PASSA IL GIRO

LA FESTA DELLA ROSA DI MAGGIO

Targhe storiche di diverse edizioni del Giro d’Italia, raccolte da Ezio Longoni come ricordo della sua partecipazione

“Quando il Giro d’Italia passa da un paese è sempre una festa. Lungo le strade ,persone di ogni età applaudono e incoraggiano i corridori. Si fermano le scuole, le fabbriche, ho visto persino coppie di sposi fermarsi a salutare la carovana prima di salire all’altare. Insomma, non ho mai visto gente arrabbiata al passaggio della corsa rosa” (Gino Bartali)

Domenica 30 maggio l’ultima tappa del Giro d’Italia, la cronometro da Senago a Milano, transita da Bollate- Cascina Traversagna e il centro di Cassina Nuova. L’occasione, dopo 5 anni dall’ultima volta, di poter ammirare da vicino i corridori, emozionarsi, entusiasmarsi ed accendere il ricordo.

IL SOGNO DISTRUTTO

Il Giro del 1979 finiva con una tappa a cronometro – come quest’anno – da Cesano Maderno a Milano (44 km), passando per Bollate. I corridori arrivavano da Cascina del Sole, percorrevano via XI Febbraio e poi via IV Novembre, nel tratto – oltre il sottopassaggio delle Ferrovie Nord (che ancora non c’era) – dopo l’angolo del muro di cinta della Boston, per allungarsi verso Novate. Era il 6 giugno, un giorno feriale. Tempo uggioso, al mattino. Cielo plumbeo, fastidiose goccioline di pioggia e qualche ombrello. Dopo la sveglia, un salto all’edicola Sassi per comperare la Gazzetta dello Sport e sapere l’ordine di partenza, con il numero di ogni corridore per riconoscerli tutti. Avevo 13 anni compiuti da poco, il giorno prima del cronoprologo di Firenze.

Era stato un Giro strano, quello sul quale stava calando il sipario. Un Giro dominato dalle polemiche che – tappa dopo tappa – avevano infiammato la rivalità tra Francesco Moser e Giuseppe Saronni. Che non se le erano mandate a dire, soprattutto dopo l’arrivo di Pieve di Cadore. Investito da un’ammiraglia, era caduto il norvegese Knut Knudsen, secondo in classifica. E Saronni – in maglia rosa – s’era messo subito a tirare come un matto per staccare l’avversario in difficoltà. Per una questione di lealtà sportiva, Moser s’era tuttavia rifiutato di collaborare. Dopo l’arrivo – aveva vinto il cremonese Roberto Ceruti – era esplosa violenta la polemica tra Moser e Saronni ai microfoni della trasmissione “Tutti al Giro”. Una polemica tutt’altro che di fioretto. Alle provocazioni – si trattava di fastidiose e snervanti punture di spillo – del giovane lombardo, il corridore trentino rispondeva da par suo con il forcone.

S’era così rinverdita l’antica rivalità tra Coppi e Bartali, con il Paese diviso in due. Allo stesso modo, la polemica del 1979 aveva diviso i tifosi fra moseriani e saronniani. Sino all’epico scontro finale contro il tempo, da Cesano Maderno all’Arena di Milano. Nella contrapposizione, spesso alimentata ad arte dai giornalisti, trovavano rifugio le inquietudini di un Paese ancora segnato in profondità dalla tragedia dell’assassinio – avvenuto dodici mesi prima – di Aldo Moro e, poi, di Peppino Impastato. In quello stesso 1979, erano stati uccisi anche Guido Rossa e Mino Pecorelli. A nulla valsero gli arresti di Morucci e della Faranda, così come l’irruzione nel covo di via Monte Nevoso a Milano dei carabinieri di Carlo Alberto Dalla Chiesa, con la cattura di un nucleo di brigatisti, e la condanna dei leader storici Curcio, Franceschini e Gallinari, al processo di Torino.

