Queste espressioni che possiamo definire di fede non solo “popolare” ma “domestica”, hanno avuto per tanto tempo il valore di tradurre visivamente l’invisibile, e di far percepire i molteplici aspetti dei misteri della nostra fede che altrimenti sarebbero rimasti inespressi e avrebbero impoverito la propria esperienza religiosa. Inoltre, tutta questa ricchezza espressiva ha offerto l’occasione della trasmissione delle fede da una generazione all’altra. Anzi, le espressioni materiali, artistiche, linguistiche o gestuali come le feste legate alla pietà popolare, persino il coinvolgimento nella loro realizzazione e infine l’accostarvisi o il parteciparvi, sono state strumento educativo alla fede, una fede non concepita astrattamente, ma a partire da esperienze concrete. Il coinvolgimento diretto nelle celebrazioni ha creato così un senso di appartenenza alla comunità, che oggi abbiamo bisogno di recuperare: nessuno si salva da solo…in tutti i sensi.
Attraverso questi manufatti, frutto di una devozione sentita, vengono trasmesse una cultura e una fede non imparate in maniera formale da definizioni astratte, ma attraverso immagini e presenze reali. In questo modo le generazioni dei giovani che si sono succedute ne hanno appreso i rudimenti senza bisogno di speciali artifizi di memoria. La tradizione religiosa si è fissata indelebilmente attraverso le cose, l’esperienza vissuta, consentendo di entrare in modo graduale, piacevole, simpatico nell’atmosfera del mondo della fede. Ed è così che san Paolo poteva appunto far conto sulla fiducia in Timoteo, e dirgli: