Questa mostra, o raccolta di mazzi pregni e splendenti di fiori, rappresenta il punto di conclusione d’una lunga carriera di pittore, trascorsa in un silenzio duro, consapevole, a volte dolente, sempre tenace e superbo di sé; un silenzio in cui la difficoltà della vita e di reggere, in quella vita, il proprio destino, ha prestato, com’era giusto, più d’una volta i toni dell’alterigia e dello sdegno.
Che, dietro la vocazione di Karibian, irraggi, possente e folle, il sole di Van Gogh è cosa da riconoscere subito, ma altrettanto subito è da riconoscere la particolare inclinazione che, nella sua opera, quei raggi sono andati via, via, prendendo un’inclinazione che, giusto la sua nascita, sembrerebbe di poter definire gloriosamente ‘orientale’. Insomma, ciò che in Van Gogh e in tanti suoi ‘nipoti’ d’Europa era tensione disperata, è diventato in questo suo ‘erede’ d’Armenia concordia, libero abbandono verso l’esclamativa bellezza d’una natura da cantare in eterno e in eterno osannare. Ecco una lezione di pittura: e di pittura ritrovata per forza di passione e d’amore.