IL PALLONE DI SAN SEBASTIANO

Presagio per il raccolto

Il parroco don Sala impartisce la benedizione ai mezzi agricoli. Anni Ottanta

“San Sebastian un frecc de can”

“San Sebastian un’ora in man”

La Bollate contadina che fa memoria delle sue origini, quando la vita del paese era scandita dai ritmi delle attività agricole e il raccolto dei campi era fonte di sostentamento per la maggior parte delle famiglie. Fondamentale era lo sguardo al calendario, il trascorrere di giorni e mesi, seguendo con apprensione i possibili mutamenti meteorologici: una grandinata improvvisa, un brusco calo di temperatura, un insistente acquazzone potevano compromettere raccolto e conseguente fatturato domestico. Ci si affidava allora alla provvidenza celeste, non per niente per ogni santo del giorno c’era un detto, un proverbio, un rito propiziatorio. Soprattutto in inverno, quando si facevano le previsioni per l’annata che si stava avviando. Così, il falò a sant’Antonio o il pallone a San Sebastiano -rituali in onore di due santi noti come mercanti di neve- se bruciavano senza intoppi erano segni di prosperità e auspicio di una buona annata. 

Altri tempi, epoche diverse, l’industrializzazione, l’urbanizzazione hanno reso quasi residuale l’attività agricola in città. Inoltre, la tecnologia consente oggi ai coltivatori rimasti in attività di prevedere le condizioni meteo, apporvi rimedio e trovare dei correttivi: la siccità di questi ultimi anni ha portato a repentini cambiamenti nelle modalità di semina. Tuttavia, il passato non si scorda, gli ultimi agricoltori ancora in azione non rinnegano le tradizioni dei loro padri. Anzi, le ripropongono sia come segno di ricordo delle radici sia come rinnovato momento scaramantico per la buona resa delle semine. La “festa del ringraziamento” a San Sebastiano ne rappresenta l’essenza.

IL NOSTRO SAN SEBASTIANO

Correva l’anno 1980. Era un martedì di una calda giornata festiva di mercato. Davanti al bar della Pinuccia Origgi di via Roma, un piccolo gruppo di coltivatori (c’erano, con me, il Giuseppe Doniselli, il Rossi, il Bonissoni, il Giuanin Nodari, el Ricu Baragia), coordinati da Arturo Pasqualini, presidente della locale sezione della Coldiretti, animò una discussione, rigorosamente in dialetto, che sfociò alla fine nella proposta di ripristinare l’antica tradizione della ricorrenza di San Sebastiano: con la messa di ringraziamento, l’accensione del pallone di ovatta, posto sopra l’altare, per il rito beneaugurante e poi, all’esterno, la benedizione degli attrezzi da lavoro, a cominciare dai cavalli, asini,pecorelle, per finire con i più moderni trattori e qualche trebbiatrice.

A sinistra, Arturo Pasqualini, presidente della sezione Coldiretti di Bollate, fautore del ripristino della tradizionale festa di San Sebastiano.  A destra, i rappresentanti della sezione di Bollate dei Coltivatori Diretti con i doni della terra offerti in un’edizione della festa di San Sebastiano. Fine Anni Novanta 

Detto, fatto. Sottoponemmo all’allora prevosto di Bollate, monsignor Giuseppe Sala, il nostro progetto che subito venne accolto. Martedì 20 gennaio 1981 (a quei tempi si festeggiava proprio nella giornata dedicata al santo patrono dei contadini. Solo qualche anno più tardi, per ragioni organizzative, è stata spostata alla domenica successiva), si svolse la prima edizione della rinata “festa del ringraziamento”. Celebrata la messa, offerti sull’altare i prodotti della terra, come segno di gratitudine per il raccolto, bruciato il pallone (dal cui andamento i nostri vecchi traevano auspici sull’annata a venire), che il sagrestano dell’epoca, il mitico Mario Hopes, faceva calare con grande maestria proprio dal centro della cupola, ci si spostava sul sagrato per la benedizione dei vari mezzi parcheggiati sul piazzale.

Il parroco don Giuseppe Sala, con una delegazione di Coltivatori Diretti di Bollate, prima della benedizione dei mezzi agricoli sulla piazza della chiesa in occasione della festa di San Sebastiano. Primi Anni Ottanta 

Nelle prime edizioni si potevano anche vedere immagini che sembravano fuori dal tempo, rappresentate da cavalli, carri e carrozze. Addirittura, in un paio di occasioni, grazie alla collaborazione degli amici pastori Mirko e Ciupi, che in quel momento con i loro greggi pascolavano nei prati attorno a Castellazzo, riuscii a far benedire un asino con le caratteristiche “sacchette” poste sul dorso e contenenti degli agnellini nati da pochi giorni. Per lo stupore e la gioia di grandi e piccini, che mai li avevano visti dal vivo. La tradizione dunque era ripresa ed è tuttora  rispettata e, di anno in anno, oltre a chiamare a raccolta gli agricoltori del territorio, vede la partecipazione di cittadini e famiglie, che si aggirano incuriositi intorno a trattori sempre più mastodontici e muniti di accessori di ogni genere per effettuare le varie fase del lavoro. Da sempre non manca la presenza dei responsabili della Coldiretti, assiduo frequentatore è stato per anni il compianto presidente provinciale della organizzazione, l’onorevole Nino Pisoni, autentico dominus in fatto di agricoltura; delle autorità cittadine, i sindaci che si sono susseguiti nel tempo, con tanto di fascia tricolore; e i comandanti della locale stazione dei carabinieri; a testimoniare la vicinanza e l’affetto della città e delle sue istituzioni attorno ai “custodi della terra”.

