Subito dopo la Cooperativa c’era la merciaia, la signora Angela, un negozietto con una piccola vetrina e tre gradini, all’interno, dietro il banco in legno, tante scatole negli scaffali e sul dorso di ognuna il campione del contenuto. Era un trionfo di bottoni di varie fogge e dimensioni, quasi tutti in madreperla, e di cerniere lampo. Una scaletta in legno permetteva di arrivare agli scaffali più alti. Lo spigolo del banco aveva inciso un metro centimetrato per misurare i pezzi di fettuccia o elastico. Adiacente alla merciaia la macelleria del Rino; macelleria bovina, equina e suina come diceva una grande insegna in lamiera dipinta in rosso. Alle pareti , ricoperte fino a metà da marmo bianco, erano appesi trofei di lunghe corna bovine con nastri tricolore e fotografie in bianco e nero del Rino con vicino un suo animale, vincitori in qualche fiera. Il banco tutto in marmo bianco era molto alto e lassù compariva il Rino, corpulento, biondo un po’ stempiato. Dietro di lui una barra in metallo cromato con vari uncini sosteneva grandi pezzature di carne con le fasce muscolari bianche su cui spiccava la timbratura violacea fatta dal nonno Felice veterinario.
La macelleria del Rino faceva angolo con via Filippo Turati: in fondo alla via c’era la Cooperativa La Benvenuta, a metà lo Strada, il mio parrucchiere.
Era piuttosto anziano , piccoletto e pelato , lavorava con i due figli. In negozio, davanti alle due poltrone per i clienti ,si allungava una grande specchiera con lateralmente due alzate di mensole in cristallo con flaconcini di Tricofilina e brillantina liquida Linetti. La differenza con il barbiere della via Garibaldi, il Pierino “penel”, che preferiva invece utilizzare la crema bianca del Brylcreem che spalmava a piene mani sui capelli.
Di fianco alla nostra casa c’erano due villette dei primi ‘900; in quella confinante con noi la Franca Paggetti faceva la pettinatrice nella sua abitazione o si muoveva a domicilio; i saloni dovevano ancora venire.
Alla seconda villetta c’era la “ mescita ” della signora Adelina . Antesignana dei wine bar. Era un locale un po’ buio con un piccolo banco ricoperto di metallo, poche sedie e due tavoli, dominava un profumo greve di vino misto a quello del tabacco. Nei bicchieri si servivano solo due o tre tipi di vino. L’ Adelina faceva anche da vinaia; nel retro erano sistemate delle damigiane da cui si spillava il vino nei bottiglioni che portavano gli avventori. L’aiutava il marito, un brav’uomo sempre silenzioso. Anni dopo, seppi che era il secondo marito dell’Adelina; ci fu infatti un funerale ai resti rimpatriati del primo marito tra i caduti nell’eccidio di Cefalonia della divisione Acqui, mi impressionarono i soldati con l’elmetto e le ghette bianche che scortavano questa piccola cassetta coperta dalla bandiera italiana e soprattutto il pianto dell’Adelina. Dirimpetto alla nostra casa c’era una villetta con giardino , fontana, e i caratteristici vetri colorati, era abitata da Aurelio Colombo l’ottico del paese, con le figlie Roberta e Renata aveva il negozio in via Roma., poi tramandato alla generazioni future in una nuova sede trasferita sotto i portici di via degli Alpini. La casa venne abbattuta per far posto a un condominio e sotto vi trovarono spazio negozi, in primis le confezioni Munafò e la tipografia cartoleria di Mario Brambilla