La politica urbanistica precedente, guidata dai comunisti, favorì l’edilizia pubblica, poi realizzata dai grandi consorzi emiliani; i risultati sono visibili in via Verdi, via Turati e Cascina del Sole. Nel frattempo, era stato adottato il nuovo PRG, redatto dall’architetto Paolo Ferrante che, per verificare e garantire il piano stesso, fu eletto nelle liste del PCI.
La DC aveva chiesto e ottenuto, nel programma amministrativo, come punti salienti ed irrinunciabili, il recupero del Cantun Sciatin, con il nuovo Municipio e la Biblioteca, il Parco Centrale, con intorno un importante intervento di residenza privata ed edilizia privata convenzionata, e la Casa di riposo. Tutti progetti in capo alle mie deleghe, un carico di lavoro impressionante, considerato che gli uffici erano già al collasso con l’ordinario.
Il PRG (Piano Regolatore Generale) non era ancora vigente, il PPA (Programma Poliennale di Attuazione), relativo alla programmazione degli interventi pubblici e privati, tutto da fare. Dopo qualche ruvido approccio con la struttura, grazie al sostegno del sindaco Aquino, arruolai dal Politecnico un team di giovani tecnici esterni guidato dall’architetto Marcello Decarli. Di grande aiuto furono anche il compianto segretario generale, dottor Antonio Bianco, l’ingegner Cosimo D’Angelo, giovane capo dell’ufficio tecnico, il mio collega assessore ai lavori pubblici, l’architetto Cesare Buttè.
Bisognava approvare il PRG fermo in regione. Successe che la Pirelli aveva dato corso alla rigenerazione delle aree di Milano Bicocca e decise di trasferirsi a Cassina Nuova in una fabbrica dismessa di materassi. E così il problema si risolse da solo. Fatto ciò si apri la vicenda del Cantun Sciatin. Già dal primo incontro, il commendator Eugenio Radice Fossati mi prese a ben volere perché ero ingegnere come lui, dando l’avvio ad un rapporto di cordialità che si consolidò tre anni dopo con l’acquisto di villa Arconati e del borgo di Castellazzo, mettendo fine ad un orrendo tentativo di speculazione edilizia, orchestrato da palazzinari romani, sui 2,5 milioni di mq di territorio. Al di là della cordialità, occorreva però decidere le regole di ingaggio, a vantaggio del Comune: area e parcheggi interrati e il palazzo Secco Borella ristrutturato ad uso biblioteca. La volumetria concessa dal piano regolatore era molta e il mercato immobiliare volava. Sul portico che si affacciava sul cortile del seicentesco edificio, la proprietà chiese ed ottenne di recuperare la volumetria, mentre il nodo parcheggi sotterranei avviò un duro braccio di ferro; sei mesi di trattativa, perché per l’amministrazione comunale, erano irrinunciabili. Nel 1987 partirono le demolizioni, con un immediato stop, ancora di sei mesi, perché lo storico rhodense Piero Airaghi, sovrintendente onorario delle Belle Arti, sosteneva che su quel terreno, prima vi sorgesse un castello, distrutto dai milanesi nel 1176 e bisognasse cercarne le tracce. (Unico reperto rinvenuto dalle ricerche fu un semplice falcetto!!!).