C’ERA UNA VOLTA LA BOSTON

Sinonimo di qualità in tutti i sensi.

La Boston a Bollate era quello che si dice un’eccellenza industriale: sia per i suoi marchi, il mitico Bostik, “dalla presa immediata ed elastica”, il celebrato appretto Volastir , “il magico soffio che mette a nuovo i tessuti”,  i  nastri adesivi e sigillanti “Tex” e “Cell”, dagli svariati colori e le diverse  dimensioni. Sia soprattutto perché dava lavoro a centinaia di persone nello stabilimento di via IV novembre, in prevalenza manodopera femminile: la vulgata del tempo sosteneva che il gentil sesso fosse più indicato per quel tipo di mansione.

La fabbrica era altresì diventata, nel bene e nel male, un riferimento per il quartiere a cavallo della stazione ferroviaria, vuoi per il suono delle sirene dei cambi turno che scandivano gli orari della giornata, vuoi perché nelle ore notturne emanava spesso fumi e olezzi non certo piacevoli che provocarono pesanti conseguenze sulla salute pubblica.

 Classico esempio di genio e impresa, nasce agli inizi del 1900 per produrre  collanti e tingenti per il cuoio e grazie all’intuito del suo fondatore, che ha compreso le potenzialità della lavorazione e la possibilità di applicarla ad altri comparti merceologici, all’albore del boom economico è trasformata nelle Industrie Chimiche Boston Spa, facendosi apprezzare sul mercato nazionale e internazionale per la affidabilità dei suoi prodotti. Con la diffusione del consumismo poi, il settore imballaggi e confezionamento viene ad assumere un ruolo di preminenza ed ecco che la consociata Boston Nastri diventa leader con il Boston Tape Mystik.

Un adesivo pronto all’impiego e resistente a tempo indefinito, articolo che suscitò immediatamente curiosa attenzione per le sue caratteristiche di attendibilità e peculiarità applicative. Basta leggere questa meravigliata cronaca dell’epoca: “ci sono strane macchine che spalmano collanti e vernici su strisce che continuano a svolgersi lungo itinerari calcolati con precisione estrema. Scorrono, scorrono e diventano rutilanti teorie parallele in un perpetuo andare e venire, scendere e salire, fino ad immergersi negli oscuri e cocenti cunicoli dei forni e ritornare alla luce avvolgendosi in bobine di diametro fantastico. E solo dopo ti accorgi, ma molto dopo, che non si tratta di far l’arcobaleno, ma quel gran muoversi non è altro che una fase di lavorazione dei nastri adesivi”. Lo stupore giornalistico di fronte ad un sorprendente ed innovativo processo lavorativo per realizzare un prodotto che può essere  indifferentemente utilizzato per le attività all’ingrosso e per quelle al dettaglio di uso quotidiano. Un gioiellino industriale, la Boston, che fa gola a tanti e scatena diversi appetiti.

Visione generale dello stabilimento – Anni Settanta

Pubblicità apparsa sui settimanali: mistic fer nastroadesivo Mistik Tex (anni 60) – Volastir Volastir (anni 60) – Annuncio pubblicitario – 1978. Archivio Giordano Minora

Negli anni Ottanta il passaggio di mano alla Enimont,  società nata dall’alleanza tra chimica pubblica (Eni ) e privata (Montedison), un’ alleanza che  però non regge a causa di una serie di vicissitudini all’interno di questo azionariato misto e nel quale primeggia “il contadino” Raul Gardini.  Così, nel 1989, l’azienda viene ceduta,  con un ambiguo prezzo di favore, alla Max Fin- gruppo Max Meyer – del finanziere rampante Gianni Varasi. E’ l’inizio della fine. Comincia una travagliata stagione di ristrutturazioni che investe dipendenti e impianti, un calvario tra incertezze occupazionali, con tanto di scioperi, presidi sindacali e manifestazioni pubbliche e voci controverse sul futuro, accompagnate da interrogazioni parlamentari per chiedere interventi governativi per fare chiarezza sulle reali intenzioni della proprietà’, non certo trasparenti. Nel frattempo è esplosa l’inchiesta Mani Pulite (ricordate Enimont e la madre di tutte le tangenti) e irrompono le cronache giudiziarie con le vicende di tangentopoli. A confermare i sospetti di giochi torbidi intorno alla Boston, nel 1993 Varasi cede marchi e brevetti alla tedesca Henkel. Questa trasferisce la produzione in Germania, chiude il sito bollatese e lascia sul lastrico 400 lavoratori.