Mezzi agricoli e animali in piazza della chiesa per la festa di San Sebastiano del 1993

Paolo Vegetti con il suo cavallo – Anni Ottanta 

A sinistra, l’accensione del pallone di ovatta, posto sopra l’altare, da parte del parroco don Sala nella prima edizione della ripristinata festa di San Sebastiano – 20 gennaio 1981. Per motivi di sicurezza, negli anni successivi, l’accensione verrà eseguita all’esterno. In centro, il parroco don Maurizio Pessina esegue il rito dell’accensione del pallone di San Sebastiano in una recente edizione. A destra, la piazza gremita di mezzi agricoli. Anni Novanta 

Il parroco don Sala procede alla benedizione dei mezzi agricoli e degli animali in piazza.  Al suo fianco Arturo Pasqualini, presidente della locale sezione della Coldiretti.  Nella prima foto si riconoscono: l’onorevole Nino Pisoni (alle spalle) e Gianna Galli (a destra del parroco). Primi anni Ottanta

Una volta conclusa la parte ufficiale della cerimonia, si avvia quella civile e più ludica dell’evento. Agricoltori, familiari, simpatizzanti, in allegra compagnia vanno“ a mettere le gambe sotto il tavolo”.Nella circostanza non ci sono impedimenti di campagna o di stalla che tengono. Inizialmente il pranzo sociale si apparecchiava al ristorante San Carlo ed era caratterizzato dai vassoi colmi di ravioli fumanti immersi nel burro fuso, sapientemente preparati a mano dalle cuoche della famiglia Rossini (Quante risate in coppia con il compianto Dionigi Doniselli, scomparso troppo giovane). 

Successivamente ci si è trasferiti nel salone Donadeo dell’oratorio maschile, sotto la regia dello chef Dino Polenghi, nuovo trasloco alla Torretta di Arese, dal Peppino Bessi. Tavolate sempre allegre, come vuole lo spirito contadino, non certo dal menù vegano o vegetariano, accompagnate da vivaci discussioni derivate dalle abbondanti libagioni e in particolare dal buon vino, non solo sorseggiato. Fin dalle prime edizioni, al calar della sera, qualcuno doveva poi tornare per “regolare le bestie”, verificare la mungitura o chiudere il pollaio.

Restava il gruppo degli irriducibili per il bicchiere della staffa e avviare i canti di gruppo, tutti legati al folklore popolare lombardo: “lo spazzacamino”, “la bella la va al fosso”, “il cacciator del bosco”, “o mia bela Madonnina”, inframmezzati da motivi alpini, “era una notte che pioveva”, “la montanara”, “quel mazzolin di fiori”.A guidarli, le voci soliste del Brambilla, fratello della Vittorina Albricci di Castellazzo, e del Giuanin Nodari, ad una certa ora guardati con sospetto dai camerieri che dovevano sparecchiare e mettere in quadro la sala per la serata. Ma la festa non finiva li, una volta gentilmente invitato a lasciare il locale, il nostro gruppo si spostava a Castellazzo dal Pierino Albricci. Qui, nella cucina riscaldata dalla grande stufa a legna, tra una fetta di salame nostrano, una bottiglia di quello buono e l’immancabile oca sotto grasso, cucinata mirabilmente dalla Vittorina, il tempo sembrava essersi fermato. A notte fonda, salutati gli amici e incuranti del freddo, supportati da un ultimo rincuorante grappino, la compagnia si scioglieva. 

Il corteo dei mezzi agricoli transita in piazza Martiri della Libertà in occasione della festa di San Sebastiano. Anni Ottanta

Io inforcavo la mia bicicletta e scendevo dai prati di Castellazzo che , ricoperti da uno spesso manto di brina e avvolti nel silenzio, avevano un non so che di magico. Ora, molti di quegli uomini e donne sono “andati avanti”, come direbbero gli alpini: gente ruvida, ruspante ma dalla generosità genuina e spontanea, personaggi che parevano usciti dai libri di Giovanni Guareschi. Restano impresse nella memoria le loro storie di duro e faticoso lavoro tra campi, stalla, animali, uniti ai sacrifici e alle privazioni sopportate durante la guerra. Gioie e dolori di una vita scandita dal ritmo delle stagioni e dallo scorrere del tempo. Cronache di un mondo che da noi sta via via scomparendo. Siamo rimasti gli ultimi testimoni del repentino ed inesorabile passaggio dalla civiltà contadina a quella post-industriale. Con pochi nuovi interpreti proseguiamo nel tener viva l’usanza di celebrare il ringraziamento a San Sebastiano e gli ultimi possibili riti della tradizione agricola: ci teniamo a ricordare chi siamo e da dove veniamo. Speriamo che qualcuno delle giovani generazioni ne raccolga il testimone. Perché un albero senza radici è destinato ben presto a rinsecchire.