Chiesa di Madonna in Campagna 26 maggio 2016 – 18^ tappa Muggiò – Pinerolo 99^ EDIZIONE – Foto © Giordano Minora

Via Verdi  25 maggio 2005 – 16^ tappa Lissone – Varazze 88^ EDIZIONE – Foto © Giordano Minora

Sembravano davvero – terrorismo e mafia – due sfide invincibili, che incidevano sulla coscienza collettiva e minavano alla base la civile convivenza. Era un Paese che combatteva anche contro l’eredità della crisi petrolifera, quando tutti – alla domenica – andavamo in bicicletta. Un Paese che doveva fare i conti con la scomparsa di Paolo VI e – dopo appena trentatré giorni – del suo successore Giovanni Paolo I, prima dell’elezione del papa polacco, Giovanni Paolo II. Un Paese tormentato, in cui il settanta per cento dei consensi elettorali se lo spartivano ancora la Dc e il Pci, protagonisti di quella forma di bipartitismo imperfetto che dava vita a una democrazia bloccata. L’avevano confermato anche le elezioni politiche di domenica 3 e lunedì 4 giugno 1979.

Saronni arrivava alla crono finale con la maglia rosa sulle spalle e un vantaggio di meno di due minuti (1’ e 48”) su Moser. Knudsen s’era ritirato. Il confronto era incerto. Sulla carta Moser era più forte a cronometro. Il trentino però non stava benissimo. Aveva infatti cominciato il Giro con un occhio semi chiuso per via di una congiuntivite virale. Tuttavia, nella terza tappa – da Caserta a Napoli, una crono di poco più di trenta chilometri – li aveva suonati tutti, compresi Knudsen e Saronni, in affanno a circa mezzo minuto. Pochi mesi prima aveva entusiasmato, con la cavalcata finale in mezzo alla polvere e la foratura a 8 km dal velodromo , per la  seconda delle sue tre Roubaix. Si era anche imposto alla Gand-Wevelgem. E al Fiandre l’aveva buttato per terra il meccanico di Thurau a pochi chilometri dall’arrivo, altrimenti la classifica finale sarebbe stata diversa.

Alla vigilia, però, neppure lui ci credeva: “Non mi illudo di recuperare due minuti, neanche a cronometro”. Ciononostante, al meccanico aveva dato l’ordine di montare le pedivelle lunghe – quelle del 17,5 – per fare più leva con il rapportone, un 55 x 13. Il 12 non si usava ancora. L’idea era quella di sfruttare i lunghi rettilinei in lieve discesa da Cesano Maderno verso Milano. Però, a cominciare dalle curve di Novate, le pedivelle troppo lunghe si rivelarono un handicap per la continuità della pedalata. Alla fine, la crono la vinse il giovane Saronni, che – non ancora 22enne – concluse alla grande il suo Giro. Solo Marchisio nel 1930 e Coppi nel 1940 avevano fatto meglio di lui.

Via Magenta 3 giugno 1982 – 19^ tappa Boario Terme – Vigevano 65^ EDIZIONE – Foto © Giordano Minora

All’inizio dei passaggi – in mattinata – non siamo in molti, ai bordi della strada. In fondo, è mercoledì, giorno feriale. C’è anche qualche ombrello. Il posto l’ho scelto con cura, lungo il muro di cinta della Boston. Vedo l’uscita della lieve curva a sinistra davanti alla Loris Bellini e i più forti, davanti a me, scendono di uno o addirittura due denti. Si mettono in posizione allungata e – con il tredici in canna – mulinano a tutta. Quando passa Mario Beccia, con il suo buffo trapianto di capelli, lancia la borraccia verso di me. L’afferro. Su un cerotto medico c’è scritto il nome “Mario”, con un pennarello blu. La conservo ancora.

