GESTI D’AMORE

l’ avventura missionaria

“Preferisco una chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze”.

Il monito di papa Francesco è stato messo in pratica nel corso degli anni a Bollate da diversi testimoni e in continenti diversi. Missionari, religiosi e laici, che sono andati per il mondo ad  annunciare il verbo e, allo stesso tempo, favorire la promozione umana. In  primis, migliori condizioni di vita. Sotto l’impulso della loro avventura sono sorte associazioni e gruppi di volontariato, sia per sostenerne concretamente il lavoro , sia come opera di sensibilizzazione attorno alle tematiche legate alla realtà che viene comunemente riassunta nel concetto  di Terzo Mondo. La nostra città può vantare infatti una lunga tradizione in questo senso, documentata attraverso iniziative caritative, supporti umanitari, realizzazione di progetti educativi e sanitari, ossia scuole e ospedali,  forme di intervento diretto e indiretto, adozioni e aiuti a distanza. Una diffusa attività di solidarietà internazionale attestata da un asilo infantile, sorto all’alba degli anni Duemila nel villaggio di Peralvillo in Perù, costruito con il contributo del comune, tanto da essere intitolato alla nostra città, e alla dedica al patrono san Martino di un impianto idrico nel Benin.

Il Gruppo Missionario: la carità a distanza. 

Tutto è cominciato con Emilia Pagani, fondatrice del gruppo, (uno dei più antichi della parrocchia san Martino) che confezionava, nei locali del laboratorio di ricami Tenconi, con la collaborazione di alcune sarte e ricamatrici esperte, abbigliamento liturgico per sacerdoti missionari, oltre ai paramenti sacri. Insieme a questo lavoro, un gruppo di giovani si dedicava alla stampa di volantini illustrativi finalizzati all’appuntamento  della Giornata Missionaria Mondiale, da sempre inserita nell’ambito dell’ottobre missionario organizzato dalla diocesi di Milano.

Per l’occasione si allestiva, nei locali dell’oratorio femminile, la Mostra Missionaria, con i lavori realizzati dai volontari nel corso dell’anno, e si raccoglievano fondi  sensibilizzando la popolazione nelle piazze e alla stazione.

Calda accoglienza in un villaggio

Durante gli anni 1965-1975, con maggiore frequenza nelle domeniche del periodo quaresimale, i giovani oratoriani giravano per i caseggiati della città nelle impegnative ma caratteristiche raccolte della carta. Utili per chi doveva svuotare cantine, depositi e magazzini, soprattutto per finanziare, con il ricavato della vendita alle cartiere, la causa. Allora non esisteva la raccolta differenziata. Si raccoglievano anche indumenti e medicinali che venivano inviati, attraverso appositi container, ai missionari che ne facevano richiesta. La fantasia dei giovani si è pure inventata, qualche anno più tardi, il lavaggio delle auto nel cortile dell’oratorio in cambio di una offerta pro-missioni.

Nel frattempo, suor Mariangela, dell’ordine della Carità di santa Giovanna Antida, congregazione che opera da sempre in parrocchia, con alcune signore esperte ha ideato un laboratorio di cucito e ricamo per realizzare lavori destinati al banco vendita della mostra Missionaria. In questo laboratorio si confezionano anche camicini per i battezzandi della parrocchia. In parallelo a questa attività, mutati tempi, situazioni e generazioni, adesso i protagonisti sono diventati i ragazzi di seconda e terza media: sono coinvolti, la domenica della Giornata Missionaria, nella vendita di sacchetti di riso alle porte delle chiese. Grazie a queste molteplici iniziative di solidarietà e generosità, messe in atto nel corso del tempo, il gruppo ha sostenuto svariati progetti.

Negli anni 1970-80 a supporto dell’operato di:

padre Giuseppe Morlacchi, missionario comboniano, molto conosciuto dai bollatesi (abitava nei palazzi del Luma in via Garibaldi) per l’opera prestata nella Repubblica Centrafricana, soprattutto nel Sudan dove era conosciuto come ”l’apostolo dei lebbrosi”, in particolare gli abbandonati pigmei. E’ scomparso nel giugno del 1980.

