La Fabbrica Borroni

Un’identità che ha fatto storia

È lì da oltre un secolo, nel centro di Bollate in via Matteotti.

Una vecchia fabbrica che ha mantenuto da sempre la stessa immagine e gli stessi colori, pareti gialle e finestre verdi, (pure le case di villeggiatura di Courmayeur e Nervi erano dipinte con le medesime tonalità), come da volere del suo fondatore, quell’Eugenio Borroni, nato a Bollate nel 1878, conosciuto come il commendatore, esempio di imprenditorialità e civismo al tempo stesso.

Impianto ottocentesco, con grande parco di oltre 10.000 mq., con una lunga,articolata,solidale storia alle spalle. All’origine, probabilmente, tessitura per la presenza di un fontanile che forniva energia idraulica per far girare macchine e telai. Trasformata poi nella lavorazione di collageni chimici, una parentesi con i giocattoli, in particolare trenini elettrici e bambole, quindi di nuovo colle proteiche e gelatine, fino alla riconversione in galleria d’arte moderna.

Il c’era una volta comincia nel 1906, anno che vede Milano protagonista nel mondo con l’esposizione internazionale. Eugenio Borroni, a soli 28 anni, viene chiamato dai soci della ditta Fino & C. – dove era impiegato dopo aver compiuto gli studi commerciali – per partecipare la società, allora specializzata nella fabbricazione di collageni e gelatine. Mai scelta fu più azzeccata. Perché il giovanotto aveva intuito come la lavorazione di questi prodotti potesse essere effettuata in casa senza rivolgersi alle produzioni estere, importate da Svizzera, Germania e Inghilterra che ne detenevano il monopolio. In tal modo rese un grande servizio alla nascente industria italiana e indirettamente alla Fabbrica stessa, creando una dicotomia positiva tra produzione e clientela, una sorta di marketing ante litteram.

Lo scoppio della prima guerra mondiale vede il Borroni richiamato con il grado di maggiore di artiglieria. Serve la Patria con lo stesso zelo della ‘sua’ Fabbrica guadagnandosi prestigiose onorificenze.

Al suo rientro, sciolta la società originaria, Borroni resta solo a guidare quella che è ora la ‘sua Fabbrica’.

L’azienda sotto la sua guida cresce e grazie alle sue capacità anticipa il progresso tecnico sviluppando le colle viniliche.

La sua visione imprenditoriale è accompagnata da un senso di attaccamento e appartenenza alla comunità nella quale è nato e cresciuto. Così, nel 1940, rispondendo ad un appello del sindaco dell’epoca, Erminio Confalonieri, fa scattare l’animo solidale e  rileva una azienda specializzata in trenini elettrici e bambole che rischiava la chiusura a causa del repentino decesso del titolare. Da lì il nome per lungo tempo stampato nell’immaginario collettivo locale de ‘la cà di Pigott’.

 Scoppia il secondo conflitto mondiale, molto più disastroso che il  precedente. Alla fine solo macerie: bisogna rimboccarsi di nuovo le maniche.

Nel frattempo, con lungimiranza e generosità, erano state costruite vicino alla Fabbrica case per i dipendenti: le cosiddette case Borroni, tra via Concordia e via Diaz, con un impianto urbanistico unico a ricordare iniziative di maggior dimensione sul modello di Leumann e Crespi d’Adda. L’azienda riprende in grande stile a produrre collanti vinilici per l’industria del legno e colle proteiche per il settore della legatoria e cartotecnica ,oltre che abrasivi per le tintorie. La Borroni colle e gelatine, passata di mano al figlio Renzo, da lavoro a quasi 400 dipendenti, tra cui molte donne, riconoscibilissime in paese per la  inconfondibile divisa,il grembiule azzurro carta da zucchero. Con l’improvvisa scomparsa di Renzo, subentra alla guida il figlio Eugenio

Cartolina anni ’50 Le case Borroni in Via Diaz – Archivio G. Minora

Cartolina anni ’50 Interno giardino casa Comm. Borroni  – Archivio G. Minora

Il mercato cambia,incombono nuovi players internazionali con prodotti venduti su larga scala. Il business crolla, Eugenio pensa di trasferire il sito produttivo in spazi più limitati (la ex Boston per precisione) e rigenerare la pregiata area della fabbrica.

Tuttavia la crisi correva più forte delle idee. Nel gennaio 2001 la produzione chiuse e la Fabbrica fu declinata a sede di una prestigiosa galleria d’arte moderna con lo scopo  precipuo di promuovere l’attività di giovani artisti, passione di quel genio di Eugenio.