Sono subito accerchiato da alcuni tifosi di mezza età, che – con molta disciplina – si raccolgono ai bordi della strada, come convenuti a una festa. Guardiamo dentro la borraccia, c’è un po’ di caffeina. Incominciamo a parlare e si instaura un’immediata socialità. La gente è progressivamente aumentata con il passare delle ore e dei corridori. Ma io li ho visti tutti, sin dal primo passaggio, quello della maglia nera. La socialità è però destinata ad affievolirsi più ci avviciniamo allo scontro finale. Si innescano le prime polemiche fra di noi. Poi sempre più accese. Si alzano anche i toni. E comincio a sentirmi in minoranza, osservato dagli sguardi severi di chi è lì con me. Tutti attribuiscono al novatese Torriani la responsabilità di aver disegnato un Giro cucito su misura per Moser, con ben cinque tappe a cronometro, le montagne smussate e gli arrivi in salita ridotti a due. Ma il trentino lo stava perdendo. La mia posizione è chiara: Torriani ha disegnato un bel giro, che andava bene sia per Moser, sia per Saronni. Che – infatti – lo stava vincendo.

Passa Moser: mi agito, urlo e perdo del tutto la voce. A me sembra una moto, di rara potenza. Non è ancora quella di cinque anni dopo, del doppio Record dell’Ora, della picchiata giù dal Poggio di Sanremo, della crono finale del Giro Soave-Verona, con l’ingresso trionfale all’Arena. Poi passa la maglia rosa. Saronni è più agile e vola leggero sull’asfalto. Sto zitto, quasi immobile. Piango in silenzio. I miei nuovi amici si sbracciano e sbraitano. Sfila il corteo di chiusura del Giro e ci incamminiamo verso il centro, proseguendo nelle nostre accese discussioni. Uno di loro ha la radiolina che annuncia la vittoria di Saronni nella crono finale e nel Giro del 1979, arrotondando il suo vantaggio su Moser a 2’ e 9”. Per me è un sogno distrutto.

Malgrado il giorno feriale, la sensazione – al di là della vittoria di Saronni – è quella che la comunità abbia fatto festa per il passaggio della corsa rosa. I bordi della strada erano affollati, pieni di gente. Era una comunità in qualche modo nobilitata dal passaggio del Giro e dei suoi campioni, che per un istante – il tempo del passaggio dei mezzi di appoggio e delle moto della Rai, dei corridori e delle ammiraglie – ha fatto sentire tutti più importanti. In ogni paese, tutte le volte che passa la corsa rosa, la comunità si ritrova – anziani e giovani, uomini e donne – e dà vita a una sorta di festa laica sulla strada. Questa è la forza del Giro, alimentata dalle rivalità e dai dualismi, che sono energia. Per la ripartenza del Paese.

STEFANO BRUNO GALLI – Assessore Autonomia e Cultura – Regione Lombardia

ERA MIO PADRE

Vincenzo Torriani, il patron

Mio padre Vincenzo avrebbe dovuto occuparsi di far ripartire un vecchio torchio familiare, con commercio di olio e granaglie, ma si trovò a dover organizzare nell’aprile del 1945, dopo il rientro, insieme ad altri rifugiati in Svizzera, un evento importante, quello di rimettere allo scoperto la Madonnina del Duomo, nel suo splendore, dopo l’occultamento con teli, appositamente installati sulla più alta guglia, per sviare l’attenzione durante i bombardamenti. Due le figure centrali di una Milano che voleva risorgere e voltare pagina: il cardinale Ildefonso Schuster e il sindaco Antonio Greppi, una figura poliedrica, ex amministratore di Arona, scrittore, avvocato, appassionato di ciclismo, di teatro, di musica, che spaziava intellettualmente tra i membri del Comitato di Liberazione in più stretto contatto con le varie forze politiche italiane, di area turatiana, socialista democratica e cattolica, ma anche repubblicani e liberali, come Alfredo Pizzoni, uno dei tessitori nascosti di quel filo sottile che ha coinvolto gli alleati, con base operativa a Berna. Mio padre aveva collaborato con don Gnocchi per alcuni incontri clandestini avvenuti sulle due sponde del lago di Lugano, uno dei quali con il cardinale Schuster, un altro con Eugenio Cefis, partigiano cattolico operante a fianco dei fratelli Di Dio. Come organizzatore ‘in pectore’ seppe destreggiarsi bene per portare a termine, due settimane dopo il 25 aprile, una cronaca dal vivo del ritorno alla visibilità della Madonnina. Accompagnò il popolare radiocronista sportivo Nicolò Carosio, tra due ali di folla, in cima al tetto della cattedrale consentendogli di introdurre il messaggio ai milanesi del cardinale e la benedizione alla città. Antonio Greppi manifestò la sua intenzione di ricordare il figlio Mario, assassinato in un agguato in piazza Piola a Milano, mentre cercava di consegnare clandestinamente dei documenti.