 Suor Elena Alzati, originaria di Ospiate, che per 47 anni ha operato in Ciad, nel villaggio di Koumra della diocesi di Sarh. Nel corso della sua permanenza africana, svariate sono state le spedizioni estive, spesso capitanate dal parroco di Ospiate di allora, don Antonio Mastri, con lo scopo sia di portare aiuti sia di collaborare alla costruzione di impianti idrici ed elettrici. Ora è in casa di riposo per raggiunti limiti di età.

Esponenti del gruppo missionario con suor Elena Alzati

Attualmente il  gruppo sostiene l’attività di:

  • Padre Alberto Caccaro, missionario del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere), collaborando a progetti per la costruzione di scuole sia nel villaggio di Pkah Doung, un’area rurale a sud est della Cambogia, che a Kompong Cham, sempre in Cambogia, entrambe le strutture sono  ora funzionanti.
  • In memoria di mons. Paolo Vieira, già vescovo della diocesi di  Djougou, nella Repubblica del Benin ,scomparso nella primavera del 2019. Più volte ospite nella nostra parrocchia per le celebrazioni delle sante cresime. In ricordo del suo apostolato e grazie al contributo del nostro gruppo, all’interno di un villaggio della diocesi è stato scavato un pozzo per l’acqua che, proprio in  segno di riconoscenza, è stato intitolato alla nostra parrocchia san Martino.
  • Giorgio e Marta – famiglia “fidei donum” di Varese:  hanno vissuto per un periodo presso la comunità dei frati Minori Francescani in UGANDA operando  principalmente nell’orfanotrofio, aperto nel 2014, dall’associazione Ewe Mama onlus, insieme agli stessi frati. L’orfanotrofio è stato visitato, nell’agosto 2019,  da don Matteo e da alcuni giovani dell’oratorio , nell’ambito di una vacanza caritativa.

   – Don Medard Lokalo Mpoto, operante nella missione situata nella diocesi De Tshumbe  a  Kinshasa  nella Repubblica del Congo.

   – Suore della Sacra Famiglia a Roma, a sostegno del loro Centro nutrizionale in Congo (foto)

  • Associazione PRO TERRA SANCTA, a supporto della Custodia di Terra Santa e per progetti di aiuto alla martoriata Siria.
  • Inoltre, parte del ricavato della Giornata Missionaria viene devoluto all’Ufficio diocesano della Pastorale Missionaria per sostenere progetti della diocesi o per le Pontificie Opere Missionarie di sacerdoti o famiglie che vivono nelle missioni come opera di evangelizzazione, chiamate appunto Fidei Donum.

Il nostro gruppo sostiene altresì iniziative proposte dalla Caritas cittadina, in particolare per don Albert Pakata Camara,originario della Guinea, studente all’università Cattolica e da alcuni anni ospite nella nostra parrocchia, e padre Daniele Moschetti, nativo di Ospiate, sacerdote missionario comboniano in Africa, nel sud Sudan, in Palestina e ora in Italia a Castelvolturno (Caserta), dove opera  per l’accoglienza e l’ integrazione dei migranti.

Il gruppo organizza momenti di confronto e dibattito  anche con i missionari che visitano in alcune circostanze la nostra parrocchia. La comunità bollatese è da sempre molto sensibile a queste tematiche. L’ennesima dimostrazione è quella rappresentata dalla testimonianza diretta di alcuni giovani che, in tempi recenti, dopo un adeguato periodo di preparazione, partono per  affrontare esperienze missionarie sul campo, rimanendo affascinati e coinvolti da quanto toccano con mano  mettendo in pratica  l’autentico significato del motto: “Nessun uomo è un’isola.”

Enrica Grassi – Gruppo Missionario Parrocchia san Martino

“Un granello di senape diventa un albero”

C’era una volta…quanti anni fa? Più o meno 60.

C’ era un oratorio che era la nostra seconda casa. Un posto dove ci  incontravamo per imparare, pregare, stare insieme, divertirci  e dove c’erano persone splendide che ci aiutavano a crescere con i principi umani prima ancora che religiosi: don Franco, suor Maria Carla, suor Mariangela, mons. Giuseppe Sala e padre Giuseppe Morlacchi, un missionario comboniano che ha speso tutta la vita  nella sua missione della Repubblica Centrafricana. Ricordiamo i suoi racconti, la sua voglia perenne di vivere in Africa. In Italia ci veniva per dovere, per curarsi, ma poi scappava appena possibile tra “la sua gente”.