Preparativi di  una trasferta a Milano per manifestare davanti alle sede della nuova proprietà dell’azienda. Foto © Stefano Rossi

Trasferta a Milano per manifestare davanti alle sede della nuova proprietà dell’azienda.  Foto © Stefano Rossi

Manifestazione sindacale  per sensibilizzare la popolazione al mercato di Bollate.  Foto © Stefano Rossi

Assemblea pubblica in difesa occupazione della Boston , in primo piano il sindaco Alberto Malinghero e il parroco don Franco Fusetti – Anni Ottanta –  Foto © Stefano Rossi

Si mette fine ad una storica realtà imprenditoriale con il chiaro intento di dare spazio, sulle migliaia di metri quadrati dell’area dismessa, ad una imponente operazione di speculazione edilizia. Proprio per scongiurare tale eventualità ed evitare la remunerativa colata di cemento,  gli artigiani  decisero di fare  l’impresa.

Paolo Nizzola

Proprio per scongiurare tale eventualità ed evitare la remunerativa colata di cemento,  gli artigiani  decisero di fare  l’impresa.

Gli artigiani che fecero l’impresa

Cantava un grande Jannacci ‘…quel che sun drè  cuntà, l’è una storia vera…”

Alla fine degli anni Settanta si appalesava sempre di più la crisi della grande azienda. Le attività dismesse venivano perciò affidate a artigiani e piccole imprese.

In questa disparità di forze in gioco presero importanza i Sindacati di Impresa. Nella nostra zona erano  protagoniste l’Unione Artigiani e, in maniera crescente, la CNA (Confederazione Nazionale Artigiani e piccola media Impresa) , che di matrice emiliana si era diffusa livello nazionale e si stava giocando la carta Milano.

Il legame con la politica era evidente: a guida PCI la CNA, più orientata verso il mondo cattolico l’Unione, Artigiani, anche se la guida disincantata del saggio e concreto Gabriele Lanfredini non disdegnava riferirsi al mondo del centro sinistra, specie al  PSI di Craxi.

Già nel 1982, con la complicità del mio grande amico Angelo Marazzi , fui coinvolto nel riuso produttivo della ex Leon Beaux di via Aquileja a Baranzate. Nel frattempo, il presidente della locale Unione Artigiani Martino Cimbro stava realizzando l’insediamento di via Fornace Mariani a Ospiate.

Ognuno impegnato nella propria avventura, approfondimmo la nostra conoscenza attraverso i reciproci incontri in Comune dove pareva che si inventassero di tutto per complicarci la vita. Ridendo lo chiamavamo UCCS (Uffico Complicazioni Cose Semplici). Spesso Martino mi diceva: lavoriamo per la stessa causa, dai che il prossimo insediamento lo facciamo insieme? Ultimati i rispettivi compiti  ci perdemmo di vista.

Approdai all’esperienza amministrativa come assessore all’urbanistica e, facendo tesoro di quella avventura,  in un’area a Cascina del Sole avviai un PIP (Piano di Insediamenti Produttivi) per 50.000 mq. L’iter urbanistico fu portato a termine, vennero aperte le richieste di domande. Ne arrivarono per 90.000mq. Poi la rinnovata giunta municipale se ne dimenticò e la stessa area venti anni dopo è ancora una incompiuta.  Attualmente è  destinata a centro commerciale., ma solo sulla carta.

 Concluso il mandato amministrativo tornai in CNA ad occuparmi di politica industriale nell’area milanese

Nel 1995 inaugurammo la sede a Bollate, con il supporto di Gigi Quinterio , Sandro Fedeli, e del mio braccio destro Alessandro Tosti ,raggiungendo oltre 400 imprese associate.

Vendevamo servizi alle imprese esattamente come l’Unione. La competizione cominciava a farsi  dura.