A sinistra, Vincenzo Torriani, anche la  sigaretta perennemente accesa faceva parte del personaggio Torriani. A destra, Torriani nel suo ruolo di Direttore di corsa. La sua figura che emerge dalla macchina scoperta , davanti ai corridori, fa parte dell’immaginario collettivo degli appassionati di ciclismo di diverse generazioni.  

L’occasione migliore fu quella di organizzare ad Arona l’arrivo dei primi Campionati Italiani di Ciclismo del dopoguerra. Da qui scaturì l’idea geniale del presidente dell’Unione Ciclistica Bollatese, Renzo Borroni, ossia convocare i migliori protagonisti in un centralissimo circuito notturno da disputarsi a ruota della manifestazione, il 18 settembre, sfruttando il fatto che Coppi e Bartali e il resto dei campioni, avrebbero aderito all’iniziativa. I giornali ne parlarono e persino la radio dedicò un siparietto in una rubrica di varietà. A quell’epoca mio padre non aveva ancora affiancato Armando Cougnet nel rimettere in moto la macchina organizzativa de La Gazzetta dello Sport e delle sue manifestazioni ciclistiche, ma si era limitato a organizzare, sotto l’egida di Schuster e Greppi, il Palio di Sant’Ambrogio, una corsa podistica, di cui conservo gelosamente il labaro ufficiale. Fu il suo esordio in una manifestazione sportiva che servì come trampolino di lancio verso il suo futuro lavoro, dall’autunno del 1945, come organizzatore e storico ‘patron’ del Giro, fino alla sua scomparsa nel 1996. Per 50 anni ha disegnato percorsi che han fatto conoscere, di tappa in tappa, le magnificenze del Belpaese. Nel 1946 fu lo stesso sindaco Greppi, a fianco di mio padre, ad abbassare la bandierina del via da Milano del Giro della rinascita, alla presenza di Bruno Roghi, direttore de La Gazzetta dello Sport e dello stesso Nicolò Carosio. Successivamente furono riaperte La Scala con un celebre, quanto atteso, concerto di Arturo Toscanini e la Fiera di Milano, inaugurata dal presidente del Consiglio Alcide De Gasperi. Altra genialata degli attivissimi sportivi bollatesi fu quella di promuovere il circuito notturno, due giorni dopo la conclusione del primo Giro d’Italia del dopoguerra, ossia dopo un’interruzione di cinque lunghi anni. Evento che, visto il grande successo, venne replicato l’anno successivo. Quando si trattò cercare collaboratori per organizzare i successivi Giri, mio padre attinse nel vivaio bollatese, in particolare riunì un instancabile macinatore di chilometri in auto e in moto come Alessandro Carli, sempre pronto a dirigere col fischietto, e un impeccabile ed elegante cerimoniere come Antonio Vegetti che, insieme a un creativo sarto, Antonio De Luca, fu uno dei promotori della futura Cento Chilometri di Marcia, subito dopo i giochi olimpici di Roma del 1960.

Gli amici bollatesi di Torriani (da sin.) Ezio Longoni , Franco Nizzola, Antonio Vegetti (Archivio Giordano Minora)