Con loro, abbiamo gettato le fondamenta della nostra vita ed è iniziata la grande avventura del Gruppo Missionario Parrocchiale di Bollate.

 Per recuperare fondi si faceva di tutto. I ricordi ci portano alle domeniche passate in giro per il paese a suonare i campanelli per raccogliere carta e stracci.  Quante scale, quanto su e giù dal camion dei  Meroni – Nafta e Carboni – con i fratelli  Franco, Anselmo e Tonino che si alternavano di domenica in domenica alla guida, oppure dal carro del trattore  guidato da Gino Carsana.  Arrivavamo a casa distrutte, ma vuoi mettere che soddisfazione quando ci veniva comunicato il ricavato della vendita del nostro lavoro! E come dimenticare i pomeriggi chiusi in quel  piccolo locale all’oratorio femminile a staccare da buste e cartoline i francobolli per poterli rivendere ai collezionisti, l’attenzione era massima, dovevano essere perfetti altrimenti si dovevano eliminare. Che responsabilità per noi ragazzine. E per ultimo, ma non meno importante, la realizzazione di ricami da vendere durante la Giornata Missionaria in ottobre: quanti mesi di lavoro ,sotto la guida preziosa della cara suor Mariangela, per essere pronti per quella data. I semi gettati in gioventù non si sono dispersi nel vento. Per  alcuni di noi sono germogliati e hanno continuato a realizzarsi anche in età matura.

Nasce nel febbraio 2012, con un gruppo di amici, la nostra associazione, “Il Seme della Speranza” con l’obiettivo palese di seminare speranza in due Paesi tra i più poveri del continente africano: Eritrea e  Etiopia.

Siamo i volontari della prima ora, quelli che non hanno mai mollato nonostante le difficoltà perché sappiamo di essere importanti per i nostri fratelli  eritrei ed etiopi. Perché vogliamo che si realizzino i progetti di istruzione, sanità, lotta alla fame e perché non vogliamo vederli morire nelle traversate della morte.

In questi 10 anni abbiamo fatto tanto, tantissimo.

Suggestivo tramonto sulle  capanne del villaggio  in Etiopia

In Eritrea, in collaborazione con il nostro vescovo cappuccino, mons. Thomas Osman ofm, ci siamo principalmente dedicati a progetti sanitari nella regione del Gash Barka, costruendo un reparto maternità, dotato di  tutte le attrezzature necessarie , e due grandi tukul di accoglienza per i pazienti in transito da villaggi lontani; sostenuto il progetto per bambini denutriti e acquistato carri trainati da asinelli ad uso ambulanza. Nelle vicinanze della clinica è sorto anche il villaggio “Fre Tesfa”, significa Seme di Speranza, con 183 tukul donati a ragazze madri e anziani indigenti.

Purtroppo, dopo il provvedimento deciso dall’esercito governativo di chiudere centri sanitari, ambulatori e scuole di ogni ordine e grado gestiti dalla chiesa cattolica, siamo stati costretti,nostro malgrado , a sospendere  l’attività di sostegno. L’auspicio è di poterla riprendere al più presto.

In Etiopia, nella regione del Wolayta, ci siamo impegnati principalmente in iniziative legate all’istruzione. In collaborazione con frate Aklilu Petros e i volontari friulani Lina e Antonio Striuli, sono nate scuole, asili, complessi igienico-sanitari , impianti idrici, oltre che  stalle per il ricovero degli animali,fonte di sostentamento per l’economia di quelle popolazioni. Molti gli aiuti che abbiamo attivato in questi  anni, sulla scorta delle richieste dei nostri missionari e rivolte al sostegno scolastico, alimentare, alla edificazione di un lebbrosario,  ad azioni di carattere sanitario e assistenziale in case famiglia.

In puro spirito umanitario, il nostro aiuto viene donato senza distinzioni di appartenenze religiose o colori.

Siamo orgogliosi di continuare sia nella semina che nel raccolto con la nostra associazione. Se volete conoscerci abbiamo un sito web e un profilo facebook sempre aggiornati.

