HANNO DETTO DI LUI
“C’è un sentimento della difficoltà del vivere, del resistere in una realtà ostile. I loro gesti sono sempre sobri, contenuti. Sono gesti di un mansueto rituale quotidiano…Non vi sono civetterie di nessun genere in queste sculture: Lamon ha una sua severità che si fonde perfettamente con la coscienza della fragilità della nostra sorte dentro le asprezze della storia. Ed è proprio questo fondamentale aspetto, questa consapevolezza della situazione in cui ci troviamo , che gli consente, anche attraverso una poetica così scarna ed essenziale , di cogliere risultati di indiscutibile sincerità espressiva”.
Mario De Micheli
Catalogo mostra Ciovasso di Milano – 1971 “Nello scrivere di un artista , soprattutto la prima volta, risulta sempre rilevante, la visita allo studio: al luogo dell’immaginazione, delle nostalgie e delle scontentezze, dell’amore e della solitudine. Una visita a quella sorta di trama accidentale e senza ritorno che è la vita dell’arte nel modo di sorgere e ricadere , nel suo prendere forma. Difficile non partire da qui: da questo paesaggio della periferia dove l’artista vive e lavora nella muta sopravvivenza di un settecentesca corte lombarda. Insospettato vuoto della storia dove l’ora ha una durata ineluttabile e sgomenta…”
Stefano Crespi
Catalogo mostra antologica Bollate 1989
UNO SCULTORE TRA IRONIA E SIMBOLO
Uomini e donne, burattinai, giocolieri, funamboli e prestigiatori: in questa corte dei miracoli, quotidiana e dimessa, Gianfranco Lamon ha disposto, finchè ha potuto, i suoi personaggi a recitare l’eterno racconto della vita, delle sue frustrazioni e contraddizioni, delle sue dolcezze e illusioni. Uno scultore come lui, con dietro le spalle un itinerario di ricerche e di trascorsi plastici così ampio ed articolato ma sempre rigorosamente motivato dalle ragioni primarie dell’immagine che è davvero raro trovare dentro le pieghe dell’arte di oggi. Lamon ha sempre esplorato con fervida intensità di risultati e decisiva coerenza il medesimo bersaglio poetico, tra bronzo, terracotta, legno, incisioni e disegno. Lo conoscevo da sempre, dai suoi e miei esordi si può dire, e da sempre ho visto come il suo repertorio plastico, col trascorrere degli anni, si è via via irrobustito all’interno d’una fisionomia sempre più singolare e personale che lo pone, insieme a Vangi, Trubbiani, Bodini, Pisani, Attardi, la Argéles e pochi altri, al centro della più interessante scultura d’immagine italiana contemporanea.
Giorgio Seveso
Kate Kollwitz, la signora in nero della grafica tedesca d’inizio secolo, diceva sempre: «Non ho mai fatto un lavoro a freddo, ma sempre, in un certo senso, con il mio sangue».
Sembra averla presa alla lettera Gianfranco Lamon quando, raccontando le sue storie di ordinaria follia, disegna personaggi scomodi e maldestri con una matita così appuntita da incidere il foglio come un coltello. Sarà che, abituato a spremere energia dalle mani, da buon scultore, maestro della materia scavata a pollice o a colpi di spatole, stecche e scalpelli, ha finito per trasferire sulla carta la stessa potenza del modellato. Cosa, peraltro, comune a molti scultori prestati al disegno. Da Medardo Rosso a Giacometti, da Marino a Manzù, tutti capaci di affondare il segno nella pagina per estrarne figure solide dai profili taglienti.
Chiara Gatti
Catalogo mostra – Ghiffa 2011