Bollate, a differenza di Novate, città natale di mio padre, vantava un gran numero di appassionati, liberi professionisti, piccoli imprenditori pronti a mettersi in gioco, quali Borroni, Moroni, Garavaglia, Pasqualini, Minora, oltre ad amministratori locali particolarmente attenti allo sport, come i sindaci Enrico Colombo e Vittorio Nizzola, e un gruppo di esperti allestitori di circuiti ciclistici come Ezio Longoni, che sarà per decenni il ‘factotum’ nell’ organizzare gli impianti di arrivo e di partenza della corsa rosa e delle classicissime Milano Sanremo e Giro Lombardia, ma anche uno dei cardini del premio Garinei di ciclocross, reso possibile grazie alla collaborazione della Fargas e della Guerciotti. Venne disputato a Novate, dove, all’ombra dello stesso campanile, presero il via alcune edizioni della Milano-Torino. Gianni Brera considerava mio padre una sorta di Talete di Mileto, in quanto Talete di Mileto anticipa Smith, ma è ignorato dai ragionieri: “vive nel loro inconscio come vive l’eterna legge che regola l’esistenza del mondo”. A differenza di un altro illustre novatese,  Giovannino Testori, definito da Brera ‘fiol perso perché dedito alla poesia’, di Torriani, “el Giuann”, spesso ricordava che” è riuscito a tradurre in poesia i percorsi, le sfide, le più ambite di quel piccolo mondo antico che la bicicletta sa coltivare e evocare in un piccolo circuito, come per migliaia di chilometri, in una gara a tappe come il Giro, ripetuta ogni anno, come uno straordinario esempio di storia sofferta, festeggiata, condivisa e vissuta da milioni di spettatori”.

Aggiungo amaramente che trovo, a distanza di tanti anni, quella Madonnina fatta risplendere da papà, come nei versi del suo caro amico Giovanni D’Anzi, molto triste, addolorata, per l’insensibilità di chi ha voluto erigere una sfacciatissima ‘antiguglia’ che emula quella del Duomo, ma priva di ogni riferimento simbolico e protettivo della Patrona di Milano. Il presidente del consiglio Enrico Letta si limitò a dire, all’inaugurazione della Torre Unicredit, realizzata dall’archistar argentina Cesar Pelli (banca peraltro controllata da paesi del Golfo), “cosi Milano incomincia a somigliare a Dubai”. Ormai anche Milano è merce di scambio, in svendita al maggiore offerente? A riproporre allora il suo significato autentico ci pensa il Giro: la penultima tappa arriva al santuario di Nostra Signora d’Europa, all’Alpe Motta, località posta sotto la devozione mariana, nel 1957, dall’allora cardinal Giovanbattista Montini, futuro papa Paolo VI. Soprattutto, poi, con il gran finale: la crono Senago Milano, transitando da Bollate e lambendo, altro segno simbolico, la settecentesca cappelletta dell’oratorio di san Bernardino a Cascina Traversagna, per concludersi, sotto lo sguardo amorevole della Madonnina, in piazza Duomo.

MARCO TORRIANI – Dal 1973 al 2005 nell’organizzazione del Giro d’Italia

Copertina del libro” L’ultimo Patron “, scritto dal figlio Gianni per ricordare le gesta del padre Vincenzo.

ERA MIO PADRE/2

Ezio Longoni e i Giri d’Italia.

Ha un sapore particolare il 104° Giro d’Italia: nella sua ultima tappa percorrerà alcune delle vie della nostra città, “Cascina Traversagna” e Cassina Nuova, con una cronometro di 29,4 km che potrebbe essere decisiva per la conquista del titolo finale.

Ogni volta che si parla di Giro d’Italia mi viene ancora oggi, a 60 anni, la pelle d’oca, un po’ perché sono uno sportivo di quelli che amano la fatica, un po’ perché mi ritornano in mente le centinaia di volte che seguendo le tappe del giro in TV, mi emozionavo per gli arrivi di questi fantastici campioni, accolti da migliaia di tifosi, sia lungo il percorso sia all’arrivo, sotto il solleone o tra i cumuli di neve dei mitici passi del Gavia o dello Stelvio.

8 giugno 1974 – Velodromo Vigorelli – Milano. Volata della tappa finale della 57^ Edizione del Giro, vinta da Basso che batte De Vlaeminck . Foto © Giordano Minora

Una cosa però aspettavo prima di tutte, quando inquadravano il traguardo, cercavo trepidante la figura del mio papà Ezio che, per più di trent’anni, ha seguito e allestito gli arrivi di tappa con il patron Vincenzo Torriani nelle corse promosse dalla Gazzetta dello Sport.