Ci salvò dall’acerrimo dualismo la Confraternita del Salame. Forse è cosa poco nota che i vecchi bollatesi fanno (facevano) i salami, e che i salami devono stagionare in luogo a umidità controllata. Tale luogo esiste (esisteva) nella Cascina delle Monache, ogni giorno un addetto entrava, valutava l’umidità e se la giudicava troppo secca spruzzava il pavimento in terra battuta con acqua per favorirne la pastosità. I soci ,  anche non produttori ,hanno (avevano diritto) a fruire dei salami.

Cercai invano di entrare nella Confraternita, ma mi dissero che si poteva far domanda solo se si liberava un posto: cosa che accadeva unicamente con il decesso di un socio.

Mia moglie è bollatese doc (nata nel Cantun Sciatin), e il Cimbro  ogni tanto capitava a casa con un sacchetto con salame e mortadelle di fegato dicendo: Piera sono per te, piacevano tanto al tuo zio Carlo (celebre bombardino della locale banda santa Cecilia). E così ripresero le frequentazioni.

Un giorno, grazie ai buoni auspici del suo vicepresidente Alfredo Mariani, mi disse: dam a trà la Boston è in vendita, se fem… Si trattava di migliaia di metri quadrati in zona centrale di Bollate. Dissi,  la compriamo. Martino ribatté e i dané ?   Comincio la folle impresa.

Incontrammo due azzimati agenti immobiliari, uno piccolo e simpatico; l’atro sempre in trench tipo detective, simpatico come l’orticaria.

Avevamo stimato un costo sufficiente a dare un ottimo prodotto a un prezzo competitivo: la nostra operazione non era speculativa. La loro richiesta era al doppio.

L’azzimato quando veniva da noi si toglieva il trench, poi offeso dalla nostra proposta se lo rimetteva e andava. In occasione dell’ultima  trattativa gelido gli dissi ‘faccia quello che vuole, ma guardi che se esce non rientra più’”, si tolse il trench e si risedette. Chiudemmo al nostro prezzo.

Restavano, anzi mancavano i soldi. Di grande aiuto fu la  BNL che ci fece credito senza porre ipoteca agli immobili, a differenza delle banche locali che interpellate si defilarono.

Ora occorreva trovare gli utenti e l’Unione in ciò fu formidabile. Di grande aiuto furono anche un giovane Marco Gorno, un neo avvocato Donato Lobianco e l’architetto Paolo Gaiotto che divennero il motore dell’operazione.

Anche l’acquisto non fu semplice, la Boston che aveva ceduto i marchi a una multinazionale, era in procedura fallimentare.

Curatore il dott. Parisi, un nobile di Taormina con studio in via Senato: alle pareti quadri di Picasso con dedica. Ci prese a benvolere, forse capendo che dopo di noi tutto sarebbe stato abbandonato (Ceruti docet). E resistette bene a pressioni endogene ed esogene che premevano invece per una trasformazione in senso residenziale.

Ma le complicazioni non erano finite. Uno dei proprietari della società in fallimento fu beccato alla frontiera di Chiasso con circa 400 miliardi di titoli e assegni. Dichiarò che il default del suo gruppo era dovuto alla sottovalutazione del patrimonio immobiliare.

La sera decisiva, quella della sottoscrizione preliminare di acquisto, quando notammo che lo stesso era costituito da una premessa e 36 articoli, ebbi una reazione poco educata. L’avvocato Mariotti , che ci seguiva in questa a delicata fase, mi diede – non visto- un calcio nello stinco per tacitarmi.  Il dottor Parisi ,con la sua dolce cadenza siciliana , mi disse ‘…ingegnere dobbiamo parlarci a quattrocchi…’. La riunione fu così aggiornata.

Con Parisi e Martino Cimbro, ci vedemmo in forma riservata e Parisi sottolineò  ridendo, qui di occhi ce ne sono troppi. La vicenda del fermo di Chiasso aveva complicato le cose, e lui da liquidatore aveva voluto cautelare gli acquirenti.  Chiariti gli aspetti controversi, perfezionammo l’acquisto e l’impresa incominciò.

