Dalle macerie della guerra emerge la voglia di rinascita in ogni ambito: economico, politico, sociale, culturale, sportivo, associativo. Questa voglia di ripartenza anima trasversalmente tutta la comunità locale, le capacità professionali, imprenditoriali, organizzative si coniugano con il senso civico e la partecipazione collettiva. L’obiettivo è comune: far crescere, insieme al lavoro di ciascuno, il benessere del proprio paese. In quest’ottica, alcune figure importanti per censo e potere si mettono a disposizione. E’ il caso di Eugenio Borroni e dei suoi familiari.
Il commendatore non solo è stato un lungimirante imprenditore ma anche, “un tipo talmente aperto con il quale il discorso è ingentilito da quella bonomia tipica delle persone abituate a vivere tra campagna e città “. Tradotto, una persona con un profondo senso della comunità. Lo si può considerare un antesignano di quelli che gli anglosassoni chiamano “civil servant”, più che definirlo semplicemente un benefattore. Lo conferma il suo operato sociale.
Nel 1940 non resta sordo all’appello del sindaco Confalonieri e salva la fabbrica di bambole che rischiava di chiudere. Nel 1943 mette a disposizione la sua esperienza amministrativa come figura istituzionale, sia come presidente dell’asilo Maria, sia come commissario e più tardi come presidente dell’ospedale. Soprattutto in questo ruolo, all’albore degli anni Sessanta, valorizza il lascito testamentario di don Luigi Uboldi, avviando la costruzione del nuovo nosocomio che , una volta ultimato, conterà 200 posti letto e diverse specialità mediche. Autentico protagonista della vita socio economica di quegli anni, si rende disponibile per azioni di sostegno di vario tipo, tanto per citare: contribuisce al restauro dell’altare delle anime del purgatorio nella cappella della parrocchiale di san Martino , dedicando il Sacellum Hoc allo zio monsignor Paolo Borroni. Oppure, assieme al nipote acquisito Carlo Croce, (marito di Ada, figlia del fratello Piero) si reca appositamente sulle Dolomiti per scegliere il legno del crocefisso che ancora oggi campeggia nella chiesa di san Giuseppe. Episodi che dimostrano attenzione alle necessità del territorio. Sensibilità che ha trasmesso a tutto il parentado. Lo stesso Carlo Croce, oltre che essere uno dei suoi consiglieri fidati, ha messo in pratica le lezioni di altruismo impegnandosi in prima persona nella fondazione della biblioteca comunale: ha donato l’iniziale dotazione di libri in modo da consentire la partenza dell’attività presso la sede, ubicata in un‘aula al primo piano della scuola elementare di via Garibaldi. Successivamente, in collaborazione con il maestro Alessandro Salina, ha fondato, come direttore responsabile, l’avventura editoriale dell’Informatore Bollatese, pubblicazione cittadina uscita dal 1958 al 1962. Inoltre, aderendo ad un invito dell’allora parroco don Carlo Elli, si è accollato per qualche anno la gestione della cooperativa cattolica di generi alimentari La Speranza. Più marcatamente in ambito sportivo l’impegno del figlio Renzo Borroni; per anni dinamico presidente del Pedale Bollatese . Nel 1946 fu tra i promotori della realizzazione del velodromo in terra battuta con curve sopraelevate, costruito presso il campo sportivo di via Diaz, che sostituì per alcuni anni il celebre Vigorelli, messo fuori uso dai bombardamenti della guerra. Per le sue capacità manageriali, venne eletto vice presidente della Unione Velocipedistica italiana e membro della direzione della Gazzetta dello sport. Un altro nipote, Umberto, figlio del fratello Piero, è stato nell’immediato dopoguerra, presidente della rinascita della Bollatese calcio.
Classici esempi di persone che ”se la casciaven ” per il bene comune. Quasi fosse un dovere morale restituire, come segno di gratitudine, quanto il paese
aveva dato loro. Figure, come tante in quegli anni di ricostruzione, che sapevano indicare un percorso di sviluppo collettivo.
Paolo Nizzola