La disavventura di un bollatese nella Milano del 1400

 con una divagazione sul prezzo del pane all’epoca

“Il mio dottore mi diede sei mesi di vita, ma quando non potei pagare il conto me ne diede altri sei”

(Walter Matthau- attore)

Forse perché nato “senza camicia”, ma con la”deslippa”(leggi sfortuna) addosso, oppure che ci abbia messo molto del suo, sta di fatto che il nostro concittadino ebbe dei seri problemi con la giustizia.

Siamo nel 1461, Mirano da Bollate è debitore verso Johannes Caligarius di Lire 53. Ignoro la sua attività e le cause del debito, probabilmente per l’ acquisto di un paio di stivali non pagato. Sta di fatto che il “Caligarius“, calzolaio di stivali, lo denuncia. Così, dalla sua abitazione di Bollate è condotto davanti al giudice nel Palazzo Pretorio, via dei Mercanti, al Broletto a Milano. Dopo il processo e in attesa della sentenza letta nella attigua piazzetta, subisce la pubblica gogna, seduto su una roccia abrasa molto tagliente con le “terga nude” (gogna che subiscono anche le ree). Trascorse alcune ore, il giudice legge la sentenza e infligge la pena leggendola dalla finestra del palazzo. Per Mirano è la condanna alla detenzione, con una durata non predeterminata. È subito condotto alle carceri “Malastalla Mediolani”, site in corso degli Orefici, molto vicino al luogo del tribunale. All’epoca questa piccola prigione è considerata la peggiore di Milano per le condizioni di detenzione dei carcerati vessati dai guardiani, che li tartassano in vari modi, per le celle buie e malsane perché senza finestre, per la sporcizia, la promiscuità, per la mancanza cronica di cibo. Nella “Malastalla” sono “recluse” anche le bestie sequestrate, cavalli, asini, pecore e così via, da qui il nome delle prigioni. Gran parte dei prigionieri sono condannati per reati economici, ma ve ne sono anche alcuni per reati più gravi. La durata della pena non è determinata per i condannati per reati economici: cessa con il saldo dei debiti.

(Una annotazione: nelle carceri MdB trova tra i 54 detenuti ben tre condannati “da Garbagnate”, Giovanni, già in carcere da 8 mesi per lire 350 non pagate a Giovanni da Faxiano per una vendita di vino; poi i fratelli Stefano e Antonio, in carcere già da 32 mesi per un debito verso Androtto Visconti, il quale ha già sequestrato tutti i loro averi, insufficienti però per saldare il debito). In base alla legge allora in vigore nel ducato, il nostro Mirano può avvalersi di tre possibilità per uscire di galera:

Il Palazzo dei Giureconsulti nella piazza dei Mercanti

Il Palazzo della  Ragione in piazza Mercanti, sede del Comune di Milano nel XIII Secolo.

1) essere graziato o dal Duca per sua magnanimità o per Intercessione Divina, questa ultima possibilità scarsamente probabile. Il duca regnante di solito concede alcune grazie in occasioni speciali quali feste religiose, fausti eventi come vittorie militari, nascite di figli e figlie, (quando duca fu Francesco Sforza non so se ci furono tante grazie quante i figli avuti, ben 35 riconosciuti e forse più!!!). Per i condannati come il nostro concittadino, le grazie cancellano le pene accessorie.

2) pagando il debito e saldando le spese della detenzione, che ammontano a 6 soldi al dì (vedi nota sotto)

Tutte le spese per gli alimenti e la detenzione sono totalmente a carico dei famigliari e di eventuali interventi di opere pie laiche e religiose. La assistenza legale ai detenuti totalmente indigenti viene assicurata da associazioni filantropiche. Un secolo prima, un regnante inaspettatamente caritatevole, munifico, timorato di Dio (per chi non lo avesse capito sto parlando di Barnabò Visconti) ,con un suo editto e un lascito inerente, pari a lire 503 l’anno, stabilì la distribuzione gratuita del pane ai prigionieri, in pratica da 120.000 a 60.000 pani. Da allora fino al 1461 nulla più cambiò in meglio da parte delle autorità. Alcuni miglioramenti alle condizioni di vita arrivarono solo da lasciti occasionali di alcuni danarosi cittadini con l’obbligo ai beneficiati, per lo più conventi, di somministrare cibo di una certa consistenza, su tutti la carne, in giorni prefissati.

