CANTUN SCIATIN

Tra modernità e nostalgia

“Com’è bella la città, com’è grande la città, com’è viva la città, com’è allegra la città, piena di strade e di negozi… coi grattacieli sempre più alti e tante macchine sempre di più…”, cantava sarcastico Giorgio Gaber a proposito della frenetica trasformazione delle aree urbane. “Perché continuano a costruire le case e non lasciano l’erba”, era il dispiaciuto controcanto di Adriano Celentano nella sua autobiografica “il ragazzo della via Gluck “. La contrapposizione antico – moderno, da sempre divide, suscitando discussioni e polemiche; in particolare, quando tocca il ridisegno del territorio. Cambiare panorama a un luogo storico comporta, insieme al suo carico di novità, critiche e rimpianti, per un passato che sparisce e un futuro che si poteva immaginare migliore. L’eterna sfida tra progresso e nostalgia, a Bollate, si è giocata con la riqualificazione del centralissimo Cantun Sciatin.

STORIA DI UN RECUPERO CONTRASTATO

A Bollate chi non conosce il Cantun Sciatin? Toponimo derivante da angolo del piccolo rospo, angolo umido, forse anticamente paludoso. Per quelli della mia età, luogo simbolo e allora buio, un pò fané (eufemismo) e ottimo per passeggiate romantiche alla sera. Mia moglie è nata lì.

Il dibattito sul riuso – ora si chiamerebbe rigenerazione urbana – si accese sin dal secondo dopoguerra. Tutti avevano idee e soluzioni, ma c’era un problema non secondario, l’area era di proprietà privata in capo alla famiglia Radice Fossati Confalonieri.

Com’era il Cantun Sciatin

Il giovane assessore all’urbanistica Antonio Pastore e il sindaco Elio Aquino

Giovane ingegnere, poco più che trentenne, ex sessantottino, un giorno ebbi la malsana idea di candidarmi alle elezioni comunali, con il PSI (area sinistra lombardiana); raggranellai poco più di duecento voti. Primo dei non eletti e, dopo quattro anni, causa la prematura morte dell’amico consigliere Giuseppe Pantano, entrai in consiglio comunale. Non avendo incarichi, venni impegnato sul referendum per l’abolizione della scala mobile. Mi misero a fianco di un democristiano, Nino Mazza, autentica macchina da guerra per la propaganda. I big del mio partito preferirono stare acquattati; di lì ad un anno ci sarebbero state le nuove amministrative e non si voleva logorare il rapporto con il PCI, partner di maggioranza da diverse legislature.

Vincemmo alla grande, la scala mobile fu abolita, l’inflazione si dimezzò. Si incominciarono a tessere nuovi rapporti con DC e PRI. Alle elezioni del 1985 conquistai poco più di 250 voti e risultai tra gli ultimi degli eletti della lista socialista.

Ci fu il ribaltone, cambio di maggioranza, giunta tricolore, PSI-DC-PRI. Elio Aquino confermato sindaco, con l’assenso dell’ex senatore Bruno Luzzatto Carpi, ed io divenni assessore con tutte le deleghe tecniche: urbanistica, edilizia pubblica, edilizia privata, grandi opere, viabilità, problemi della casa.

La politica urbanistica precedente, guidata dai comunisti, favorì l’edilizia pubblica, poi realizzata dai grandi consorzi emiliani; i risultati sono visibili in via Verdi, via Turati e Cascina del Sole. Nel frattempo, era stato adottato il nuovo PRG, redatto dall’architetto Paolo Ferrante che, per verificare e garantire il piano stesso, fu eletto nelle liste del PCI.

La DC aveva chiesto e ottenuto, nel programma amministrativo, come punti salienti ed irrinunciabili, il recupero del Cantun Sciatin, con il nuovo Municipio e la Biblioteca, il Parco Centrale, con intorno un importante intervento di residenza privata ed edilizia privata convenzionata, e la Casa di riposo. Tutti progetti in capo alle mie deleghe, un carico di lavoro impressionante, considerato che gli uffici erano già al collasso con l’ordinario.

Il PRG (Piano Regolatore Generale) non era ancora vigente, il PPA (Programma Poliennale di Attuazione), relativo alla programmazione degli interventi pubblici e privati, tutto da fare. Dopo qualche ruvido approccio con la struttura, grazie al sostegno del sindaco Aquino, arruolai dal Politecnico un team di giovani tecnici esterni guidato dall’architetto Marcello Decarli. Di grande aiuto furono anche il compianto segretario generale, dottor Antonio Bianco, l’ingegner Cosimo D’Angelo, giovane capo dell’ufficio tecnico, il mio collega assessore ai lavori pubblici, l’architetto Cesare Buttè.

