Da un’osteria all’altra vagavano tre o più alcolisti da vino, che più degli altri trovavano nel bottiglione ed altri intrugli alcolici rimedio alla fatica ed alla vita grama; alla disgrazia di un raccolto andato a ramengo o la malattia di una bestia o altro: ne avevano di motivi allora per uscire di testa!
C’era anche una latteria, aperta negli anni Cinquanta, quando le stalle si erano tutte svuotate e per i nuovi immigrati delle coree ce ne voleva di latte!..
C’era un barbiere, l’Ismaele, col suo botteghino profumato di dopobarba e vapori di colonia, la specchiera qua e là bollata, due regolamentari poltrone metalliche di seconda mano ed un garzone.
C’era un prestinaio, appena finita la guerra, col suo grande forno maiolicato e lo scaffale di legno con gli scomparti per i diversi tipi di pane. Alla mattina il profumo del pane sfornato di fresco lottava contro l’odore dello stallatico. Ne aprirono un altro, di panificio, gli Altobello, sulla via Pellico, per servire i tanti immigrati che stavano insediandosi nella corea di via Monfalcone, Marmolada, Zara: che mai nessun del posto ha chiamato “Villaggio delle Rose”, come avrebbe voluto qualche illuminato geometra del comune.
C’era il botteghino, all’angolo di quella che poi fu denominata via monte. Nevoso, probabilmente la strada più corta di tutta Bollate, del “pretore”, giornalaio-cartolaio. Non si ha idea di quanti quotidiani potesse vendere, oltre le Gazzette dello Sport per i barbieri, (perchè subito dopo la seconda guerra il Meli, un siciliano appena arrivato, in società con l’Enrico Ressegotti, aveva aperto un “salone” in piazza della chiesa), e qualche altro giornale; anche lui però fra quaderni, matite, pastelli, penne e altra cancelleria, manteneva la famiglia. Sempre in quel periodo c’erano due parrucchiere da donna:la Cloe e la Merati. Esercitavano in casa, come le sarte, nel tinello, dove a modo loro avevano allestito una specie di saloncino con lavandino, specchiera, casco e quanto necessitava per la messa in piega.
C’era la merceria della signora Eva: una botteghina con tre scaffaletti su cui erano allineate le scatolette dei fili da cucire, dei bottoni, cerniere, nastri e tutti gli annessi e connessi. Nella vetrina affacciata sulla via Battisti esponeva a rotazione uno scialle, due guanti, una confezione di calze “Omsa”, un velo di pizzo, un corsetto, dei fazzoletti ricamati.
Sembrerà strano ma c’era anche un ortolano, anzi due: un fruttivendolo, il Verga, che per far quadrare i conti faceva anche l’ambulante, girando col carretto trainato da una cavallina per i paesi limitrofi; ed il “Zeiss”, il suo soprannome, che teneva bottega sotto il portico della cûrt dei Diotti, diventato col tempo fornitore ufficiale di asparagi ed altri prodotti tipici locali ai cittadini, milanesi o novatesi che fossero. Se molti avevano un pezzo d’orto per l’insalata, quattro pomodori, tre zucchine, cipolle e altra verdura di consumo abituale, pochi contadini avevano la frutta. in campagna, vicino al “cassinòtt”, da tradizione tenevano una pianta di ciliege, di “mugnaghe”, di “persici”, di fichi, col bersò di uva americana. Rare volte avevano la soddisfazione di un buon raccolto. Un’annata la grandine, l’altra il gelo tardivo, o gli storni, un insetto gramo arrivato da chissà dove, a cui si ” giuntava” qualche ladruncolo: ciao ciliege, ciao persiche, ciao mugnaghe (leggi albicocche). D’estate il Verga, più precisamente sua moglie, la Genia, vendeva angurie a tutto spiano, intere o a fette. E d’inverno la frutta secca e le castagne arrosto. Quando poi fu il momento ci aggiunse il gelato. E campava tutta la famiglia, così come le famiglie di tutti i bottegai.
Non c’era il cinema. Andavano, chi aveva qualche soldo da buttare, a Bollate, al “Garibaldi” o all’oratorio; al “Corso” di Novate; qualcuno più audace a Milano, al “Duse”, che era lì alla Bovisa, appena fuori dalla stazione.
Il cinema a Cascina del Sole lo portò il don Ernesto: una macchinetta 16 mm. o giù di lì, di seconda o terza mano nel saloncino dell’appena inaugurato asilo Gesù Bambino. Proiettava film castigati di quarta visione, Tarzan, l’assedio di Fort Apache, Marcellino pane e vino, santa Maria Goretti, Stanlio ed Ollio. Proiezioni domenicali riservate ai ragazzi dell’oratorio al pomeriggio; alle non numerose famiglie di provata fede al sabato sera.
Ma ormai era tardi per le novità del don Ernesto, perchè la fine della Cascina del Sole era ormai evidente, stava cambiando generalità in tutti i sensi. Disperse le numerose famiglie che vi erano nate e vissute, deserte le stalle ed i campi, in rovina prima e poi abbattute le vecchie corti per far posto agli avveniristici(?) insediamenti urbani, abitati da nuove famiglie di provenienze diverse.
E chi si ricordava più di quel che era stato?
Ciau Cassina del Sü.
EUGENIO GHIONI e GIUSEPPE TIENGO
Gli “smemorati” di Cascina del Sole