E nacque il gruppo Gianni Riccardi
Primi anni 70 , poteva essere il 71 o il 72. Finita la scuola media Superiore: chi il Liceo, chi l’Istituto Tecnico, chi la Ragioneria come me. Ingresso in Università e ci si sente grandi.
Tutto va, improvvisamente, stretto, soprattutto nella accezione sociale del termine: i rapporti in famiglia, dove i nostri genitori che avendo passato la loro gioventù condividendola con la guerra, non capivano il motivo del nostro disagio; l’università appena iniziata, dove si scontravano il “nuovo” tutto da inventare e tutto da scoprire e le convenzioni del passato appena trascorso, che rimanevano li quasi granitiche e ci apparivano sempre più anacronistiche; l’oratorio, per noi era una seconda casa, che improvvisamente era diventata da accogliente e rassicurante a (quasi) soffocante. Il 68 poi irruppe con tutto il furore iniziale, era nel pieno del vigore, ci attraeva con la sua carica rivoluzionaria che trasformava radicalmente i costumi, ma nello stesso tempo, ci intimoriva.
Buttarci nei movimenti studenteschi di allora ci sembrava fare un salto nel buio a cui non eravamo preparati. Non parliamo dei movimenti politici nascenti, le ideologie che li ispiravano e tutto quel contesto di radicali cambiamenti , ci tentavano e nello stesso tempo ci spaventavano.
Fu in questo contesto, contraddittorio ed effervescente, che noi amici ci si trovava nella cantina del Giovanni Rossetti dove papà Albino, ignaro, pensava che ci trovassimo solo per ingannare il tempo.
In quella cantina muoveva i primi passi l’idea di mettersi insieme, creare un gruppo spontaneo, come si chiamavano allora, per parlare di sociale e di politica.
Non delle ideologie, allora tanto in voga a cui francamente eravamo poco inclini, ma di problemi concreti, se volete spiccioli della nostra città, della nostra gente, della realtà che vivevamo tutti i giorni. Oggi saremmo considerati come coloro i quali erano ispirati a un pragmatismo spinto.
Certo non ci sentivamo degli anacronistici giovanotti nati già vecchi che vivevano il loro tempo in maniera fuori moda: anche a noi piacevano le canzoni di rottura, la musica americana , le camicie a fiori e i pantaloni scampanati. Anche noi amavamo portare i capelli il più lunghi possibile. Ma quel che ci appassionava era la politica, partendo proprio dai problemi della nostra città.
E allora giù a scrivere su un “lucido” un manifesto, che poi veniva eliografato (procedura fatta in copisteria a nostre spese) ,da attacchinare per le vie di Bollate nottetempo e sul quale si denuciava che nel forno di Cassina Nuova si bruciava l’imbruciabile, o ancora ,vai col ciclostile, rigorosamente a mano ed alimentato ad alcool , che volevamo far cantare e che invece ci sfornava faticosamente una copia alla volta di un volantino per far sapere ai bollatesi che i pullman del Cattaneo erano sempre in ritardo e soprattutto saltavano le corse a loro piacimento.
Avevamo un nume tutelare in questo nostro cospirare: era quel Carletto Galimberti, bastian contrario ante litteram, che aveva capito che avevamo la voglia e forse la stoffa di seguire le sue orme.
Bisognava dare un nome a quel gruppetto semiclandestino, un po’ sgangherato, che cominciava a muovere i primi passi nell’agone cittadino.
Proprio il Carletto ci parlò di un certo Gianni Riccardi che durante la guerra viveva a Bollate. Un ragazzotto come tanti figlio dell’allora direttore amministrativo del quotidiano L’ITALIA, che sfollato da Milano per via dei bombardamenti, trovò ospitalità con le rotative nel vecchio cinema Oratorio, ora ribattezzato sala Donadeo.
Ci raccontava il Carletto che Gianni Riccardi partecipò ai primi moti della resistenza Bollatese, senza moschetto e munizioni, ma facendo la staffetta con messaggi per i partigiani che vivevano in clandestinità.
I Fascisti lo beccarono e sfortunatamente lo deportarono nel Campo di Concentramento di FLOSSEMBURG in Germania e da li non tornò più.
La storia ci commosse e pensammo di intitolare a lui, ragazzo come noi, ispirato a idealità, il nostro gruppo.
Nacque così il GRUPPO GIANNI RICCARDI quasi a voler far rivivere l’impegno di un ragazzo martire del fascismo che sacrificò la vita sull’altare dell’ideale.
Ci eravamo ripromessi di andare a cercare dove fosse sepolto ma non lo abbiamo mai fatto.
Fra qualche giorno è di nuovo il XXV Aprile e potete star certi che noi ,che in quella cantina cominciavamo a ragionare di politica, un pensiero a Gianni, come tutti gli anni, lo dedicheremo.
Ora con l’età avanzata e con gli impegni lavorativi allentati, chissà mai che, quella promessa che ci eravamo fatti, non la si possa mantenere.
GIOVANNI NIZZOLA – già sindaco di Bollate
Gianni Riccardi, nato a Torino il 21 ottobre 1929 trasferitosi a Bollate con la famiglia durante il fascismo, viene arrestato nel luglio del 1944 e rinchiuso nel carcere di san Vittore a Milano trasferito poi nel campo di concentramento tedesco di Flossemburg morirà, non ancora diciottenne, il 16 gennaio del 1945.