Bisognava approvare il PRG fermo in regione. Successe che la Pirelli aveva dato corso alla rigenerazione delle aree di Milano Bicocca e decise di trasferirsi a Cassina Nuova in una fabbrica dismessa di materassi. E così il problema si risolse da solo. Fatto ciò si apri la vicenda del Cantun Sciatin. Già dal primo incontro, il commendator Eugenio Radice Fossati mi prese a ben volere perché ero ingegnere come lui, dando l’avvio ad un rapporto di cordialità che si consolidò tre anni dopo con l’acquisto di villa Arconati e del borgo di Castellazzo, mettendo fine ad un orrendo tentativo di speculazione edilizia, orchestrato da palazzinari romani, sui 2,5 milioni di mq di territorio. Al di là della cordialità, occorreva però decidere le regole di ingaggio, a vantaggio del Comune: area e parcheggi interrati e il palazzo Secco Borella ristrutturato ad uso biblioteca. La volumetria concessa dal piano regolatore era molta e il mercato immobiliare volava. Sul portico che si affacciava sul cortile del seicentesco edificio, la proprietà chiese ed ottenne di recuperare la volumetria, mentre il nodo parcheggi sotterranei avviò un duro braccio di ferro; sei mesi di trattativa, perché per l’amministrazione comunale, erano irrinunciabili. Nel 1987 partirono le demolizioni, con un immediato stop, ancora di sei mesi, perché lo storico rhodense Piero Airaghi, sovrintendente onorario delle Belle Arti, sosteneva che su quel terreno, prima vi sorgesse un castello, distrutto dai milanesi nel 1176 e bisognasse cercarne le tracce. (Unico reperto rinvenuto dalle ricerche fu un semplice falcetto!!!). 

1987 le ruspe entrarono in azione

Le varie fase della demolizione, per la gioia di tanti curiosi ” omarell “che potevano seguire giorno per giorno l’andamento dei lavori

Quando finalmente entrarono in azione le ruspe, la reazione di qualche bollatese doc, addolorato dall’evento, si appalesò con la comparsa di poco edificanti scritte verdi sui muri delle cascine che recitavano: “Pastore culo”, “Pastore bastardo”. Resta a ricordo una vignetta di Paolo Fabbro, pubblicata su un giornale locale, a rappresentare il clima non certo idilliaco dei tempi intorno all’operazione. Clima di ostilità che, talvolta, riemerge quando si torna a parlare di questa riqualificazione.

Sul lato opposto, quello che dava su via Sartirana, il problema erano alcuni negozi storici: Giorgio il lattaio, famoso per gelati e granite fatti in casa, il bar Origgi e la drogheria Origgi. Dirimpetto una panetteria. La drogheria chiuse per raggiunti limiti d’età dei titolari, Giorgio abdicò, non prima di aver venduto una gran quantità di coni rinsecchiti e biscotti raffermi alla proprietà; per il bar, venne predisposta una baracca in maniera di proseguirne l’attività, in attesa della nuova sede nel rinnovato cortile, mentre la panetteria non esiste più.

I lavori erano imponenti sia per il Comune che per il privato. Il costo del solo nuovo Municipio ammontava a 13 miliardi di lire a base d’asta. Stante l’importo, come previsto dalla legge, venne istituito un bando a livello europeo; vi parteciparono circa 67 imprese, alcune provenienti da paesi europei. Il costo per il privato, comprese le opere a scomputo e cessione, di due o tre ordini di grandezza maggiori rispetto a quello del Comune. Sia il Comune che il privato misero in campo dei tecnici di altissimo livello.

I plastici del progetto e l’area dell’intervento

Per l’amministrazione comunale gli architetti: Virgilio Vercelloni, Andrea Balzani e Silvani, coadiuvati dall’ingegner Blasi; per il privato, lo studio dell’architetto Mario Giorcelli e il team del geometra Dellera. L’impresa decollò, accompagnata da centinaia di riunioni pubbliche nelle quali Vercelloni declamava l’edificio a tutto tondo, con le sue peculiarità: “le scale colorate di rosso come le macchine dei pompieri, la continuità materica, le piante ad alto fusto messe a dimora sul tetto”. Nulla di ciò venne poi realizzato dalle successive amministrazioni.

Un giudizio critico e onesto, a trentacinque anni, penso sia doveroso.

