

e il raccogliere con il grembiule

l’oro dell’orto.

Ricordiamoli i nostri vecchi

e amiamoli per come sono stati.

Per i loro segreti e i loro pudori,

per come parlavano dei morti,

per come alzavano le braccia al cielo,

per come interrogavano la luna.

Ricordiamoli i nostri vecchi

al crepuscolo,

davanti alla finestra.

Guardavano fuori

e fuori c’era la sera,

il loro riposo, la loro preghiera.

ALFREDO TAMISARI

Mario Bugatti “Brandi”

Da sinistra: Mario Bugatti “Brandi”, Ernesto Minora “Nan”, Sanvito

Carlo Bugatti “Bigattin”

Giuseppe Mantegazza “Gepp”

Pietro Minora “Piero Mazarin”

Giovanna Ronchi “Ronchina”

Anni Quaranta: processione transita da via Magenta, la donna che porta la croce ispirò i versi di Ada Negri

LA CROCIFERA

La vecchia ch’è dritta come un tronco

e com’esso nocchiuta, a niun concede

portar la Croce in processione. Sola

il superbo diritto a sé difende.

Greve il peso del Cristo al corpo scarno,

nella vampa del sole: ma se a volte

la Croce oscilla, non oscilla il passo.

Saldi i piedi alla terra, invitto il cuore

alla fatica appassionata, fisso

duramente fra i solchi delle rughe

lo sguardo innanzi, ella procede avvinta

al suo Gesù. Con lei l’umili donne

in file nere, le fanciulle in file

candide vanno e cantano: dei salmi

le lunghe note anch’esse vanno e colmano

di preghiera le strade, i campi, il cielo.

Forse da due millenni

la Crocifera vive. In Galilea

trasse i suoi giorni al tempo che il Figliuolo

di Dio vestì la dolorosa carne

dell’uomo. In pianto, con le tre Marie,

tutte calcò le pietre del Calvario.

Vide il supplizio, s’aggrappò alla Croce,

agonizzando all’agonia del Cristo;

e caddero su lei stille del sangue

divino. Per quel sangue

che la consacra, non poté, non può morire.

Eterna pellegrina, passa sovra la terra e nulla chiede:

solo chiede portar la Croce. E il simulacro

fra le sue braccia si fa Cristo vero.

ADA NEGRI

(poesia scritta durante il soggiorno bollatese del 1943 vedendo passare una processione)

IL CORTILE DI CASA BOSSI – Foto © G. Minora

I MOCCOI

(LE MORE DEL GELSO)

De Ospiaa ricordi anca la sua bèla campagna

ornada de piant in riva ai praa e in cavedagna

piant de frutta, filar de uga e moron

piant che dava i so frutt in ogni stagiun.

Che’l sia bon che’l sia bèll o brutt

ogni pianta la dà el sò frutt…

el pomm, la brugna, la mugnaga e via via

ma gh’è anca el moccol che ricordi con nostalgia

El moron…come pianta l’era on portènt

cultivaa e tegnu de cunt da tanta gènt

pien de brocch e foeia per i cavaler

e di bei sciocch sul camin al braser.

Regondin pien de foeia e niad de passaritt

cun tanti moccoi duls per num bagaitt

moccoi bianch ross e ner tucc eren bon

l’era la frutta che daven i moron.

El me car moron…ben tegnu in firagna

con la topia de l’uga sù per la campagna

per i cort sotta la ringhera per fà l’ombria

mi te ricordi e cui moccoi t’ho miss in poesia.

E de la bela campagna gh’ò tanta nustalgia.

 DANTE TAGLIABUE (da Libertà de Penser)

 Festa primaverile nella corte Farina di via Magenta, coro impegnato nel canto tradizionale “A Bulaa i moron fan l’uga”, sotto la direzione di Antonio Vegetti (primo a sinistra). Si riconoscono: Carlo Minora, Mario Alfieri e Giuseppe Cecchetti

 Un momento della festa primaverile, omaggio al Moron (il gelso)

Prove prima di cimentarsi nel canto locale dedicato al Moron. Da sinistra: Mario Alfieri, Antonio Vegetti, Giuseppe Cecchetti, Ezio Longoni, Carlo Minora.

Legenda

Cavedagna= argine del prato, Cavaler = baco da seta. Firagna = filare di piante, Moron = gelso, Mugnaga = albicocca, Sciocch = ceppo di legno, Topia = pergola d’uva

Foto di Giordano Minora