Accoglieva il vincitore, in mezzo alla folla che lo voleva toccare (e qualche volta in maniera un po’ ruvida, la allontanava a suon di legnate con la bandierina), per portarlo alla tribuna per la premiazione e le interviste per la stampa e la TV.

Innumerevoli gli aneddoti che mi raccontava a proposito delle sue partecipazioni “dentro” la corsa Rosa o alle altre classiche dai nomi prestigiosi come la Milano Sanremo o il Giro di Lombardia.

A sinistra, Giro d’Italia 1981 – Con  Gino Bartali. Al collo di Ezio il suo inseparabile fischietto. Archivio Giordano Minora. A destra,  Giro d’Italia 1980 – con Giuseppe Saronni,  vincitore di ben 7 tappe di quell’edizione. Archivio Giordano Minora

Milano – Piazza Duomo 12 giugno 1976 – Finale del Giro con un circuito cittadino. Ezio Longoni, a bordo della moto  di servizio, segue la fuga di Eddy Merckx. Foto © Giordano Minora

Innumerevoli gli aneddoti che mi raccontava a proposito delle sue partecipazioni “dentro” la corsa Rosa o alle altre classiche dai nomi prestigiosi come la Milano Sanremo o il Giro di Lombardia.

Uno degli episodi vissuti che mi ha lasciato stampato nella memoria è stato il senso di rimpianto che lo prendeva ogni volta che raccontava quando, in occasione di un arrivo di tappa a Pietrelcina, negli anni Sessanta, ebbe la possibilità di incontrare Padre Pio , ma non ce la fece, troppo forti la devozione e l’emozione di avvicinarlo.

Un aneddoto che invece si divertiva a raccontare era quello del cane randagio al traguardo. Corridori che a tutta velocità stavano piombando sotto lo striscione d’arrivo, quando il cane fece irruzione nella sede stradale: sul filo dei secondi e rischiando non poco si lanciò per placcarlo ed evitare una volata con  spiacevoli inconvenienti.

Giro d’Italia 1973 – Sul traguardo di Benevento con i  corridori che stavano giungendo per la volata, un cane randagio fece irruzione nella sede stradale: sul filo dei secondi e rischiando non poco, Longoni si lanciò per placcarlo ed evitare spiacevoli inconvenienti. Archivio Giordano Minora

Più di una volta ho partecipato a qualche gara con lui, infiltrandomi nelle file dell’organizzazione, mostrando con orgoglio il pass con scritto il mio nome.

Ma la volta che ricordo con più piacere è stata quella del 1984, quando mi disse, all’alba dell’ultima tappa: “vieni a Verona e porta l’auto personale di Fiorenzo Magni all’Arena”. Sono salito su quell’auto, che andai a ritirare nella concessionaria di Monza di proprietà del “leone delle Fiandre”, e partii fiero di guidarla non vedendo l’ora di arrivare a destinazione per assistere all’arrivo della cronometro che decretò il trionfo in rosa di Francesco Moser, “lo Sceriffo”. Tanti i  ricordi di mio padre che porto nel cuore, e ogni volta che vedo una gara  la memoria mi porta a quei bei tempi e mi scatta la lacrima…

Luca Longoni

Una selezione di pass di Ezio Longoni accanto al suo fischietto, strumento di lavoro essenziale per regolamentare le fasi concitate dell’arrivo di tappa. Foto © Giordano Minora

Un ricordo di Ezio Longoni 

Ho conosciuto Ezio Longoni nel 1974 grazie ad Antonio Vegetti, al quale ero legato sia per parentela che per la comune passione per il ciclismo,  trasmessami da mio padre Pietro Minora, tra i fondatori del Pedale Bollatese del quale fu a lungo presidente.