Questa condizione “sine qua non” per ottenere la libertà è così riportata nel registro dalle carceri, con la formula usuale uguale per tutti i detenuti , compreso il nostro concittadino.

 “Il Mirano da Bollate non trovando fideiussione offre tutte le sue cose per uscire dal carcere. Rischia di morire in carcere se “La Grazie di Dio non gli fa Misericordia” (note tratta dal libro di Grazzini M., Storie medioevali di vita e malavita, Reti Medioevali, 2017).

3) se il debitore si trova in carcere per espressa volontà del creditore, quest’ultimo ha l’obbligo di pagare il sostentamento del prigioniero. Nel caso della interruzione di questi pagamenti, il prigioniero viene liberato e automaticamente il debito estinto. Purtroppo per i debitori questa legge non venne quasi mai applicata.

Mirano non poté avvalersi di alcuna di queste opportunità e uscì dal carcere con le gambe davanti solo dopo pochi mesi di carcerazione a causa delle condizioni “disumane “ vissute in prigionia.

Francesco Sforza (da un ritratto di Bonifacio Bembo)

Monumento al podestà Oltando da Tresseno situato sul frontone interno del Broletto nuovo in piazza dei Mercanti

Il Mausoleo di Bernabò Visconti collocato nel Museo Archeologico  del Castello Sforzesco di Milano.

Questa vicenda ci riporta all’attualità di oggi, legandosi al fatto che sul nostro territorio è presente una struttura penitenziaria, il celebre carcere di Baranzate.

 Da allora poco o nulla è cambiato in fatto di numero di detenuti; infatti il tasso di detenzione nelle carceri ducali è praticamente identico a quello dell’Italia di oggi (dati aggiornati al 2017).

Morale: nulla di nuovo sotto il sole nonostante il trascorrere dei secoli.

Quale potere di acquisto hanno 6 soldi, quanto richiesto per un giorno di prigionia nel 1461?

Quanto pane, l’alimento principale della dieta dei ceti più poveri, si acquista con un soldo. A Milano entravano non meno di 1200 moggi di farine al giorno, pari a un ammontare che va da 93.000 kg a 120.000 kg in ragione dei tipi. Alla fine del XIV secolo si stabiliscono per legge sia la qualità delle farine che il prezzo calmierato del pane, inclusi gli obblighi dei fornai. All’epoca esistono tre tipi di pane: quello “bianco”, prodotto con farina di grano, e i due tipi conosciuti come ” pane di mistura”, cioè prodotti con miscele di farina di segale,una parte, e farina di miglio, una o due parti. Mentre il pane bianco si vende a peso e a un prezzo di mercato, per quelli ”di mistura” invece il prezzo è fissato per legge a 1 o 2 denari per singola forma, a seconda del costo delle farine: prezzo base 8,75 once, circa 240 grammi. Il fornaio è obbligato a venderli senza margine di guadagno, a meno che non sia il cliente a portare le farine: per un minimo staio- circa 11,4 kg- può richiedere 6 denari per la preparazione e cottura. Inoltre ha l’obbligo di avere sempre disponibilità di “pane di mistura”, se sprovvisto deve fornire il tipo “bianco”, sempre però al prezzo di 1 o 2 denari.

In pratica, con 6 soldi al dì, pari a 72 denari o a 6 dodesini, si acquistano da 36 a 72 forme da 240 grammi circa, ovvero da 8,6 a 17 chilogrammi di “pane da mistura” e ci si paga un tranquillo (sic) giorno di prigionia.

