L’ingresso di nuovi soci del settore, dapprima la Pama di Verona e successivamente la Berardi di Brescia, non migliora la situazione. Addirittura il piano di risanamento di quest’ultimo soggetto, che doveva rappresentare il rilancio, contribuisce a depauperare ulteriormente il marchio. L’intento del gruppo bresciano era infatti quello di trasferire ad una società ad hoc, la OMS, i 67 lavoratori ancora in attività e con loro conferire progetti, attrezzature, immobili e ordini, compresa una maxi commessa che si è appena aggiudicata dall’Unione Sovietica, mentre i cento cassaintegrati sarebbero rimasti in carico al ramo secco ex Ceruti, che sarebbe poi finito in liquidazione. Una frammentazione che ha diviso i lavoratori e aumentato l’agonia della fabbrica. Così, tra scioperi e occupazioni, l’arrivo di un commissario liquidatore, il dottor Gallo, tavoli di concertazione sindacali e istituzionali, alla fine del millennio l’avventura della Ceruti è arrivata al capolinea, celebrando il funerale di un’eccellenza produttiva italiana e soprattutto cittadina. Sul campo è rimasto un complesso di capannoni dismessi, scheletri di intelaiature di acciaio e lamiere contorte, simbolo sbiadito di una gloriosa archeologia industriale che ha garantito reddito e lavoro a centinaia di famiglie e dato lustro all’economia bollatese.