A completamento la struttura fu anche convertita a sede di eventi di vario genere: concerti, il jazz italiano, i celeberrimi Solitari; mostre, i 50 anni della 100 km di marcia, la prima de la Fabbrica Dimenticata; presentazione di libri di storia locale e d’arte moderna ,spazio dibattiti,  convention aziendali, matrimoni. 

Attività che prosegue tuttora, pur con le difficoltà del momento, sotto la guida di Lorenzo, a rappresentare la nuova generazione.

La scommessa per il domani è quella di fare in modo che la Fabbrica resti con l’impianto originale per essere utilizzata da nuove funzioni.

La vicinanza della stazione ferroviaria può essere foriera di sviluppo di attività collegate al mondo della università, considerata  anche la vicinanza con il campus Politecnico di Bovisa e il trasferimento delle facoltà scientifiche della Università Statale in area Mind (ex Expo), tra Baranzate e Rho.

Qualche centinaio di studenti potrebbero mutare e vivacizzare il volto della città.

Antonio C. G. Pastore

QUELLI CHE “SE LA CASCIAVEN”

Dalle macerie della guerra emerge la voglia di rinascita in ogni ambito: economico, politico, sociale, culturale, sportivo, associativo. Questa voglia di ripartenza anima trasversalmente tutta la comunità locale, le capacità professionali, imprenditoriali, organizzative si coniugano con il senso civico e la partecipazione collettiva. L’obiettivo è comune: far crescere, insieme al lavoro di ciascuno, il benessere del proprio paese. In quest’ottica, alcune figure importanti per censo e potere si mettono a disposizione. E’ il caso di Eugenio Borroni e dei suoi familiari.

Il commendatore non solo è stato un lungimirante imprenditore ma anche, “un tipo talmente aperto con il quale il discorso è ingentilito da quella bonomia tipica delle persone abituate a vivere tra campagna e città “. Tradotto, una persona con un profondo senso della comunità. Lo si può considerare un antesignano di quelli che gli anglosassoni chiamano “civil servant”, più che definirlo semplicemente un benefattore. Lo conferma il suo operato sociale.

Nel 1940 non resta sordo all’appello del sindaco Confalonieri e salva la fabbrica di bambole che rischiava di chiudere. Nel 1943 mette a disposizione la sua esperienza amministrativa come figura istituzionale, sia come presidente dell’asilo Maria, sia come commissario e più tardi come presidente dell’ospedale.  Soprattutto in questo ruolo, all’albore degli anni Sessanta, valorizza il lascito testamentario di don Luigi Uboldi, avviando la costruzione del nuovo nosocomio  che , una volta ultimato, conterà  200 posti letto e diverse specialità mediche. Autentico protagonista della vita socio economica di quegli anni, si rende disponibile per azioni di sostegno di vario tipo, tanto per citare: contribuisce al restauro dell’altare delle anime del purgatorio nella  cappella della parrocchiale di san Martino , dedicando il Sacellum Hoc  allo zio monsignor Paolo Borroni.  Oppure, assieme al nipote acquisito Carlo Croce, (marito di Ada, figlia del fratello Piero) si reca appositamente sulle Dolomiti per scegliere il legno del crocefisso che ancora oggi campeggia nella chiesa di san Giuseppe.  Episodi che dimostrano attenzione alle necessità del territorio. Sensibilità che ha trasmesso a tutto il parentado. Lo stesso Carlo Croce, oltre che essere uno dei suoi consiglieri fidati, ha messo in pratica le lezioni di altruismo impegnandosi in prima persona nella fondazione della biblioteca comunale: ha donato l’iniziale dotazione di libri in modo da consentire la partenza dell’attività presso la sede, ubicata in un‘aula al primo piano della scuola elementare di via Garibaldi. Successivamente, in collaborazione con  il maestro Alessandro Salina,  ha fondato, come  direttore  responsabile, l’avventura editoriale dell’Informatore Bollatese, pubblicazione cittadina  uscita dal  1958 al 1962.  Inoltre, aderendo ad un invito dell’allora parroco don Carlo Elli, si è accollato per qualche anno la gestione della cooperativa cattolica di generi alimentari La Speranza. Più marcatamente in ambito sportivo l’impegno del figlio Renzo Borroni; per anni dinamico presidente del Pedale Bollatese . Nel 1946 fu tra i promotori della realizzazione del velodromo in terra battuta con curve sopraelevate, costruito presso il campo sportivo di via Diaz, che sostituì per alcuni anni il celebre Vigorelli, messo fuori uso dai bombardamenti della guerra. Per le sue capacità manageriali, venne eletto vice presidente della Unione Velocipedistica italiana e membro della direzione della Gazzetta dello sport.  Un altro nipote, Umberto, figlio del fratello Piero, è stato nell’immediato dopoguerra, presidente della rinascita della Bollatese calcio.