Legenda:

1 oncia = 27,23 grammi – 1 libbra =453,59 grammi – 1 moggio di farina di grano = circa 101 kg, se di “mistura” = circa 92 kg – 1 staio di farina di grano = circa 12,5 kg, se di “mistura” = circa11,4Kg – 1 lira = 20 soldi    1 soldo = 12 denari   12 denari = 1 dodesino

Nazzareno Marcon

Albero genealogico degli Sforza

Albero genealogico della dinastia dei Visconti

 CADDE, RISORSE, GIACQUE

(Alessandro Manzoni)

 Breve storia di Stefano “Stefanino” da Bollate, Stephano per il duca Francesco

Questo nostro compaesano del 1400 è un mercante, di che cosa non si sa. I pochissimi documenti riportati nelle varie raccolte esistenti non lo specificano. Lo troviamo però protagonista in tre situazioni relative a problemi giudiziari ed economici, riportate in documenti ufficiali dell’epoca.

CADDE:

Siamo nell’estate del 1452, Isabetha de Rondello, seconda moglie del padre di Stefano, Dominichino da Bollate, e pertanto sua matrigna, viene trovata morta in casa. Il primo sospettato dell’omicidio, perché di questo si tratta, è Stefano, detto anche Stefanino. Egli si professa innocente con tutte le sue forze e invia una supplica al duca affinché la sua estraneità al fatto sia riconosciuta. Il duca in quel periodo si trova al “castrum di Trigianum”,nel pieno dell’attività bellica contro Venezia. Letta la supplica, informatosi sui fatti e le indagini, crede innocente Stephano, così l’undici luglio invia una lettera, scritta in latino, al Capitano di Giustizia Milanese ordinandogli di non procedere nei confronti di Stephano da Bollate, con l’aggiunta: “habiati bona advertentia”, ossia di salvare la legittima e la parte di dote della madre, la prima moglie di Dominichino, presubilmente defunta. Chiede anche di essere sempre informato su eventuali sviluppi futuri della vicenda.

RISORSE (economiche):

Tutto bene? Non sembra proprio, infatti due mesi dopo, il nostro  Stefanino invia un’altra missiva al duca. Siamo nel 1452, lunedì 13 settembre, il duca Francesco I Sforza è accampato a Quinzano sull’Oglio, ove vi resterà per quasi un mese, dopo la sconfitta del fratello Alessandro ad Abbadia Cerreto: siamo nel pieno della guerra tra il ducato e Venezia. Francesco I si riserva di prendersi alcune ore di questo lunedì di riposo per rispondere alle numerose petizioni ricevute dai suoi sudditi. Tra queste vi è quella di Stefanino da Bollate che chiede gli vengano riconsegnati i beni riferiti alla dote della moglie Alegranzina, ora ingiustamente incamerati dalla Camera Ducale, come già deciso dal duca stesso due mesi prima. Nella risposta del duca, il motivo del sequestro da parte delle autorità è solo indicato per “eccessi di cui Stefanino si rese colpevole”. Siamo di fronte ad un omicidio, definirlo eccesso mi sembra molto riduttivo!

Il duca, nella sua risposta destinata alla Camera Ducale, intima che a Stephano siano restituiti i bene erroneamente sequestrati insieme a quelli del padre.

Non sappiamo come sia finita questa disputa economica… continuiamo le ricerche.

GIACQUE:

Invece la storia di Stefano ha purtroppo un seguito molto negativo. Giusto un anno dopo, il suo nome compare nel Registro dei Protestati per un mancato pagamento di una cambiale di svariati fiorini emessa da un banco milanese. A parziale giustificazione di Stefano si ricorda che nel 1453 persiste la pestilenza a Milano e in Lombardia con conseguenze disastrose nel mondo dei commerci, oltre naturalmente con quelle decisamente più tragiche per la popolazione.

Le risposte del duca sono reperibili nella raccolta edita da Lombardia Beni Culturali, registri 10 e 11: La Memoria degli Sforza.

NOTA: 1 FIORINO D’ORO = 3,537 g ORO 24 CARATI EQUIVALE A CIRCA € 245

 Cesare Angelotti

 bollatese d’adozione, ha origini friulane.

Bollatese di nascita, da 50 anni vivo a Milano ove opero nel settore dei prodotti chimici da 11 lustri. Coppi, Benvenuti, Rivera sono i miei campioni preferiti. Amo la musica lirica ed operistica, il riso in ogni sua elaborazione gastronomica.

Nazzareno Marcon