“Il Seme della Speranza” di Bollate Oggi c’è e lavora insieme a tutti i volontari che operano nelle tradizioni dei Gruppi Missionari.

Gabriella Santambrogio e Tiziana Filippini – volontarie associazione il Seme della Speranza onlus

LA NOSTRA AFRICA

Quando, con mia moglie Tiziana, abbiamo deciso di partecipare al corso di formazione per volontari in missione, avevamo intenzione solo di saperne di più, di approfondire le nostre conoscenze in materia. E’ successo però che, dopo i primi incontri, ci si è accesa dentro una fiammella che è progressivamente aumentata fino a diventare un vero e proprio incendio: uno stimolo, una spinta sempre più forte ad andare  per vedere di persona  quanto avevamo appreso. Certo, una decisione non semplice, accompagnata da tante paure. Mi chiedevo: “ma perché vuoi andare laggiù, perché rischiare di ammalarti, con tutte le malattie che ci sono in quei luoghi?”. Non riuscivo a darmi una risposta logica, sentivo però che dovevo andare, perché là avrei trovato la mia risposta. Quando abbiamo deciso di partire, favoriti pure da una incredibile combinazione di eventi positivi che hanno reso possibile l’impossibile, ho capito che non eravamo stati noi a prendere questa decisione, era il Signore che ci aveva scelto.

Così, il 1 agosto 2011 siamo atterrati ad Addis Abeba per avviare una nuova esperienza della nostra vita, una delle più belle. Ad aspettarci frate Aklilu, il nostro referente, con cui è nato subito un bellissimo rapporto, dura tutt’ora  cementato da collaborazione, amicizia e stima reciproca.

Ad Addis Abeba siamo rimasti qualche giorno e abbiamo subito capito quanto quella realtà fosse diversa da come potessimo immaginarla. Città  caotica, molto inquinata,  povertà  visibile ovunque senza  bisogno di spingersi nei sobborghi per incontrarla. Insomma, un altro mondo. Dopo alcuni giorni siamo partiti per il sud e, appena fuori dalla grande città, abbiamo cominciato a vedere la vera Etiopia, quella della natura rigogliosa e dei villaggi di capanne. Il paesaggio è di una bellezza da togliere il fiato, ondulato, verdissimo: l’estate è la stagione delle piogge.  Al termine di un tragitto lungo ma davvero interessante, abbiamo raggiunto la città di Soddo, capoluogo della regione del Wolayta, dove c’era  la nostra destinazione finale, la missione di Konto. Gestita dai frati cappuccini, è piuttosto ampia, ben tenuta e organizzata in ogni sua parte. All’interno vi si trovano, l’Abba Pascal  Girl’s School, frequentata da 800 ragazze, una  scuola materna , gestita dalle suore, un laboratorio di arti e mestieri, la zona produttiva, il convento dei frati e la chiesa. Durante la nostra permanenza le scuole erano chiuse, ma erano comunque frequentate dalle   ragazze della squadra di calcio che si allenavano ogni giorno . Con loro abbiamo avuto l’approccio iniziale  del nostro mandato missionario. Un’esperienza, la nostra, divisa in due periodi: il primo legato alla missione di Konto, il secondo a quella di Dubbo a 35 km. di distanza.

A sinistra: Abba Pascal Girl’s School. A destra, allattamento di una neonata all’orfanotrofio di Dubbo

