Fine anni Settanta, ancora si respirano i fumi reconditi delle reminiscenze del 68.
Scontro ideologico per antonomasia che, nella realtà cittadina, diventava scontro sulle scelte amministrative. Anche l’urbanistica era teatro di questo rude e appassionato confronto.
Da una parte i comunisti, meglio, il P.C.I., con urbanisti usciti dalle sofisticate fornaci accademiche milanesi (i Montaldo prima, i Ferrante e i De Carli poi) che duellavano con i democristiani che, più artigianalmente, attingevano a intellighenzie cittadine (Carissimi, Grassi, Riboldi), con il supporto tecnico di quel Cesare Butté, che veniva sì da Milano ma, in qualità di architetto, lavorava prevalentemente a Bollate.
Sembrava di rivivere una riedizione aggiornata, riveduta e ingentilita, dello scenario di quel che accadde a Brescello, paese della bassa padana che rese famoso il più noto duello politico della storia italiana, fra un prete coraggioso e ruspante, don Camillo, e un sindaco popolano e popolare, Giuseppe Bottazzi, detto Peppone. Ma eravamo a Bollate e l’oggetto del contendere era il futuro ridisegno del territorio.
E allora giù con gli slogan, per meglio far comprendere il proprio pensiero politico: da una parte “l’effetto città”, con le famose “quinte continue”, per far capire che Bollate avrebbe dovuto darsi un tono metropolitano se voleva crescere, a cui si contrapponeva “l’effetto comunità”, per convincere che dietro, o meglio dentro, i quartieri e le case che li componevano, c’erano uomini, donne, famiglie, cioè cittadini, che quella città avrebbero voluto viverla.
Nel mezzo c’erano i socialisti, che seguivano con attenzione i duellanti, spruzzando qua e là le loro visioni e i loro pensieri, sapendo che gestire quelle scelte (qualunque esse siano state), sarebbe stato più interessante che determinarle, tanto comunque, stante gli schieramenti in campo, o con gli uni o con gli altri avrebbero governato.
In questo scenario, nacque l’idea di inventarsi dove allocare il nuovo centro cittadino, in sostituzione dell’anomalo e limitato slargo di piazza Martiri della Libertà. Bollate è atipica da questo punto di vista: ha una chiesa parrocchiale decentrata rispetto al baricentro e una ferrovia che l’attraversa, con cui è impossibile non fare i conti.