Classici esempi di persone che ”se la casciaven ” per il bene comune. Quasi fosse un dovere morale restituire, come segno di gratitudine, quanto il paese

aveva dato loro. Figure, come tante in quegli anni di ricostruzione, che sapevano indicare un percorso di sviluppo collettivo.

Paolo Nizzola

Eugenio Borroni accompagna il musicista olandese Han Bennink nella visita alla Galleria della Fabbrica in occasione della sua permanenza a Bollate per l’iniziativa Artist in Residence, promossa dall’Associazione Bollate Jazz Meeting – Marzo 2012

IL FUTURO HA IL SAPORE ANTICO

“Non cediamo alla tentazione, illusoria, di mettere tra parentesi questi mesi drammatici, per riprendere come prima”.  Il monito arriva dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che invita “a riflettere seriamente, con rigorosa precisione, sulle carenze del sistema e sugli errori da evitare di ripetere”.

Dopo la primavera sospesa a causa della pandemia, è suonata l’ora della ripresa, una ripartenza però contrassegnata da sentimenti contrastanti tra speranza e paura,

Speranza: di poter finalmente abbassare la guardia e riavviare il motore produttivo. Paura: che la fine di questa emergenza sanitaria non arrivi e i conti non tornino. In mezzo c’è l’accavallarsi di voci, proclami, proposte. Una sola certezza: la voglia di vivere e pensare a un nuovo domani. In questo contesto sociale come cambia la struttura economica, commerciale, culturale del nostro territorio? Con la storia della Fabbrica Borroni cominciamo un viaggio attraverso alcune realtà cittadine che con la loro identità possano rappresentare una testimonianza di riconversione imprenditoriale che faccia da stimolo per affrontare le sfide innovative che ci attendono. Perché passato e futuro non si sono mai confrontati come ora.  Abbiamo bisogno di storie per fare nuova  storia, di spiriti guida per indicare un percorso e non cadere nella depressione . Per questo la memoria conta.

Ingegnere per caso, giornalista mancato, scrittore che non ha ancora deciso cosa scrivere. Una vita di scorribande, a far sempre cose nuove, una diversa dall’altra. Insegnante, assaltatore/postino, ricercatore CNR, ingegnere in società multinazionali, imprenditore, politico di terza classe, socialista da sempre e per sempre. Amore per il teatro, negli ultimi anni enfatizzato dalla fortunata frequentazione con Luca Ronconi ai tempi del Piccolo Teatro di Milano. Appassionato di musica classica sostiene che: ‘dopo Mozart è stato inutile scrivere musica’. Calcisticamente agnostico, ferrarista da sempre. Vanesio, si ritiene un eccellente chef. Amante di vini rossi e bollicine per accompagnare cibi. Sempre alla ricerca di persone nuove con le quali parlare, confrontarsi, discutere, litigare, bere e gustare cose golose.

Antonio Carlo Giuseppe Pastore

Paolo Nizzola, una vita a maneggiare notizie tra giornali , radio e tv,  tanto da farne un libro autobiografico “ Ho fatto solo il giornalista”.

Milanista da sempre, (ritiene che la sua più bella intervista l’abbia realizzata con Gianni Rivera), appassionato di ciclismo, (è coautore del libro “una storia su due ruote”), amante della musica jazz (è presidente dell’Associazione Bollate Jazz Meeting) .Gaudente a tavola, soprattutto  in buona compagnia.
Insomma, gran curioso di storie, di umani e di situazioni.

Paolo Nizzola

Ha sempre coltivato diverse passioni. La musica nei suoi aspetti più vari ,la fotografia, la storia locale e lo  sport   sono sempre stati al centro dei suoi interessi. .Una costante curiosità per tutto ciò che lo circonda lo ha portato a conoscere molti jazzisti italiani e americani o a scoprire aspetti dimenticati di quanto avvenuto in passato nella sua città. Ha collaborato alla realizzazione delle pubblicazioni  Bollate 100 anni di immagini (1978) , Una storia su due ruote (1989) Il Santuario della Fametta (2010) La Fabbrica dimenticata (2010) Il soggiorno a Bollate di Ada Negri (2014) . Ha curato anche diverse mostre fotografiche fra le quali La prima guerra mondiale nella memoria dei Bollatese (2015) La Fabbrica dimenticata (2010) I 40 anni di Radio ABC (1977). E’ tra i fondatori dell’Associazione Bollate Jazz Meeting (1994) di cui è segretario.

Giordano Minora