Il soggiorno a Dubbo è nato da una casualità. Per caso ci siamo recati in quell’ospedale, accompagnati dal frate manutentore per riparare un guasto alla pompa dell’acqua, operazione cui è seguita una visita al vicino orfanotrofio, gestito dalle suore Missionarie di Madre Cabrini. Quella visita inaspettata e  alla quale  non eravamo preparati, ci ha colpito profondamente. Non dimenticherò mai, perché è stato un momento davvero unico, quando, appena entrato, mentre ero intento a  salutare i bimbi presenti, una di loro , seduta davanti a me, si è girata e mi ha guardato con un viso sorridente ma velato di tristezza, mi ha fatto segno esplicito che voleva essere presa in braccio. Per tutta la durata della visita è rimasta accoccolata fra le mie braccia: aveva bisogno d’amore, voleva darmi il suo amore. Quella bimba ,di nome Burtukan, in quel momento mi aveva scelto come papà. Rientrati a Konto, emotivamente sconvolti dall’esperienza vissuta, mia moglie ed io ci siamo guardati negli occhi e abbiamo capito che era in quell’orfanotrofio che volevamo continuare la nostra esperienza. Grazie alla disponibilità di frate Aklilu e sister Maria Regina, la responsabile della missione di Dubbo, ogni giorno facevamo andata e ritorno i 25 km che separavano le due strutture. Un’esperienza bellissima quella vissuta con i bimbi ospiti, passavamo la giornata a giocare con i più grandi e ad accudire i neonati. Grande soddisfazione è stata per noi vedere che tutti i bambini, uno dopo l’altro e ognuno con i suoi tempi, si sono avvicinati a noi, anche i più introversi, quelli che probabilmente soffrivano di più il loro stato di abbandono. In particolare con Burtukan e Matusala, il rapporto è stato bellissimo, era come se fossero figli nostri.  E’ stato difficile staccarsi da quei bambini , distacco che si è avvertito ancor di più al nostro ritorno alla vita di tutti i giorni. I bambini di Dubbo, le ragazze di Konto, il sorriso e la disponibilità di quella gente di grande dignità nonostante le precarie condizioni di vita,  li portavamo dentro di noi, non potevamo mai dimenticarli. Cosi abbiamo deciso, con ancor più entusiasmo e passione, di ritornare l’anno successivo.

Con i bimbi dell’orfanotrofio di Dubbo

Con le ragazze della squadra di calcio dell’Abba Pascal Girl’s School

Questa duplice esperienza missionaria ci ha cambiati molto, ci ha fatto crescere! Ogni volta al rientro in Italia mi sono trovato a disagio, il nostro  modo di vivere non lo sentivo mio, i miei valori autentici li avevo  scoperti laggiù in mezzo a quella povera gente. Siccome però la mia vita è qui devo fare in modo di viverla  al meglio possibile cercando di dimostrare e mettere in pratica  che si può vivere in un mondo diverso, più sobrio e sincero: la felicità non dipende da ciò che si possiede, ma da ciò che si è.  Sulla spinta di questa travolgente vicenda umana, la nostra opera di volontariato è diventata ancora più assidua e frequente con uno sguardo attento e sempre rivolto verso quelli che prima erano “i poveri africani” e adesso sono diventati i “fratelli d’Africa”. C’è poi un motivo affettivo in più: la piccola Burtukan, che pensavamo di non vedere più ,è stata adottata in Italia: abita a pochi chilometri da casa nostra . Per la nostra felicità, potremo continuare a vederla e seguirla nella sua crescita. Tu chiamalo, se vuoi, un segno del destino.

Enrico Rosti

Quando Bollate buttò il cuore oltreoceano

Si pensa che il comune sia sinonimo di regolamenti, delibere, determine, insomma di scartoffie che chiamiamo, con un velato spregio,  burocrazia . Per certi versi è vero,  il modo per decidere qualcosa e darne corso non può sottrarsi a queste procedure: “dura lex sed lex”, dicevano i latini,  ci piaccia o meno. Dentro  questo mondo asettico e polveroso si possono  però scovare inattesi e sorprendenti slanci di solidarietà che portano addirittura oltreoceano: apparentemente non danno consenso sotto forma di voti, ma  sono caratterizzati dalla semplice volontà di garantire un aiuto fattivo  la dove ce n’è particolarmente bisogno. Piccoli gesti ma di grande valore. Lo testimoniano due esempi  vissuti nel mio mandato da pubblico amministratore.