Da poco tempo avevo iniziato a cimentarmi con la fotografia e, in prossimità del tradizionale arrivo finale del Giro d’Italia di quell’anno  al Vigorelli di Milano chiesi ad Antonio, amico fraterno di Vincenzo Torriani, la possibilità di avere un pass per fotografare. Fu così che venni indirizzato a Longoni . Ebbi cosi la possibilità di entrare per la prima volta nel prato del mitico Velodromo dalle cui tribune avevo assistito,  con mio padre,   a tante emozionanti  gare in pista. In attesa dell’arrivo dei corridori di quello che sarebbe stato l’ultimo arrivo del Giro d’Italia sulla pista milanese , vidi all’opera Ezio che con l’autorevolezza che, gli derivava dalla grande esperienza di tante edizioni, coordinava con determinazione e fermezza le fasi dell’arrivo della gara e quelle successive di gestione dell’atleta vincitore.

Negli anni successivi Ezio mi ha permesso di riprendere gli arrivi di diversi  altri Giri  e del Giro di Lombardia.

Qualche anno dopo la sua scomparsa, il figlio Luca  mi ha affidato per la conservazione  le foto,  le targhe di servizio, i pass delle tantissimi corse organizzate dalla Gazzetta dello Sport, alle quali aveva partecipato Ezio Longoni che fu anche ben conosciuto nell’ambiente sportivo bollatese.

Giordano Minora

Memorie di una Miss

Il passaggio della carovana rosa da Bollate, l’occasione per ritornare al “come eravamo”, per rivivere quei momenti con lo sguardo un po’ nostalgico di oggi, ma anche carico di gratitudine.

Ho partecipato alla 65° edizione del Giro d’Italia come Miss IRGE . Era il 1982. Aveva vinto Bernard Hinault, ma non erano mancati il grande Francesco Moser e Giuseppe Saronni. Piazza Duomo a Milano era gremita alla partenza e lo fu ancora di più la piazza a Torino, all’arrivo finale. Ma anche lungo il percorso c’era una marea di gente appostatasi a salutare il transito della corsa.

Daniela Franzoni, a bordo dell’autovettura che apre la carovana pubblicitaria, percorre via Magenta nella tappa Boario Terme – Vigevano 3 giugno 1982 – Foto © Giordano Minora

Oggi posso dire, come Kate nel film di Sydney Pollack: “guarda che cosa posseggo” e il possedere qui riguarda un’esperienza che è stata bella, serena, entusiasmante, anche se stancante. Ovviamente mai quanto per un corridore. Ma anche per noi Miss (eravamo in due: una bionda e l’altra bruna) era un bel ritmo. Ci alzavamo alle 5,30-6 del mattino (o forse prima?) per essere tra le prime in presenza alla tappa di partenza e tra le ultime (dopo le 17-18) a poter recarci in albergo per sistemarci, fare la doccia e prepararci per la cena. C‘era solo il tempo per visitare le due vie centrali nella città di arrivo, se non morivamo di stanchezza, perché nei 150 km circa di percorso in macchina scoperta (guidata dal campione olimpico Antonio Bailetti) non facevamo altro che stare in piedi, sorridere e salutare. Questo era il nostro compito. Non ci fu un solo giorno di pioggia e la temperatura, soprattutto avviandoci verso il sud, andava alzandosi.

Come rappresentanti della IRGE (“Irge il pigiama, lo mette chi si ama”, diceva la canzoncina) io e la mia collega rilasciavamo interviste prima della partenza o all’arrivo alla tappa. La cosa mi stupì alquanto quando, per la prima volta, mi chiesero un parere sul vincitore e sulla tappa e ricordo che ricorsi a Bailetti per un consiglio. Dopo 30 giorni circa di corsa avevo però sviluppate delle mie opinioni, per quanto poco originali.

L’impegno di essere miss al Giro. Nelle foto in bianco e nero Daniela Franzoni con Bernard Hinault sorridente sul podio in Piazza Duomo dopo aver  indossato la prima maglia rosa del Giro d’Italia 1982

Quell’anno per la prima volta attraversai tutta l’Italia in macchina. Dai monti al mare. Infatti prima di arrivare a Torino (ultima tappa) passammo da Pinerolo, mentre da Milano scendemmo verso Parma, Viareggio, Perugia, Assisi e così via fino a Taormina dove (finalmente) ci fermammo per un giorno di riposo prima di ripartire per Agrigento e tornare verso il nord.

