IL SUO NOME ERA CERUTI

Girava il mondo

Lo stabilimento e l’area circostante a Madonna in Campagna negli anni cinquanta

In una calda mattina del 26 giugno 2025, con la sigla dell’intesa tra il sindaco Francesco Vassallo e  l’amministratore delegato di Officine Mak srl di Milano Daniele Consonni,  ha preso il via ufficialmente l’operazione di rigenerazione urbana che pone fine a un’epoca storica per Bollate e ne muta completamente il paesaggio. Vengono cancellati i capannoni dismessi di quelle che erano le gloriose officine meccaniche Ceruti per fare posto a un nuovo quartiere residenziale e di servizi, mandando definitivamente agli archivi un pezzo di storia economica e sociale della nostra città.

“Credemmo in tutto…poi in niente” (Attilio Lolini- poeta)

L’ approdo a Bollate nel 1937, sostituendosi alla società  Babcock and Wilcox, fabbrica  di macchinari per la produzione di energia a vapore per locomotive, in particolare caldaie multitubolari. Azienda anglo statunitense che nel 1926 si era insediata nei 17 mila metri quadrati coperti e nei 92.000 scoperti dello stabilimento che costeggiava il torrente Garbogera in via Madonna in Campagna.

In quella vasta area, utilizzando anche i vicini binari della confinante ferrovia, le Officine meccaniche Ceruti (attività aperta a Milano nel 1896 dal cavalier Ceruti per la produzione di meccanica varia) avevano deciso di ubicare una seconda sede, originariamente conosciuta come l’Opificio di Bollate e che inizialmente poteva contare solo su 35 addetti. Grazie alla qualificata produzione di macchine utensili pesanti: alesatrici, frese pialla, centri di lavoro, l’azienda si impose sui mercati nazionali ed internazionali e  quando nel 1943 lo stabilimento milanese è semi distrutto dalla guerra, scatta il trasferimento a Bollate.

Una suggestiva visione dello stabilimento di Bollate

E’ l’avvio  di una florida fase manifatturiera in rapida espansione nell’immediato dopoguerra: crescono personale, ordini e fatturati. Nel 1959-60 la società Edison diventa partner assumendone la gestione, attuando un vasto piano di investimenti. La Ceruti assurge a fabbrica modello per l’alta specializzazione dei suoi prodotti, oggetto di studio di imprese straniere, in primis quelle asiatiche di Giappone e Cina. C’è chi ricorda ancora- compreso chi scrive – quando nei primi anni Sessanta si vedevano- una rarità per l’epoca- le comitive di tecnici dai tratti somatici orientali, cartella nera in mano, che scese dal treno costeggiavano i binari della ferrovia per raggiungere l’ingresso di via Madonna in Campagna.

Forte di questo prestigio internazionale, la Ceruti desta interesse  nel panorama industriale italiano: a metà degli anni Sessanta viene inglobata nel gruppo Montedison, nato dalla fusione tra le società Montecatini- Edison.  Acquisizione che, da un lato, consolida una fase di sviluppo che la porta  a superare nel 1970 i 500 dipendenti, 507 per la precisione, e a conquistare una leadership in fatto di macchine utensili, con il fiore all’occhiello delle invidiate “center less”- rettifiche senza centri-  ossia le mastodontiche alesatrici, talmente all’avanguardia da divenire pure un ambìto manuale tecnico edito da Mursia; dall’altro, mettendo in atto un lento ma progressivo processo di smantellamento industriale.

Dove si produceva

Cosa si produceva

La fase di sviluppo si interrompe in maniera traumatica all’inizio degli anni Settanta. Dapprima con il passaggio al gruppo Montefibre e poi, nel 1975, affidando il controllo societario alla  F.I.M.E.C. ( finanziaria meccano tessile, partecipata 50% Montedison e 50% Snia). Qui comincia il declino vero e proprio perché la Ceruti non è più ritenuta strategica nonostante, grazie alla professionalità della manodopera, la parte industriale riesca a mantenere le sue posizioni d’eccellenza. Anzi, funziona come biglietto da visita, autentico marchio apripista per il mercato straniero della società che ha però ben altri interessi, in particolare nel comparto chimico e tessile. Si riducono i margini di autonomia e discrezionalità operativa e si cominciano ad avvertire i primi segnali di crisi con la conseguente diminuzione dei livelli occupazionali,  sono scesi a 403 già nel 1975. Gli avvicendamenti e le sostituzioni di interi comparti dirigenziali aggravano la situazione, provocando un inesorabile  percorso di decadenza contrassegnato da periodiche vertenze sindacali e con il ricorso alla cassa integrazione che diventa una costante negli anni Ottanta: nel 1985 gli addetti sono 170, di cui 100 in cassa integrazione, ed anche gli stipendi cominciano a non essere erogati con puntualità.

Forza Lavoro Occupata a Bollate nel 1971: 7.370 Unità

LO SVILUPPO INDUSTRIALE E URBANISTICO DI BOLLATE Tesi di Luigi Quinterio – 1975

L’ingresso  di nuovi soci del settore, dapprima la Pama di Verona e  successivamente la  Berardi di Brescia, non migliora la situazione. Addirittura il piano di risanamento  di quest’ultimo soggetto, che doveva rappresentare il rilancio, contribuisce a depauperare ulteriormente il marchio. L’intento del gruppo bresciano era  infatti quello di trasferire ad una società ad hoc, la OMS, i 67 lavoratori ancora in attività e con loro conferire progetti, attrezzature, immobili e ordini, compresa una maxi commessa che si è appena aggiudicata dall’Unione Sovietica, mentre i cento cassaintegrati sarebbero rimasti in carico  al ramo secco ex Ceruti, che sarebbe  poi finito in liquidazione. Una frammentazione che ha diviso i lavoratori e aumentato l’agonia della fabbrica. Così, tra scioperi e  occupazioni,  l’arrivo di un commissario liquidatore, il  dottor Gallo, tavoli di concertazione sindacali e  istituzionali, alla fine del millennio l’avventura della Ceruti è arrivata al capolinea, celebrando il funerale di un’eccellenza produttiva italiana e soprattutto cittadina. Sul campo è  rimasto un complesso di capannoni dismessi,  scheletri di intelaiature di acciaio e lamiere contorte, simbolo sbiadito di una  gloriosa archeologia industriale che ha garantito reddito e lavoro a centinaia di famiglie e dato lustro all’economia bollatese.