ASILO CITTA’ DI BOLLATE. Chi l’avrebbe mai detto che in Perù, in una  sperduta località dal nome di incerta pronuncia Peralvillo,  ci sia un asilo che porta il nome della nostra città. Era il 2000 , avevamo un avanzo di amministrazione che doveva essere impegnato se non volevamo che lo  stato centrale lo inglobasse.  Scopriamo che potevamo destinarlo, utilizzando la Legge 68/93 che da la possibilità di sostenere progetti di solidarietà internazionale, e prepariamo tutto l’incartamento per sostenere un’opera filantropica.  Rapido giro fra i gruppi missionari del territorio e  Assopromi -onlus, storica associazione bollatese, per la precisione ospiatese, che opera da più di 22 anni coinvolgendo decine di volontari nostri concittadini (nel negozio di via Garibaldi sono esposte e illustrate tutte le sue attività caritative), ci propone di finanziare una scuola dell’Infanzia in Peru’. In quella sperduta località presta la sua opera suor Paola Costanzi (scomparsa nel 2006), ospiatese d’ adozione : è stata maestra e animatrice dell’asilo parrocchiale di Ospiate per più di 25 anni. La giunta approva il progetto di finanziamento e suggerisce anche il nome per la nuova scuola: CITTA’ di BOLLATE. L’operazione va in porto ,i fondi stanziati, circa 35 mila euro, giungono a destinazione e parte il cantiere che si conclude un anno dopo. I bollatesi magari se lo saranno dimenticato ma son sicuro che il richiamarne il ricordo rappresenti un motivo di  Aver contribuito in maniera determinante alla edificazione di un’opera preziosa per scolarizzare chi è in difficoltà (si è cominciato con 80 alunni, adesso sono 500) , per una comunità locale come la nostra è proprio un bellissimo esempio di cooperazione internazionale che rimane nel tempo.

UN POZZO D’ACQUA IN TANZANIA. Annata 2002/2003: l’allora assessore all’ambiente Pietro Prisciandaro,  porta in giunta una proposta finalizzata a sostenere e finanziare un pozzo per l’acqua potabile sull’ isola di Pemba in Tanzania. E’ una iniziativa della Fondazione Ivo De Carneri ,sodalizio che ha come scopo la cura delle malattie infettive.

I fondi erano disponibili,  il progetto era valido , oltretutto ci era  stato sensibilizzato e proposto da una scuola media del territorio,  bisognava solo decidere e deliberare. La responsabile  del progetto,  Marina Radice, curò la parte burocratica e documentale e alla fine dell’iter si tagliò il traguardo. Ricordo ancora la riunione di giunta nella quale venne invitata la scolaresca che si era mobilitata affinché l’iniziativa giungesse in porto. Furono  consegnati  gli atti amministrativi  alla Fondazione De Carneri, che avrebbe curato la realizzazione del pozzo. I ragazzi erano emozionati e allo stesso tempo  fieri di aver contribuito con il loro  impegno a togliere la sete a tanti loro coetanei . Pur non conoscendoli,  se non attraverso i loro racconti , erano consapevoli di aver compiuto un atto di generoso altruismo. Un paio d’anni dopo,il ministro alla Salute della Tanzania, a Milano  per un congresso all’ospedale Sacco, volle venire in Comune a ringraziarci di persona. Due azioni di concreta solidarietà , sviluppate dalla comunità bollatese, significative di un modo di pensare, di agire, di amministrare. E oggi , seppur a distanza  di anni, il solo ricordo rallegra  ancora il cuore.

Giovanni Nizzola – Sindaco di Bollate dal  1995 al 2004

I PIONIERI

Gruppo di giovani bollatesi  partecipano ad una delle prime iniziative di raccolta della carta per raccogliere fondi per le missioni. Anni 70

Viaggio in Cina: diario di bordo

Nel settembre 1936, Maria Mariani, nata a Bollate nel 1911 nella centralissima via Roma, allora denominata via Romani, tre anni dopo essere stata ordinata suora della congregazione delle madri canossiane, si è imbarcata dal porto di Genova sul bastimento Conte Rosso per una traversata che l’ha condotta , passando dal canale di Suez, prima a Bombay in India dove, causa una sosta forzata per un guasto, ha avuto modo di conoscere e osservare usanze, costumi , religioni di quelle popolazioni. Ripresa la navigazione, transitando da Singapore,l’approdo a Hong Kong, destinazione finale della sua meta: insegnante in una scuola all’interno della missione nella Repubblica Cinese .Qualche anno più tardi si è trasferita a Kowlon e quindi a Macao. Successivamente si è spostata in Giappone e negli ultimi anni del suo apostolato missionario in Inghilterra. E’ scomparsa il 3 settembre del 1980 a Vimercate. Pubblichiamo il suo diario di bordo nel quale racconta, attraverso le lettere inviate di tappa in tappa ai familiari , sentimenti , sensazioni, esperienze vissute nel lungo e travagliato viaggio, con dettagliate descrizioni che rappresentano un autentico spaccato delle relazioni sociali dell’epoca.  (per gentile concessione di Alberto Macchi).