Qualche tempo dopo, come consorzio di imprese artigiane, organizzammo un convegno sul recupero industriale del sito nei locali della ex  Boston e al tavolo con noi c’erano gli esponenti della BNL., che avevano creduto e finanziato l’impresa, e il parroco di allora don Franco Fusetti

Durante il rinfresco don Franco ci  disse ma perché l’avete chiamata REPROBO

Risposi, semplice:

REcupero PROduttivo BOston

Sorrise, era un uomo intelligente, aveva capito che il nome era dedicato a tutti quelli che a Bollate e fuori non lo volevano.

E così decollò il comparto. Venne stabilito che le imprese assegnatarie, che ne avessero avuto le competenze, partecipassero alle attività di costruzione: nacque a tal proposito SINAPSI, nome mutuato dalla rete neuronica.  Si trattava di un ‘esperienza unica in Italia, finalizzata all’interesse dei partecipanti alla costruzione della casa – lavoro.

Considerato il valore di questa travagliata ma bella storia di artigiani, mi piacerebbe che il sito venisse oggi ribattezzato:

Insediamento Produttivo Martino Cimbro

Antonio Pastore

Martino Cimbro al lavoro sua officina (1978) . Foto © Giordano Minora

LA EX BOSTON OGGI

Il condominio ARCO, denominazione di RE.PRO.BO. ,include oggi 108 aziende di merceologie diverse: farmaceutica, meccanica, legno e arredo, auto e moto, immobiliare, ristorazione, servizi di terziario e alla persona , attività commerciali, liberi professionisti, occupando ben 466 addetti.

Paolo Nizzola, una vita a maneggiare notizie tra giornali , radio e tv,  tanto da farne un libro autobiografico “ Ho fatto solo il giornalista”.

Milanista da sempre, (ritiene che la sua più bella intervista l’abbia realizzata con Gianni Rivera), appassionato di ciclismo, (è coautore del libro “una storia su due ruote”), amante della musica jazz (è presidente dell’Associazione Bollate Jazz Meeting) .Gaudente a tavola, soprattutto  in buona compagnia.
Insomma, gran curioso di storie, di umani e di situazioni.

Paolo Nizzola

Ingegnere per caso, giornalista mancato, scrittore che non ha ancora deciso cosa scrivere. Una vita di scorribande, a far sempre cose nuove, una diversa dall’altra. Insegnante, assaltatore/postino, ricercatore CNR, ingegnere in società multinazionali, imprenditore, politico di terza classe, socialista da sempre e per sempre. Amore per il teatro, negli ultimi anni enfatizzato dalla fortunata frequentazione con Luca Ronconi ai tempi del Piccolo Teatro di Milano. Appassionato di musica classica sostiene che: ‘dopo Mozart è stato inutile scrivere musica’. Calcisticamente agnostico, ferrarista da sempre. Vanesio, si ritiene un eccellente chef. Amante di vini rossi e bollicine per accompagnare cibi. Sempre alla ricerca di persone nuove con le quali parlare, confrontarsi, discutere, litigare, bere e gustare cose golose.

Antonio Carlo Giuseppe Pastore

Ha sempre coltivato diverse passioni. La musica nei suoi aspetti più vari ,la fotografia, la storia locale e lo  sport   sono sempre stati al centro dei suoi interessi. .Una costante curiosità per tutto ciò che lo circonda lo ha portato a conoscere molti jazzisti italiani e americani o a scoprire aspetti dimenticati di quanto avvenuto in passato nella sua città. Ha collaborato alla realizzazione delle pubblicazioni  Bollate 100 anni di immagini (1978) , Una storia su due ruote (1989) Il Santuario della Fametta (2010) La Fabbrica dimenticata (2010) Il soggiorno a Bollate di Ada Negri (2014) . Ha curato anche diverse mostre fotografiche fra le quali La prima guerra mondiale nella memoria dei Bollatese (2015) La Fabbrica dimenticata (2010) I 40 anni di Radio ABC (1977). E’ tra i fondatori dell’Associazione Bollate Jazz Meeting (1994) di cui è segretario.

Giordano Minora