Strutture fatiscenti (dal 1996 utilizzate in parte come deposito di materiale ferroso e demolizione di elettrodomestici dalla Beretta Rottami), per decenni abbandonate in attesa di una nuova destinazione d’uso. Nel febbraio 2025 si è avviata una articolata operazione di demolizione lasciando cumuli di materiale inerte , calcinacci mischiati a ferraglia , pezzi di vetro , legno, qualche suppellettile che ha resistito all’usura del tempo ( armadietti, tecnigrafi, una grossa cisterna interrata da chissà quanti anni) , cancellando definitivamente, capannone dopo capannone, quello che richiamava l’esistenza di una fabbrica.

L’auspicio è quello che l’operazione  di recupero urbanistico avviata, definita oggi come rigenerazione urbana attraverso un progetto che prevede la presenza di abitazioni, spazi commerciali, servizi,  verde e una rivoluzione viaria, mantenga almeno una traccia concreta (magari dedicandole un apposito spazio di memoria condivisa) di quello che ha rappresentato  questa significativa storia industriale, creata dall’impegno, la dedizione, l’ingegno, l’intelligenza di centinaia di lavoratori e che ha davvero fatto epoca nella economia cittadina.

Bollate Oggi comincia da par suo con questo amarcord a più voci e in più capitoli.

Paolo Nizzola

 Laureato in Ceruti

Vista dall’alto l’area è apparsa per anni come un sito uscito dalla guerra per il suo stato di abbandono. Eppure fino agli anni Ottanta li dentro si costruivano le più belle macchine utensili del mondo, le alesatrici.  Venivano progettate e costruite alla Ceruti, per poi partire per il mercato mondiale. Macchine poco note, non conosciute come i torni e  le fresatrici, utilizzate, le alesatrici, per la finitura dei fori, generalmente in uso nelle fabbriche e officine meccaniche, particolarmente versate nel settore motori, diesel e benzina, e nell’industria delle armi. Forse a causa della mia “bollatesità” scelsi come tesi di laurea in ingegneria meccanica: “il progetto della testa e del cambio di un’alesatrice”. Relatore il professor Garbarino, direttore alla Innocenti, ironia della sorte, lo ritrovai da assessore all’urbanistica anni dopo tra i commissari liquidatori della fabbrica.

Ho trascorso perciò un periodo di quasi un anno di stage nei capannoni di via Madonna in Campagna, mi spiegarono tutto il processo produttivo, avevo come tutor il giovane ingegnere Roberto Riontino, che qualche anno più tardi sarebbe diventato il direttore vendite Italia dell’azienda . In quel periodo incontrai molti miei compagni delle scuole elementari e medie che lavoravano li, modo quasi sicuro per servire la patria nei 24 mesi di ferma in Marina. Il motivo?  La Ceruti- Montedison era iscritta nell’albo marinaresco e pertanto i dipendenti dovevano prestare servizio nella Marina Militare Italiana

Antonio Pastore

La dove c’era la fabbrica cosa sorgerà.

Superficie totale: 55.300 mq.

Residenziale: 40.000 mq (30% edilizia convenzionata)

Commerciale: 4.000 mq (max 2.500 mq di vendita)

Posti auto pubblici: 320

Nuove piantumazioni su aree pubbliche e private: 384

Opere pubbliche a carico general contractor: 8,5 milioni di euro.

Una vita a maneggiare notizie tra giornali, radio e tv,  tanto da farne un libro autobiografico, Ho fatto solo il giornalistaMilanista da sempre, (ritiene che la sua più bella intervista l’abbia realizzata con Gianni Rivera), appassionato di ciclismo, (è coautore del libro Una storia su due ruote), amante della musica jazz (è presidente dell’Associazione Bollate Jazz Meeting). Gaudente a tavola, soprattutto in buona compagnia.  Insomma, gran curioso di storie, di umani e di situazioni.
Paolo Nizzola

Ha sempre coltivato diverse passioni. La musica nei suoi aspetti più vari, la fotografia, la storia locale e lo  sport sono sempre stati al centro dei suoi interessi. Una costante curiosità per tutto ciò che lo circonda lo ha portato a conoscere molti jazzisti italiani e americani o a scoprire aspetti dimenticati di quanto avvenuto in passato nella sua città. Ha collaborato alla realizzazione delle pubblicazioni Bollate 100 anni di immagini (1978), Una storia su due ruote (1989), Il Santuario della Fametta (2010), La Fabbrica dimenticata (2010), Il soggiorno a Bollate di Ada Negri (2014). Ha curato anche diverse mostre fotografiche, fra le quali La prima guerra mondiale nella memoria dei Bollatese (2015), La Fabbrica dimenticata (2010), I 40 anni di Radio ABC (1977). È tra i fondatori dell’Associazione Bollate Jazz Meeting (1994) di cui è segretario.
Giordano Minora