Il diario "Carissimi Genitori"

Cliccando qui sotto potete scaricare il diario integrale di Maria Mariani

Via Magenta si incontra a New York

Carlo Farina, nato in via Magenta nel 1912, dopo il periodo di aspirantato presso i Salesiani ad Ivrea, a soli 22 anni viene mandato negli Stati Uniti per proseguire gli studi di novizio. Un viaggio compiuto a bordo del celeberrimo transatlantico Rex : approdo a New York per raggiungere poi la destinazione finale a Newton. Nella grande mela  l’incontro che non ti aspetti e che ti fa respirare aria di casa. Durante il pranzo ,in una parrocchia  gestita da confratelli, si citano gli amaretti di Saronno e gli viene chiesto se li avesse mai mangiati. Carlo risponde in modo  affermativo e di rincalzo vogliono sapere  la sua provenienza . “Sono di un sobborgo di Milano,di Bollate”, replica. Immediatamente, uno dei suoi interlocutori, un salesiano di lungo corso, gli allunga la mano aggiungendo: “siamo patrioti. Io sono bollatese di nascita, sono stato battezzato ancora nella chiesa vecchia, ho ricevuto la comunione e la cresima, ho vissuto li fino a 14 anni. Stavo in via Magenta ,vicino al fium, i miei avevano un negozio dove vendevano un po’ di tutto, vino , stoffe, e altre cose, ora in quel negozio deve esserci un ferramenta”.  E’ l’avvio di un dialogo all’insegna della familiarità reciproca.  “Ma tu come ti chiami?”, “Farina”, ha risposto il futuro don Carlo e questi , “Ah! si  i Farina staven pusè in giò visin a la gesa”. Il colloquio, confidenziale e in perfetto dialetto milanese,  è proseguito a lungo, soffermandosi su diversi aspetti legati alle comuni radici bollatesi. “ Si chiama Barigozzi o Besozzi, non ricordo bene”,  scriverà successivamente don Carlo nel suo diario, sottolineando però la soddisfazione di aver trovato un compaesano, oltretutto nativo nella stessa via al Coo de sott, ”il fatto significativo è che è bollatese e salesiano e americano  come me”. Un simpatico ed inatteso incontro che don Farina ha portato con sé e che ha reso il suo viaggio verso Newton decisamente più piacevole e rincuorante.

A sinistra, Carlo Farina (classe 1912) in piazza della  chiesa di Bollate nel 1932. Dopo aver trascorso alcuni anni presso il collegio dei Salesiani ad Ivrea, a soli 22 anni fu mandato in America per completare gli studi di novizio. Compì la traversata  a bordo del famoso transatlantico Rex. A destra, don Carlo Farina in California nel 1952

Il diario "Newton"

Scarica un estratto e le pagine originali del diario di don Carlo Farina in cui parla dell’incontro con un altro bollatese

Foto gentilmente concesse dal Gruppo Missionario e dal Seme della Speranza onlus

Ha sempre coltivato diverse passioni. La musica nei suoi aspetti più vari, la fotografia, la storia locale e lo  sport sono sempre stati al centro dei suoi interessi. Una costante curiosità per tutto ciò che lo circonda lo ha portato a conoscere molti jazzisti italiani e americani o a scoprire aspetti dimenticati di quanto avvenuto in passato nella sua città. Ha collaborato alla realizzazione delle pubblicazioni Bollate 100 anni di immagini (1978), Una storia su due ruote (1989), Il Santuario della Fametta (2010), La Fabbrica dimenticata (2010), Il soggiorno a Bollate di Ada Negri (2014). Ha curato anche diverse mostre fotografiche, fra le quali La prima guerra mondiale nella memoria dei Bollatese (2015), La Fabbrica dimenticata (2010), I 40 anni di Radio ABC (1977). È tra i fondatori dell’Associazione Bollate Jazz Meeting (1994) di cui è segretario.
Giordano Minora