A Taormina l’occasione fu di poter telefonare con calma e ad orari più “normali”. Allora non c’erano i cellulari e diventava difficile chiamare la sera, data la richiesta della linea libera. Non riuscivo spesso a sentire la voce della mia bambina (accudita dalla nonna) perché già addormentata. Il contatto era però quotidiano tramite le immagini della televisione e quando salutavo dal podio, insieme al vincitore salutavo ,in cuor mio, anche lei.

Per una ragazza provinciale, come io ero allora, il Giro d’Italia rappresentò una grande tappa che mi aprì più facilmente il percorso nel mondo della moda e della pubblicità. Quelli furono per me, da un punto di vista professionale, degli anni d’oro. Al Giro e a Vincenzo Torriani ,che mi scelse, devo i miei più sinceri ringraziamenti per questa esperienza di vita.

Daniela Franzoni

Nato a Bollate nel 1966. Suo padre è stato primario di chirurgia generale nel glorioso nosocomio cittadino. È professore di Storia delle Dottrine e delle Istituzioni Politiche nell’Università degli Studi di Milano. Con Giordano Minora e Paolo Nizzola ha fondato l’Associazione Bollate Jazz Meeting. Autonomista sin da quando aveva le braghe corte, collabora con diversi quotidiani e periodici. Ma ha cominciato con i settimanali locali Settegiorni e Luce. È stato il primo presidente di Éupolis – Istituto di ricerca, statistica e formazione della Regione Lombardia. Consigliere regionale dal 2013 al 2018, è oggi l’assessore all’Autonomia e Cultura di Regione Lombardia.
Stefano Bruno Galli

Sono nato a Milano, vicino alla stazione Centrale, il 10/8/52. A pochi passi dalla famosa via Gluck e dall’allora storica sede de La Gazzetta dello Sport, in via Galilei. Dopo gli studi liceali all’Istituto Gonzaga, mi sono laureato in Scienze Politiche alla Statale. Dal 1973, sono entrato  ufficialmente a far parte dello staff organizzativo delle manifestazioni sportive della rosea, svolgendo sempre più delicati compiti di rilievo istituzionale. Tra i più importanti quello di responsabile delle Pubbliche Relazioni e del Cerimoniale, introducendo notevoli innovazioni e sviluppando numerosi contatti in campo internazionale con gli operatori del settore. Negli anni Novanta, a fianco di mio padre Vincenzo, curai l’ampliamento della squadra organizzativa centrale in cui entrò a far parte un amico avvocato sorrentino, Carmine Castellano, già dirigente di una società sportiva e collaboratore regionale. A fianco di Castellano, come suo vice, nel solco dei successi tracciati da mio padre, avvenne un passaggio di consegne che proseguì fino al 2005, epoca in cui il timone passò alle nuove leve cresciute nella stessa fertile scuola organizzativa.
Marco Torriani

Approdata a Bollate sui banchi delle scuole elementari, ha sviluppato nel corso degli anni la vena artistica che l’ha portata ad impegnarsi professionalmente  nel mondo della moda,della pubblicità e del teatro. Ha pubblicato,inoltre, testi di psicologia, declinati sotto l’aspetto della resilienza. 
Daniela Franzoni

Ha sempre coltivato diverse passioni. La musica nei suoi aspetti più vari, la fotografia, la storia locale e lo  sport sono sempre stati al centro dei suoi interessi. Una costante curiosità per tutto ciò che lo circonda lo ha portato a conoscere molti jazzisti italiani e americani o a scoprire aspetti dimenticati di quanto avvenuto in passato nella sua città. Ha collaborato alla realizzazione delle pubblicazioni Bollate 100 anni di immagini (1978), Una storia su due ruote (1989), Il Santuario della Fametta (2010), La Fabbrica dimenticata (2010), Il soggiorno a Bollate di Ada Negri (2014). Ha curato anche diverse mostre fotografiche, fra le quali La prima guerra mondiale nella memoria dei Bollatese (2015), La Fabbrica dimenticata (2010), I 40 anni di Radio ABC (1977). È tra i fondatori dell’Associazione Bollate Jazz Meeting (1994) di cui è segretario.
Giordano Minora