Abbiamo riportato, nella disponibilità dei cittadini, un’area abbandonata centrale della città, ricollegando le vie Roma e Sartirana. Un intervento di grande fruizione pubblica; due grandi piazze, la biblioteca, in un palazzo del Seicento, restaurato e acquisito al pubblico demanio, prima adibito a deposito attrezzi, una sede comunale dignitosa: i consigli comunali si tenevano nelle cantine della scuola di via Diaz. Tra i due interventi pubblici, un centro commerciale naturale, prima che questo termine venisse coniato, oltre a residenze di alto livello, che ben si coniuga con l’altra corte di proprietà in via Pastrengo, in un’offerta pubblica e privata godibile per i cittadini. E poi la piazza triangolare che è diventata una sorta di estensione della biblioteca, attraverso una serie di eventi, mostre, sagre e concerti che la animano durante l’anno. Una domanda mi sono sempre posto, si poteva fare meglio: sicuramente sì. Poi mi viene in mente una frase che mi disse il parroco di allora, don Franco Fusetti, in occasione della inaugurazione della biblioteca: “Antonio il meglio è nemico del bene: accontentati di fare bene”.

Antonio C. G. Pastore

UNA PIAZZA, UNA COMUNITÀ

La centralissima piazza del Cantun Sciatin è ormai sinonimo di nuovo agorà cittadino, grazie ai molteplici eventi che la animano, sia sul versante triangolare di fonte alla biblioteca, sia su quello davanti al palazzo comunale. I primi a credere nella potenzialità del luogo, come cuore pulsante della città sono stati, fin da subito, gli esponenti della Associazione Bollate Jazz Meeting, promuovendo il concerto inaugurale della primavera del 1997, eseguito dall’orchestra della scuola civica di jazz di Milano, diretta dal maestro Enrico Intra. Ad esso si sono poi susseguiti altri appuntamenti in chiave jazz, come il Trumpet Summit, concerto di quattro trombe che ha visto il debutto di un giovanissimo Fabrizio Bosso e, sul lato opposto, le esibizioni dei batteristi della Drummeria e il concerto della vocalist Joyce Juille. L’impronta di BJM ha lasciato traccia anche nella memorabile serata del giugno 2000, quando la piazza ha ospitato la conclusione del Beatles Day (una serie di gruppi provenienti da tutta Italia che eseguivano un tributo ai Fab Four), culminato con il ritorno, a sorpresa sulla scena cittadina, dello storico gruppo locale dei Solitari: di fonte a centinaia di persone, entusiaste ed incuriosite, ripresero a suonare dopo anni di assenza e, da quella sera, hanno ricominciato il loro percorso musicale che prosegue tuttora. Forte della larga partecipazione di pubblico e del gradimento per il luogo, per ben due volte: nel 2018 con l’omaggio swing della Monday Orchestra al paroliere, ospiatese d’adozione, Mario Panzeri e, nel 2019, con la suite africana della Batik Orchestra, Bollate Jazz Meeting ha offerto, in piazza, l’anteprima del festival di villa Arconati, facendolo uscire dalle esclusive mura castellazzesi. Nel corso del tempo, si sono poi aggiunte altre manifestazioni: le annuali rassegne “la scienza in piazza“ delle scuole bollatesi, la “collettiva d’arte” del Gruppo Artisti Bollatesi, le serate estive “Summertime”, con esibizioni varie, le sagre delle ciliegie e delle castagne, promosse a maggio e ottobre dalla Unione del Commercio, con la collaborazione dei commercianti del centro storico, oltre agli ormai tradizionali mercatini artigianali natalizi. E negli ultimi tempi, l’autentico e aggregante melting pot, rappresentato dalla cena dai mille colori, organizzata dalla biblioteca civica. Testimonianze concrete di come una piazza rappresenti davvero il punto di incontro della vita di una comunità in tutte le sue espressioni.

L’assessore all’urbanistica Antonio Pastore, con il parroco don Franco Fusetti ad una esibizione in piazza con l’Olimpia Brass band

Ingegnere per caso, giornalista mancato, scrittore che non ha ancora deciso cosa scrivere. Una vita di scorribande, a far sempre cose nuove, una diversa dall’altra. Insegnante, assaltatore/postino, ricercatore CNR, ingegnere in società multinazionali, imprenditore, politico di terza classe, socialista da sempre e per sempre. Amore per il teatro, negli ultimi anni enfatizzato dalla fortunata frequentazione con Luca Ronconi ai tempi del Piccolo Teatro di Milano. Appassionato di musica classica sostiene che: ‘dopo Mozart è stato inutile scrivere musica’. Calcisticamente agnostico, ferrarista da sempre. Vanesio, si ritiene un eccellente chef. Amante di vini rossi e bollicine per accompagnare cibi. Sempre alla ricerca di persone nuove con le quali parlare, confrontarsi, discutere, litigare, bere e gustare cose golose.

Antonio Carlo Giuseppe Pastore

Fornitore di foto