Arrivederci al prossimo San Sebastiano!

PAOLO VEGETTI 

RICORDANDO SAN SEBASTIANO

Fin da bambina ho partecipato alle ricorrenze di San Sebastiano, d’altronde l’Arturo era il presidente della locale Coldiretti e quindi tutta la famiglia era coinvolta nell’atmosfera che si respirava attorno all’appuntamento del 20 gennaio. Rammento ancora le celebrazioni con la benedizione degli animali, c’era chi portava la mucca, chi l’asino, il cavallo, oppure il puledrino. Allora i trattori erano dei “trattorini” rispetto a quelli mastodontici che si portano a benedire oggi. Stesso discorso vale per le motofalciatrici, dapprima si presenziava alla cerimonia con quelle condotte a mano, poi sono arrivate quelle con il sellino, autentico lusso, volevano dire maggiori comodità e minor dispendio di tempo anche per tagliare l’erba. Passare in rassegna di anno in anno queste novità, schierate sul piazzale della chiesa, significava osservare i segni del progresso nel mondo contadino. Sfogliando ancora nel magazzino dei ricordi, rivivo con un velo di tristezza l’edizione in cui papà, con le lacrime agli occhi, ha ricordato la Gianna Doniselli, consorte del Ricu Baragia, mancata poco tempo prima. Gianna era sempre stata un pilastro nella organizzazione della festa, papà la chiamava la mia segretaria perché era lei che lo coadiuvava in tutti gli aspetti organizzativi. In particolare era la Gianna che andava a batter cassa tra gli agricoltori per farsi dare polli, conigli, galline, salami, prodotti dell’orto, per realizzare i cesti da donare sull’altare al momento dell’offertorio. Per noi era una di famiglia.

Naturalmente, il momento più atteso era quello della accensione del pallone, dall’andamento di quelle fiamme si presagiva l’evolversi della annata agricola. Presagio che, dopo essere stato esorcizzato tra il fuoco del pallone e l’acqua santa della benedizione dei mezzi, veniva propiziato con abbondanti libagioni e innumerevoli brindisi augurali.

SANDRA PASQUALINI 

ORIGINI CONTADINE

E’ il titolo della saga familiare che il bollatese Gianni Bortolomai ha raccolto in un volume nel quale narra le radici della sua famiglia originaria del Veneto. Una storia che si intreccia tra campi, marcite, raccolti, casolari, mezzadri, fattori e che ha come protagonista nonna Santa, i suoi figli e i nipoti, nell’arco di tempo che va dai primi del Novecento fino al 1960. Dentro questo periodo, funestato dai dolori delle guerre, scorrono le vicende familiari cadenzate dai ritmi delle stagioni agricole: dalla semine ai raccolti, passando per le operazioni di trebbiatura e vendemmia, autentici riti che vedevano impegnati tutti i membri del clan familiare e culminavano nelle allegre feste sull’aia. Una serie di eventi che rievocano l’atmosfera di pellicole come l’Albero degli zoccoli, Riso amaro, Novecento. Affresco di un mondo contadino del quale Bortolomai ci tiene a fare memoria, perché:

“i ricordi non spariscono se sono belli” 

La festa di San Sebastiano sulla stampa locale

Le foto sono state gentilmente concesse da Paolo Vegetti e da Sandra Pasqualini

Una vita a maneggiare notizie tra giornali, radio e tv,  tanto da farne un libro autobiografico, Ho fatto solo il giornalistaMilanista da sempre, (ritiene che la sua più bella intervista l’abbia realizzata con Gianni Rivera), appassionato di ciclismo, (è coautore del libro Una storia su due ruote), amante della musica jazz (è presidente dell’Associazione Bollate Jazz Meeting). Gaudente a tavola, soprattutto in buona compagnia.  Insomma, gran curioso di storie, di umani e di situazioni.
Paolo Nizzola

Ha sempre coltivato diverse passioni. La musica nei suoi aspetti più vari, la fotografia, la storia locale e lo  sport sono sempre stati al centro dei suoi interessi. Una costante curiosità per tutto ciò che lo circonda lo ha portato a conoscere molti jazzisti italiani e americani o a scoprire aspetti dimenticati di quanto avvenuto in passato nella sua città. Ha collaborato alla realizzazione delle pubblicazioni Bollate 100 anni di immagini (1978), Una storia su due ruote (1989), Il Santuario della Fametta (2010), La Fabbrica dimenticata (2010), Il soggiorno a Bollate di Ada Negri (2014). Ha curato anche diverse mostre fotografiche, fra le quali La prima guerra mondiale nella memoria dei Bollatese (2015), La Fabbrica dimenticata (2010), I 40 anni di Radio ABC (1977). È tra i fondatori dell’Associazione Bollate Jazz Meeting (1994) di cui è segretario.
Giordano Minora