“Bollate con Madonna del Bosco”, cosi si trova Bollate nell’elenco dei comuni del catasto teresiano, edito nel 1722, che censiva i terreni e gli edifici del Lombardo-Veneto Austriaco.
Questa località, associata al nostro comune, ora non dice assolutamente nulla né come luogo né tantomeno come bosco. Una domanda allora sorge spontanea: dove si trovava, quali caratteristiche urbanistiche aveva, che storie poteva racchiudere e come mai sia il Paese che il Bosco sono entrambi scomparsi?
Contrariamente a quanto possiamo immaginare non si trovavano nella zona a nord di Bollate, ossia nelle Groane, dove la presenza di zone boschive si è mantenuta bene o male sino ai nostri giorni, ma sorprendentemente la localizziamo fra Ospiate e Baranzate.
Qui, sulle rive del torrente Nirone, agli inizi dell’era cristiana nel VI secolo era sorto un monastero in una zona all’epoca completamente disabitata. L’attuale statale Varesina non era ancora nella sede attuale, era sostituita da una precedente strada romana che passava più ad est inserendosi in quella che oggi è la via Don Uboldi proveniente da Baranzate. Poco prima di Bollate, dove oggi è presente la casa di riposo San Martino, deviava verso Ospiate dove, in via Madonnina, sorgeva un altro vecchio edificio di culto, la chiesa di Sant’Ambrogio in Strada. A ricordarci oggi la sua presenza è rimasta solo l’abside, l’attuale edicola votiva della Madonna Addolorata.
Dopo questa digressione geografica, necessaria per spiegare l’assoluta amenità della zona scelta per edificare il monastero, ci concentriamo sul bosco che dava il nome e che per secoli intreccerà il suo destino.
Il convento apparteneva all’ordine Agostiniano e come da antica consuetudine era legato al lascito di vaste proprietà terriere per garantirne il sostentamento. Appezzamenti del bosco facevano quindi parte di queste proprietà. Anche altri enti religiosi erano proprietari di queste porzioni di vegetazione, in primis i Certosini della limitrofa Certosa di Garegnano, sorta al confine sud del bosco nel 1400. Si era in presenza perciò di una vasta area verde, residuo delle antiche foreste che dalle prealpi arrivavano sino alle porte di Milano e che via via negli anni erano state disboscate per trasformarsi in terreni coltivati.
Il nostro bosco, denominato “della Merlata” (oggi il nome purtroppo ricorda luoghi ben diversi, uno per tutti il recente mega centro commerciale), si è potuto mantenere per cosi tanti anni grazie a diversi fattori concomitanti. Anzitutto la vastità di questi terreni di proprietà (appartenendo per la maggior parte ad enti ecclesiali) portava ad una pluralità di attività di sfruttamento del suolo e fra queste rientrava anche il bosco, non certo meno remunerativo di altre funzioni grazie proprio alla disponibilità di superficie. Così, il taglio e la commercializzazione di grossi alberi, indispensabili per essere utilizzati come materiale di carpenteria nelle costruzioni, erano una buona fonte di introiti. A favore del mantenimento del bosco giocava pure il fattore morfologico: sorgeva in una porzione di territorio di matrice argillosa e ciò lo rendeva poco adatto all’agricoltura. Ad avvalorare questo aspetto troviamo un altro nome dato al bosco: in una mappa del 1600 è chiamato “GRUANA BOSCHO”, appunto per l’analogia con il terreno di natura argillosa del tutto simile a quello delle odierne Groane, le quali poi non erano altro che la sua naturale espansione a nord. A testimoniarlo le numerose fornaci che nel tempo erano sorte ai suoi margini.
Il bosco della Merlata si estendeva fra due strade: il Sempione ad ovest e la Varesina ad est e nella vasta area fra queste due arterie non si trovavano centri abitati di rilievo, esisteva solo la Cascina Triulza (tornata d’attualità con Expo 2015), situata in una radura e anch’essa di proprietà dei Certosini di Garegnano. La Triulza rappresentava un luogo di riferimento di questa foresta. Una simile area naturale e selvaggia era un buon approdo per poter esercitare la caccia, passatempo amato dall’aristocrazia dell’epoca. Inoltre, la sua collocazione era ottimale in quanto ubicata a poca distanza dal Castello Sforzesco, dimora Ducale, e sopratutto era un grande parco recintato, detto Barcho.