Rientrato dalla sorprendente ed esaltante esperienza, Vito decide che la presenza al Carnevale veneziano non deve essere derubricata come un momento una tantum, nato quasi per gioco, ma deve trasformarsi in una presenza attiva e con un obiettivo da centrare sempre: esserci e destare ogni volta curiosità e stupore, ossia fare la differenza. Bisogna allora finalmente esaudire il desiderio cullato fin da giovane e rimasto inevaso nel cassetto perché, anziché occuparsi degli agognati tessuti da tagliare e cucire per concepire modelli di abbigliamento, si è dovuto accontentare di maneggiare carte da parati come tappezziere. Seppur a livello amatoriale, diventa sarto di abiti da scena coinvolgendo in questo gioco colorato e dal proposito allegorico buona parte dei suoi familiari, soprattutto quelli che condividono con lui l’appartenenza al quartiere de la Pirotta, nelle vicinanze del campo da softball (altra passione di famiglia, con una sorella e diverse nipoti pluriscudettate nella disciplina).
Comincia a girare e curiosare tra i mercatini del Belpaese alla ricerca di stoffe rare, sete, veli, passamanerie, non disdegnando oggetti di chincaglieria e cianfrusaglie varie, insomma l’occorrente per confezionare non solo i “vaporosi” costumi dell’epoca dell’Ottocento, ma anche per rifinirli con accessori in sintonia, quindi scovare e successivamente sistemare e adattare cappelli, velette, cerchietti, spille e calzature. In quest’ultimo caso escogitando un trucco ”berlusconiano”, alzare con appositi spessori tacchi e suole per competere in altezza con Galdino e non essere più messo in secondo piano nelle foto di rito.